Quello che emerge dalla recensione-traccia del libro di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo, I gattopardi, Mondadori, Milano 2010, che Giuseppe D'Avanzo ha fatto su Repubblica del 12 novembre, è la “normalità” del crimine, del malaffare, del suo insinuarsi subdolamente nel commercio e nelle risoluzioni umane; questo in molte parti d'Italia, soprattutto nel meridione; ma questa costumanza si diffonde a macchia d'olio in molti altri luoghi della penisola e del mondo – basti pensare, come esempio, alla superpotenza Russia e alle modalità con le quali tale nazione è governata e controllata dai suoi politici, per accorgersi come il metodo mafioso sia la migliore pseudoideologia democratica atta a far conservare e a far prosperare il potere (le analogie si sprecano tra i metodi mafiosi e camorristici e quelli attuali putiniani di massacro dei giornalisti: Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Anna Politkovskaja, Anastasija Baburova (e il triste, macabro, mai abbastanza ripetuto elenco dei giornalisti massacrati in Russia: ecco un elenco da leggere a Vieni via con me, e farlo leggere all'amico di Putin, il granmerda).
Tutto questo esercizio o modalità di potere sarà la normale consuetudine che presto terrà per le palle l'intero pianeta: l'unica alternativa attualmente valida, ma di peggiore specie, è il tentativo “religioso” di presa del potere o, altrimenti, quel né carne né pesce che è l'essenza dittatoriale cinese (comunismo-capitalista). Cioè, sia detto di passata: tra le due opzioni, meglio sopravvivere sotto un regime paramafioso che teocratico (di qualsiasi specie): almeno un po' di vacanza mentale nell'eccentrico, credo, sarebbe concessa. In fondo, il magnate mafioso ha più o meno le stesse esigenze di un Berlusconi: finché non lo si contrasta nel suo specifico interesse non è molto invadente sulla sfera del pensiero. Invece il mullah o il cardinale (quello d'un tempo, soprattutto – ora chi li ascolta se non Rutelli?) hanno la pretesa di dirmi anche cosa devo pensare nel mio intimo, pena autentiche espiazioni corporali, anche solo per aver nominato Dio Ivano. Fossati.
E l'alternativa liberale? Da questo avamposto particolare che è l'osservatorio italiano, i dubbi cominciano a prendere corpo.
Ma a parte questa digressione, il mio discorso è un altro: lo so che è un discorso utopico e che, insomma, esso trova il tempo che trova; un discorso che vorrebbe riguardare la specie – e già questo, di per sé, è pretesa ardua. Pensarsi come specie, come esseri appartenenti alla stessa specie (la stessa di Bossi), e dunque fratelli, che – pur nelle loro specifiche diversità – hanno tutti gli stessi diritti e doveri, gli stessi bisogni fondamentali, lo stesso tetto atmosferico, la stessa aria, acqua, terra e fuoco e champagne. In breve, o cominciamo, noi umani – vedete? Slitto al “noi” – a pensare un fine, uno scopo comune, un comune destino, a organizzarci per vivere come se fossimo davvero un tutto unico (pur, ribadisco, ognuno con le sue specifiche diversità) oppure siamo fottuti, o meglio, lo saremo a breve, sia per il lampante bisogno di trovare soluzioni all'aumento spropositato della popolazione che alla catastrofe prevista dell'inquinamento (vedi Oca Sapiens), sia perché se continuiamo a delegare – volenti o nolenti – il potere a una stretta cerchia di persone che persegue solo il suo dannatissimo interesse ingordo e bulimico, individui eletti che restituiscono al resto della popolazione solo le briciole dell'enormità del loro profitto (Merendine ferrero e barilla ed è contenta tutta la famiglia! Sì, sire, mio gigante buono), noi cittadini elettori e consumatori, clienti, delle democrazie occidentali, condanniamo, di fatto, l'umanità solo all'ingrassamento e alla prosperità familistica, tribale, totemica che riduce a schiavitù il resto degli umani indegni di parteciparvi.
Ma per chi ti prendi? - direte - con questa vocazione grillistica? No, niente, scusate, mi sono lasciato prendere la mano. Colpa di Alberto, che coi suoi discorsi seri e inopportuni... mi ha regalato questa splendida citazione di Tiziano Terziani. Lo ringrazio e gliela rubo, riportandola qui, pari pari, in chiusa di post.
«Mi piaceva pensare che i problemi dell'umanità potessero essere risolti un giorno da una congiura di poeti: un piccolo gruppo si prepara a prendere le sorti del mondo perché solo dei poeti ormai, solo della gente che lascia il cuore volare, che lascia libera la propria fantasia senza la pesantezza del quotidiano, è capace di pensare diversamente. Ed è questo di cui avremmo bisogno oggi: pensare diversamente».
P.S.
Lo so, cari poeti: occuparsi di piani regolatori, fognature, discariche, viabilità, produzione, ambiente eccetera è dura, ma bisogna sporcarsi le mani e salire (sic!) in campo dalle profondità della terra.
3 commenti:
Tanti e tanti anni fa, essendo stato costretto per lo fatto de saper leggere e scrivere a diventar sindacalista et dar voce alli meno letterati paramedici non paraculi dell'ospitale in cui lavoravo, et dovendomi difendere dalle irose mene dello padrone, mi recai alla direzione regionale di categoria. Dove fui accolto da due dirigenti dei quali uno vedendomi si mise a sorridere e disse: ecco il poeta, al che subito l'altro aggiunse frase che mi rimase impressa in immagine di stadio cileno che in quel periodo era di moda come lager, e subito dopo in immagine di Lorca, Garcia.
La frase era corta, me la ricordo bene anche per questo.
Il concetto era semplice, me la ricordo anche per questo.
Disse: i poeti muoiono all'alba.
In tutti questi anni, qualcosa di quella frase ho capito. I poeti sono tanti, tantissimi, milioni di milioni. Sono tutti i bambini del mondo nel loro primo anno di vita, prima che imparino a parlare. Sono poeti difficili da capire, che le loro poesie sono senza parole. Per capirli ci vuole una capacità di pensare diversamente da come siamo abituati a pensare. E credo che abbia a che vedere qualcosa, questa capacità di pensiero diverso, con quello di cui quivi dicesi.
Dei poeti per uscire dall'alternativa liberale senza cadere nella solita ricerca delle varianti pseudopolitiche per legittimare la bulimia antropofagica degli zio paperone, sì magari, dei poeti che sappiano reagire alla libertà di non essere liberi, alla libertà di rincretinirsi a rincorrere il fascismo della semplificazione, la pervasività della forma mentis pubblicitaria ...
Grazie per i vostri commenti, entrambi preziosi.
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