Sono sempre affascinato e incuriosito dalle meditazioni di Olympe de Gouges perché mi fanno partecipe della teoria marxista liberandomi dalla fatica di leggere Marx (forse sbaglio, lo so, ma Das Kapital mi ha sempre spaventato...).
Quello che di Marx, tuttavia, non mi convince è che la sua teoria prevede una graduale acquisizione di consapevolezza da parte degli sfruttati (il popolo) che, probabilmente, non avrà mai compimento Ovvero, per mettere in atto la rivoluzione in modo autenticamente marxista occorre che in ogni individuo maturi l'idea di una totale uguaglianza, senza ribaltare la dialettica servo-padrone: e questo è il punto. Infatti, se è vero che «ognuno darà secondo le sue capacità e riceverà secondo i propri bisogni», temo che ci sarà sempre qualcuno che rivendicherà qualcosa in più per le sue capacità rispetto ai suoi reali bisogni.
La natura umana, addomesticata dalla storia, si sente sovente sottratta alle forze incontrollabili della natura - ma l'animo umano, nonostante tutto il nutrimento culturale ricevuto, è sempre indissolubilmente legato alla natura. E dimenticare donde siamo venuti e tutto il faticoso percorso che ci ha condotti sin qui, è una delle principali cause della nostra frenata evolutiva (da un punto di vista sociale, almeno).
Allego a queste riflessioni tre letture, in sequenza.
- L'intervista di Maurizio Ferraris a Daniel C. Dennett
- Il consueto editoriale della domenica di Guido Rossi
- Un'anticipazione dell'ultimo libro di Gilberto Corbellini
Cominciamo con le parole di Dennett:
Per millenni, i filosofi e altri pensatori hanno preso per buona una prospettiva "dall' alto in basso", per cui - nella maggior parte dei casi se non in tutti - la comprensione è l' origine delle nostre competenze. Pensano cioè che noi siamo competenti perché comprendiamo. Quando viceversa è molto più ragionevole pensare che la comprensione sia il risultato di elementi che, a loro volta, non comprendono se stessi [...] Possiamo fare una cosa senza sapere come funziona. Il computer non conosce l' aritmetica ma sa calcolare. In altri termini: proprio come le cose viventi oggi sono comprese come composte da organismi non viventi - ad esempio dalle proteine - che sono altamente competenti (non sono semplicemente dei "mattoni"), così le cose accompagnate da coscienza possono venire spiegate come composte da elementi altamente competenti, ma non comprendenti. In nessuno dei due casi c' è un misterioso elemento extra. Non occorre un misterioso élan vital per far sì che qualcosa viva, né uno spirito immateriale o una res cogitans per far sì che da una competenza sempre più evoluta emerga la comprensione. La coscienza è il risultato di un gran numero di attività non coscienti
Leggendo poi Corbellini, si comprende che se l'umanità ha fatto un balzo evolutivo, è indubbiamente dovuto al fatto che, negli ultimi duecento anni, essa ha abbandonato quasi definitivamente il pensiero magico per farsi "guidare" dal pensiero scientifico (almeno in parte).
I due principî generali che sono alla base dell'ipotesi in questione sono quelli, tra loro collegati, di innaturalità e di dissonanza (o mismatch). Innaturalità significa che una data attività non si manifesta spontaneamente come tratto umano. Più precisamente, che si tratta di una potenzialità o capacità dovuta alla plasticità del comportamento, che si attualizza solo se viene coltivata mediante un addestramento specifico. Il che comporta l'acquisizione di comportamenti o strategie di approccio ai problemi che possono richiedere l'inibizione di risposte o intuizioni più spontanee. In sostanza, per coltivare le capacità che non ci vengono spontanee occorre andar contro preferenze o predisposizioni più spontanee, quindi affrontare sacrifici e rinunce, dilazionando l'aspettativa di un risultato o di un premio, che arriveranno solo a distanza di tempo. Ma non è detto.
Il mismatch o dissonanza definisce il risvolto negativo del distacco dalla natura intesa come ambiente dell'adattamento evolutivo, ovvero gli svantaggi dovuti al fatto che, nel momento in cui ci si allontana dai contesti in funzione dei quali sono stati acquisiti gli adattamenti, alcune predisposizioni naturali possono risultare, nel nuovo contesto, disadattative.
L'ipotesi, dunque, è che addestrando a un modo di pensare innaturale, e in particolare a prender atto della forza dimostrativa dei fatti e quindi a tenere sotto controllo le risposte comportamentali più intuitive, la scienza avrebbe fornito gli strumenti per ampliare le capacità umane di trovare spiegazioni del mondo naturale. Di qui anche la possibilità di modificarne o di utilizzarne per scopi mirati i principî funzionali, contribuendo cosí in modo fondamentale a ridurre le conseguenze dannose della dissonanza in rapporto all'ambiente, prodottasi come conseguenza dell'evoluzione culturale. L'evoluzione culturale ha dato luogo a condizioni di vita che hanno allontanato dall'ambiente dell'adattamento evolutivo, e quindi ha avuto regolarmente anche conseguenze negative.
