Stavo pensando all'autunno. Volevo
parlarci, oggi, dirgli:
– Ascolta, perché non la smetti di
rendermi infelice raccontando la gioia che c'è nel morire? Perché
non pensi ai cazzi tuoi, invece di continuamente mettermi davanti il
tuo tripudio di colori per farmi sentire un muso pallido e insicuro,
tremebondo, indeciso e dannatamente pavido? Credi che non possa fare
altrettanto anche io, che sono parte come te della natura, di
rappresentare lo struggimento che c'è nelle cose che hanno fine?
Bella forza fare il simpatico sapendo che tutti gli anni che Dio
mette in terra tu ritorni in queste latitudini, a comporre i tuoi
quadri impressionisti. Ma a me non fai punta impressione, sai, io ci
sono abituato, oramai puoi soltanto colpire i polli d'allevamento che
abitano ahiloro le città senza campagna intorno, che stanno chiusi
da mane a sera negli stabilimenti o negli uffici e conoscono
nient'altro che il giallino orina delle pareti, il bianco dei neon e
il grigio dell'asfalto. Io ti conosco, vorresti spingermi a imitarti,
ma io non cado in questo tranello. Aspetto l'inverno, ch'è molto più
saggio e pacato e meno rompicoglioni. Lo so, l'inverno è meno
generoso e più freddino, ma sapessi come sono belli gli amori quando
nascono in quelle settimane. Tu non puoi capire, d'altronde vivi per
cadere, per spogliare, per ingannare. L'inverno è scheletro e
sostanza pura, senza travestimenti. No, non ti adirare. Ti voglio
bene lo stesso, anzi. Sei tu che mi hai insegnato a desiderare e a
leggere. Sei tu che mi predisponi. Ma non per questo sei il centro
dei miei pensieri, non più almeno. E la carezza di sole che mi doni
verso fine pomeriggio la intendo solo come una cordiale stretta di
mano, non vado oltre con le aspirazioni. Tu che di me sei la parte
che più mi contraddistingue, voglio adesso lasciarti riposare,
andare in letargo, regalarmi un tango argentino e un po' di mate
insieme al mio maestro e mentore Julio Cortázar
Tocco la tua bocca, con un dito tocco l'orlo della tua bocca, la sto disegnando come se uscisse dalle mie mani, come se per la prima volta la tua bocca si schiudesse, e mi basta chudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, ogni volta faccio nascere la bocca che desidero, la bocca che la mia mano sceglie e ti disegna in volto, una bocca scelta fra tutte, con sovrana libertà scelta da me per disegnarla con la mia mano sul tuo volto, e che per un caso che non cerco di capire coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano ti disegna.*
Vedi,
Autunno, com'è facile costruire rappresentazioni? Due piccole
pennellate e via, mica tutto quello spreco multicolore che ti
caratterizza. Non hai il dono della sintesi, e forse è un bene così. Ogni fine ha bisogno di un fuoco d'artificio, di una festa, di una castagnata in piazza. La luce chiara che insiste al crepuscolo è solo un falso amico: davanti a te c'è il buio e ogni minuto in meno ruba l'oro e l'incenso delle tue foglie sparse a terra.
* Julio Cortázar, Rayuela, Buenos Aires 1966, (trad. italiana a cura di Flaviarosa Nicoletti Rossini, Il gioco del mondo, Einaudi, Torino 1969)
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