Me lo ricordo bene: io da grande avrei voluto non lavorare. Pour moi le travail c'est du travail.
Selon Alain Rey1, le mot travail (apparu vers 1130) est un déverbal de travailler, issu (vers 1080) du latin populaire tripaliare, signifiant « tourmenter, torturer avec le trepalium ». Sous l'Antiquité, le terme bas latin trepalium (attesté en 582) est une déformation de tripalium, un instrument formé de trois pieux, deux verticaux et un placé en transversale, auquel on attachait les animaux pour les ferrer ou les soigner, ou les esclaves pour les punir. [W]
Come mai nutrivo (nutro) questo pensiero? Forse perché i miei erano proletari? Il lavoro nobilita l'uomo... mica vero; ovvero: per certuni, forse; per cert'altri no. Io sono fra i cert'altri.
Per me il lavoro è sottrazione di tempo "libero", di tempo "mio", di tempo dedicato all'inazione, al pensiero fermo, alla noia, alla velocità dei cumulonembi.
Il lavoro secondo me è bello quando uno non si accorge di lavorare; vale a dire quando uno sente di non sprecare il suo tempo, o di svolgere il proprio lavoro senza il peso del dovere: anzi: quando il lavoro è parte del proprio essere (o del proprio dover essere) allora non è lavoro, travaglio, fatica, alienazione, perdita sostanziale di tempo, sottrazione di vita. Ma la percentuale di umani che vive il proprio lavoro secondo questo criterio è tristemente minima. La maggior parte dell'umanità vive il lavoro come obbligo, come necessità. Lavorare stanca
Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.
Il lavoro è travaglio, è pena quando vorresti scappare, essere altrove. In caso contrario non è lavoro, perché la strada che hai attraversato per essere grande ti ha condotto nelle braccia di te stesso, non nelle catene dell'altro.
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