Casa penale di Roma, 17 maggio 1935
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«M'ha un po' stupito quel che mi hai scritto sulla tua fede, o meglio, sulla tua mancanza di fede religiosa. Non ne abbiamo mai parlato, ma sapendo che andavi in chiesa, pensavo che tu fossi ancora credente. E non mi sarei mai sentito il coraggio di dirti qualcosa per allontanarti dalla Chiesa.
La verità, intesa come verità sperimentale, cioè come corrispondenza delle teorie ai fatti accertati attraverso il concorso di tutti i nostri sensi, dà soddisfazione a ben pochi, perché è sempre cosa relativa, incerta, mutevole. Gli uomini, in generale, voglion qualcosa di più, voglion la certezza, l'assoluto. E se non hanno attitudine alle astrazioni filosofiche, o se son divenuti scettici riguardo alla capacità del raziocinio umano a superare i limiti del mondo empirico, non possono trovar riposo che nell'accettazione delle credenze religiose, a cui furono educati nella loro infanzia. Rispondono così ai loro problemi con delle risposte che sono alla loro volta problemi più complessi, ma che sembran meno urgenti, perché più lontani.
Gli antichi, ch'erano arrivati alla concezione della sfericità della terra, non potendo spiegare come stesse sospesa nello spazio, dicevano ch'era appoggiata su quattro colonne, poste sul dorso di quattro immense tartarughe, che nuotavano in un gran mare. Ma il mare su cosa poggiava? Sembra strano che ci si potesse contentare d'una simile pseudoconoscenza, che soltanto rimandava il problema uno scalino più su, impostandolo sempre peggio per la complicazione d'elementi fantastici: ma quante volte anche noi facciamo lo stesso! L'accettazione delle credenze tradizionali ci dispensa dalla paurosa ricerca nel buio, al debole e vacillante chiarore del cerino acceso dalla nostra ragione. Ogni tanto il cerino si spenge, ci bruciamo le dita, e non abbiamo niente visto, niente capito.
Quando avevo più fiducia nell'intelligenza umana, mi meravigliavo di veder frequentare la chiesa uomini abituati alla critica ed alla ricerca scientifica. Un Pasteur cattolico: quale assurdità! Come poteva metter d'accordo il Dio ebraico del vecchio testamento, grossolano caporale di giornata, geloso della concorrenza degli altri Dei, vendicativo e feroce, col Dio cristiano del nuovo testamento, pietoso, paterno, in cui dovrebbero affratellarsi tutti gli uomini? Come poteva concepire una storia così assurda come quella d'un Dio onnipotente che, per riscattare i peccati degli uomini, fa mettere da questi in croce suo figlio? Come poteva ammettere l'antropomorfismo della divinità, i santi, le beatificazioni, le indulgenze, la grazia e il libero arbitrio, l'adorazione delle immagini e delle reliquie, le formule magiche, i dogmi, i misteri? Non aveva anche lui seguito nella storia delle religioni il processo attraverso il quale si eran formate le credenze e i riti della Chiesa cattolica? Non vedeva da quali interessi umani era sostenuta e quali, a sua volta, essa sosteneva?
Ma ora, che ho conosciuto di più gli uomini ed anche un poco più me stesso, son diventato più umile, e non mi meraviglio. Questo mondo è tanto assurdo che capisco benissimo si possa rinunciare al lumicino della nostra intelligenza e farsi trasportare dal canto d'una preghiera, dal suono d'un organo, dalla misteriosa magnificenza della celebrazione della messa, in un mondo diverso, in cui è sentimentalmente soddisfatto il nostro desiderio di certezza e di giustizia.
Io, però, continuo a tener tra le dita il mio cerino acceso. Se lo lasciassi spengere, mi parrebbe di spengere me stesso.»
Ernesto Rossi, Elogio della galera. Lettere 1930/1943, Laterza, Bari 1968
1 commento:
Davvero molto, molto bello.
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