sabato 7 maggio 2011

Provoca dipendenza 2

Premetto: sono iscritto a Facebook ma non ne sono un fanatico frequentatore. Sì, anch'io metto foto, qualche scritto breve, a volte clicco "mi piace", linko video e post miei e altrui, chatto saltuariamente con amici e amiche, e ho conosciuto - ma guarda un po' - persone senza conoscerle fisicamente, avendo la sensazione di esserne diventato amico sul serio. Comunque, sia detto a mio disdoro, ultimamente lo frequento poco, forse per supponenza o, semplicemente, perché amo molto di più bloggare in tutte le sue forme (attive e passive).
È probabile che, istintivamente, avverta che Facebook sia una gigantesca macchina di controllo ontologico  e di sfruttamento a gratis di quello che vorremmo essere e non siamo. Quindi, quando leggo articoli come questo, mi dico: meno male qualcuno riesce a formulare analisi critiche soddisfacenti del fenomeno facebookiano. 

E quella di Christian Raimo è un'ottima analisi critica che mi sento di condividere sì, ma fino a un certo punto. Questo: io non ci vedo nulla di male nel "tempo rubato" dallo Zuckerberg, detto l'Uomo Grigio. Cioè a dire, perché mi devo preoccupare se un individuo - che ha scoperto un meccanismo per fare soldi "geniale" - convince delle persone a seguirlo con le sue nuove "subdole" proposte che illudono di far guadagnare gli iscritti, quando poi, in fondo, è lui, l'Uomo Grigio, l'unico che ci guadagna?

Io non vedo nulla di male in quest'ottica paradossalmente iperdemocratica che consentirebbe di parcellizzare i guadagni per tutti gli iscritti facebookiani che si pigliano la briga di sorbirsi per intero gli spot pubblicitari proposti. E non ci vedo nulla di male perché nessuno obbliga nessuno e Mark Zuckerberg non ha avuto e non avrà (si spera) bisogno di specifici decreti governativi per trasmettere le sue boiate pubblicitarie; Mark Zuckerberg non monopolizza, col beneplacito statale, un bene pubblico. Egli, ripeto, ha semplicemente ideato un meccanismo di condivisione dove, sulla carta, ogni persona ha un nome e una sua specificità. In buona sostanza: chi usa Facebook e dirige un particolare mercato pubblicitario lo fa, più o meno, consapevolmente, offrendo un indice di rilevazione abbastanza attendibile per le aziende che pagano per essere pubblicizzate. Chi misura, invece, la quantità di volte che uno cambia canale televisivo (o toglie l'audio) non appena viene annunciato un blocco pubblicitario in tv?

Pur avendo molteplici sfaccettature, sia brillanti che opache, Facebook è il fenomeno internet che maggiormente può spezzare il monopolio del mercato pubblicitario televisivo. E questo, in Italia soprattutto, non può che essere un bene.

Perché lo Zuckerberg non sta parassitando uno stato come Berlusconi, come i magnati russi, come i petrolieri arabi o venezuelani o italiani, o altri famelici oligarchi sparsi per il pianeta. Zuckerberg ha inventato un marchingegno che ha avuto successo grazie al desiderio mimetico: gran parte di noi umani siamo degli assetati di essere, bisognosi di essere "riconosciuti", identificati, per sentirci vivi. 

Facebook è una specie di banca che offre una sorta di microprestito ontologico al quale tutti possono avere accesso in cambio del proprio nome e cognome: e se vuoi un minimo credito in più mettici pure la tua fotografia.

3 commenti:

christian ha detto...

Luca, hai ragione su tutto, ma ti sbagli di grosso su un punto. Ed è la redistribuzione degli utili. Che c'è di male che Marchionne trovi il modo di salvare la Fiat dal declino? Nulla, anzi.
E qui è la stessa cosa.
Ma il male è che Marchionne guadagna ogni mese 500 volte di più dell'operaio, escluse le stock options. E che qui Zuckerberg agli utenti che "sono" Facebook lasci gli spiccioli.
Questo meccanismo Marx lo chiamava sfruttamento capitalistico. Perché chi ha la fabbrica come chi ha Facebook ti illude che siano solo suoi i mezzi di produzione, e che tu abbia venduto la tua forza lavoro una volta e per sempre: lì le braccia qui la tua identità.
A me piace lavorare, oppure io ne ho bisogno.
A me piace stare su Facebook, oppure Facebook mi dà dipendenza.
Va bene comunque, ma visto che genero utili, posso averne quanto mi spetta? Fatti il conto.
50.000.000.000 di dollari diviso 500.000.000 di persone. Fanno 50.000 dollari a capoccia. Facciamo che me ne date 25.000 mila e vi tenete il resto?

christian ha detto...

Scusami ho toppato calcolo clamorosamente. Ero ancora nel sonno. Sono cento dollari a capoccia. Ma il conto è uguale. Mi date 50 dollari all'anno. E ve ne tenete il resto, e faccio quello che voglio?

Luca Massaro ha detto...

Grazie Christian delle ragioni che mi tributi e grazie anche per l'errore che mi segnali. Ma, riguardo a questo, data la mia scarsa preparazione marxistica, ti chiedo: che fare? In ogni parte del pianeta i cosiddetti chairman sono draghi famelici, persino in Cina, nazione col maggior numero di miliardiari (credo siano 50/100 milioni di ultramilionari a fronte di una popolazione di oltre un miliardo di persone).
Tuttavia, mi piacerebbe tu mi spiegassi meglio (sono duro in queste cose) come io, tu e gli altri iscritti "siamo" Facebook. Ovvero, lo siamo nella misura di "clienti" o di "operai"? Lo siamo in quanto guidatori o costruttori di una Panda?

Ora, riguardo alle automobili la faccenda è complicata, ma riguardo al fenomeno "immateriale" ma altamente concreto come FB, potrebbero nascere liberamente sistemi concorrenti al fenomeno. Anzi, essi c'erano in parte già, ma FB li ha sbaragliati tutti.
Voglio dire: come è per tutti a disposizione il sistema operativo gratuito e libero Linux (la distribuzione Ubuntu) così potrebbe nascere un libero sistema di aggregazione. È che noi umani siamo ancora abbastanza gregge da seguire i cani pastore.

Infine, tu porti l'esempio di Marchionne. Ma la Fiat, ammettendo e non concedendo che non abbia nulla a che fare con lo Stato, è un'azienda privata e i soldi al dipendente Marchionne glieli danno gli azionisti. Mi fa più specie, personalmente, che in questo prendere 500 volte di più vi siano compresi i dirigenti delle aziende statali quali l'Eni, l'Enel, la Rai eccetera. Ma questo accade anche in paesi più seri di noi, tipo la Francia: prendi ad esempio Charles Ghosn, gran capo della Renault, azienda che vede lo Stato come maggior azionista.

Uff. Ho scritto troppo. Buona domenica di maggio