«È insomma precisamente come allorché qualcuno picchia alla tua porta e alla tua domanda “chi è?” risponde “io”. Egli crede con questa parola d'aver designato indubitabilmente la cosa assolutamente specifica e inconfondibile, una individualità precisa ed unica. Ma tu (se non ne conosci la voce) constati allora che io è una pura forma e quindi insignificante, perché significa del pari e designa indifferentemente tutti gli individui diversi».
Giuseppe Rensi, La filosofia dell'assurdo (1937), Adelphi, Milano 1991 (p. 55)
Facciamo un esperimento. Proviamo a immaginare che, anziché un piccolo, modesto io, alla porta bussi Dio.
Toc toc
- Chi è?
- Apri sono Dio.
- Dio? Dio chi?
- Come Dio chi? Il politeismo è qualche millennio ch'è finito. «Gli dèi erano immortali» (S.J. Lec). Sono io, Dio. Apri e non fare tante storie.
- Dio? Davvero Dio? Oddio! Aspetta che finisco di vestirmi. Esco ora dalla doccia e sono ancora in accappatoio.
- Aprimi lo stesso. Non mi scandalizzo mica. T'ho visto persino con il cordone ombelicale ancora attaccato, che vuoi che sia se ti vedo in accappatoio.
- Dio, scusa, un secondo solo, ti apro subito, mi metto giusto le mutande.
- Aprimi t'ho detto! È un comandamento!
- Va bene, ti apro. Però permettimi prima una domanda: non sarai mica il Referente Finale di Don Seppia?
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