Noi che abbiamo la fortuna di esser nati in un luogo chiamato Europa e in un tempo in cui, tutto sommato, pochi guardiani controllano il nostro vivere e che quindi - a parte il paradosso delle libere elezioni (nel quale esercitiamo un potere per dare potere a chi di noi poco si cura o si cura male) - siamo sostanzialmente liberi, e ci muoviamo in una società senza miseria e devastazione, noi, cosa possiamo dire ai cittadini iracheni sopravvissuti dopo nove anni di guerra ininterrotti, nove anni, quasi quattro in più degli anni della nostra ultima guerra mondiale, cosa possiamo dire ai mesopotamici ora che gli americani se ne vanno lasciandoli nelle mani di un governo tecnico (eppure hanno votato anche loro, mi pare)? Possiamo dirgli: «Coraggio, ci siete quasi, tra poco arriverà il benessere», e «non saranno deindicizzate le pensioni di anzianità»?
Il presidente Obama ha detto che «è più difficile finire una guerra che cominciarla». Forse perché, per finirla, occorre giustiziare il vero colpevole - e Saddam Hussein (atroce aguzzino, ok) da un punto di visto politico era più innocente di George W. Bush -, o forse perché la guerra ha portato un caos e una devastazione di cui i salvatori americani sono i principali responsabili? Quanti barili di petrolio ci vorranno per dimenticare tutto? Io, nonostante a Obama voglia sempre bene e che speri venga nuovamente eletto presidente, per tante cose sono stato da lui deluso, e l'Iraq è una di queste, perché non si è vergognato abbastanza pubblicamente di quello che ha fatto il suo predecessore.
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