domenica 18 dicembre 2011

Nessuno è niente



Guardate quel piede. Quel piede che sta per colpire il ventre di una donna indifesa, quel piede che nessun dio potrà mai fermare. Quel piedepezzodimerdasperiamotuschianti ma così non accade mai, non accade mai che quei piedi vengano paralizzati all'istante. Quanta letteratura serve per dimenticarlo? Proviamo, chiediamo aiuto a chi può

«Il sorriso gli svanì dalle labbra mentre camminava, una nube pesante nascondeva lentamente il sole, ombreggiando la facciata aggrondata di Trinity college. I tram si incrociavano verso il centro, verso la periferia, fragorosi. Parole inutili. Le cose non cambiano; un giorno dopo l'altro: squadre di poliziotti escono, ritornano: tram in un senso, nell'altro. Quei due lunatici che vanno a zonzo. Dignam caricato e via. Mina Purefoy la pancia gonfia gemente sul letto per farsi tirar fuori un bambino. Ne nasce uno al secondo in qualche posto. Un altro ne muore ogni secondo. Cinque minuti da quando ho dato da mangiare agli uccelli. Trecento han tirato le cuoia. Altri trecento nati, e ne lavan via il sangue, tutti son lavati nel sangue dell'agnello, belano beeeeee.
Un'intera città passa, un'altra ne arriva, passa anch'essa: un'altra arriva, passa via. Case, file di case, strade, chilometri di marciapiede, mattoni uno sopra l'altro, pietre. Cambian di mano. Questo proprietario, quell'altro. Il padron di casa non muore mai, dicono. Un altro si infila nei suoi panni quando gli arriva l'avviso di licenziamento. Comprano la località a forza d'oro, eppure tutto l'oro rimane a loro. C'è sotto qualche ladreria. Ammonticchiati nelle città, erosi dai secoli. Piramidi sulla sabbia. Costruite con pane e cipolle. Schiavi. Muraglia cinese. Babilonia. Rimangono grosse pietre. Torri rotonde. Il resto macerie, sobborghi tentacolari, costruiti da speculatori, case di Kerwan venute su come funghi, fatte di sabbia. Rifugio per la morte.
Nessuno è niente.
Questa è proprio la peggiore ora del giorno. Vitalità. Opaca, oscura: odio quest'ora. Mi par d'essere stato mangiato e vomitato».

James Joyce, Ulisse, 1922. Versione italiana a cura di Giulio De Angelis, Meridiani Mondadori, Milano 1997, pag. 224

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