Si pensi soltanto all'invenzione dell'agricoltura, che creò vantaggi per le società umane nell'insieme, ma peggiorò drammaticamente le condizioni di vita e la salute degli individui. Lo sviluppo di società complesse ha richiesto, per renderne possibile il funzionamento, divisioni di ruoli e gerarchie sociali che hanno distrutto i rapporti egualitari e quindi ridotto, in generale, la libertà di cui godevano gli individui cacciatori-raccoglitori.
La scienza ha consentito finalmente, cioè dopo millenni di vita decisamente grama, di controllare e prevenire o impedire gli effetti diretti del mismatch, per esempio consentendo l'invenzione di tecnologie che hanno abbattuto la necessità di utilizzare la forza animale, inclusa quella umana, o creato un ambiente di vita più confortevole, o ridotto i rischi per la salute dovuti sia alle imperfezioni del fenotipo umano sia a condizioni di vita completamente diverse da quelle a cui erano adattati (benché imperfettamente) i nostri tratti fenotipici. Indirettamente, l'addestramento ad andare oltre i limiti delle conoscenze intuitive e della psicologia ingenua, risultato quest'ultimo ottenuto attraverso la diffusione dell'istruzione, soprattutto di carattere tecnico-scientifico, ha amplificato i processi autoriflessivi consentiti dal potenziale plastico della corteccia nervosa, potenziando la capacità di autonomia e quindi permettendo di tenere a bada le avversioni istintive individuali per forme di scambio economico e modelli di organizzazione sociale quali il libero mercato e la liberaldemocrazia.
Sì, perché oggi sappiamo che non è solo la scienza a risultare innaturale, ma, come ormai dimostra una copiosa quantità di studi di psicologia sperimentale, anche l'economia di mercato. Inoltre i valori etico-politici della liberaldemocrazia non maturano spontaneamente, e sono necessarie condizioni molto particolari, anche sul piano della psicologia sociale, perché si strutturi e funzioni un sistema socioeconomico del tipo di quello che ha avuto successo in Occidente. Un successo che purtroppo, ma comunque sempre per ragioni legate ai nostri bias evolutivi, non riusciamo ad apprezzare quanto meriterebbe. Perché certamente l'Occidente non è il migliore dei mondi possibili, ma sta di fatto che pochi mondi possibili sono attualmente realizzabili, e tra quelli che sono diventati attuali il nostro è quello che ha creato più benessere, in generale, libertà ed eguaglianza.
Ho citato per intero perché mi sembrano pensieri da meditare profondamente e che si collegano, in qualche modo, anche a quanto scrive Rossi:
La vera crisi politica attuale investe soprattutto il modello di democrazia indiretta, perché conferisce ai cittadini solo un diritto di voto, delegando ai politici eletti tutte le decisioni che li riguardano. Gli eletti poi, sembrano oggi, dovunque, incapaci di scegliere il bene comune, perché soggetti passivi delle pressioni lobbystiche, per la presenza di un forte fenomeno corruttivo, e per la difesa di interessi fra loro contrapposti che rendono maggioranze e minoranze inadeguate ad ogni indispensabile mediazione.
Ecco, nonostante il mio pessimismo marxista, io conservo ancora una traccia di ottimismo liberal-democratico, a patto che (e qui Olympe, lo sento, mi taccerà di ingenuità) i cittadini, ovvero i soggetti sulla carta detentori della sovranità riescano, a breve termine, a riprendersi le deleghe di potere elargite agli eletti.
Ma come ottenere questo?
Con la rivoluzione, beninteso.
2 commenti:
caro Luca, intanto ti ringrazio per l'attenzione che dedichi ai miei post. permettimi di dirti con franchezza che quello che non ti convince di Marx non appartiene a Marx ma ai luoghi comuni su Marx.
nel mio post riporto, perlatro, una frase che varrebbe la pena d'intendere per quello che dice: Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente.
il punto è proprio questo, cioè la coscienza non è affatto decisiva, e del resto non è la coscienza a determinare l'essere, ma viceversa è l'essere sociale a determinare la coscienza.
se il capitale ti spaventa, prova a leggere questo:
http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/capitolo_II.html
cordialmente
Ringrazio la tua franchezza, e la tua capacità di "spogliare" Marx degli stereotipi dei quali è stato rivestito.
Ma questo "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" non è per caso qualcosa che s'apparente col processo evolutivo?
Non è necessario tu risponda qui: puoi farne un post...
;-)
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