Necessaria lettera, ritrovata abnegazione. Si scorrono parole caricandole di significati univoci così che non diano luogo ad equivoci. Ciò nonostante non mi sento privo di una sostenibile leggerezza d'essere anche se, a volte, ho frequenti ricadute nell'inconsistente. Se del vuoto di cui sono pieno mi liberassi, dopo sarei più o meno peso, più o meno profondo?
Lascio correre via le risposte come gerani che sputano acqua in sovrappiù e la fanno fuori dal vaso. Sono stanco delle mie aporie. Per intanto mi trascino verso solitari sentieri che da solo – ma sempre in buona compagnia di fidati versi – percorro. Incatenato al presente non compio sforzi fruttuosi per ingannare il futuro. Pur confidando negli umani, mi dissocio spesso e volentieri dalle loro trite abitudini, svicolando con disinvoltura verso nuove inusitate abitudini (l'eccentricità: noia insopportabile). Ognuno ha le abitudini che si merita. Delle mie non sono geloso, anzi: le mando in giro, poverine, in cerca di clienti. Maître à penser vende stili di vita scevri da fami immature, da desideri di bassa lega: garantisce immersioni nelle profondità dell'animo che sollevano il corpo e lo tengono sospeso a mezz'aria. Dopo la sollevazione, che disinfetta come lo spirito lo spirito, un po' di riposo, un po' di ristoro. Restaurare le dubitabili identità che ognuno ha spacciato per vere servendosi di mezzi appartenenti al fenomenico: io sono questo e quello; no, tu sei uno stronzo e basta. Susseguire se stessi, sapersi in movimento, nel cuore immoto della ben rotondà verità (soggiorno di tre giorni in una spa di Elea, prezzi modici). Esercitarsi a collezionare tramonti, ognuno al suo posto: in città, in collina, in pianura, in montagna, al mare... catalogarli secondo criteri oggettivi. Distanziarsi, distaccarsi. Porsi diacronicamente. Al di fuori di se stessi. Buongiorno Io, chi sei tu? Sono io. Insipirare, espirare. Contare quante volte lo si fa in un giorno. Non mi distraete sennò devo ricominciare daccapo. Lavarsi spesso la faccia, con un asciugaviso asciugarsi. Guardare spesso fuori della finestra, da qualsiasi finestra. Stare fuori, soprattutto tra gli alberi. Pensare, pensarsi. Ripeto: porsi, per conoscersi, come oggetti. Partecipare, spezzettarsi. Appoggiare una mano ad un albero e contare se le dita ci sono tutte. Sentirsi partecipi della traiettoria ellittica intorno al Sole. Sentire il movimento anche se fermi. Lo sentite? Dài ditemi che lo sentite sennò non vi faccio cominciare il corso del Ritrovamento del Sé. Dipoi, sentirsi partecipi del movimento del nostro Sistema Solare all'interno della nostra Galassia: questo è un po' più difficile. E poi ancora provare a percepire il movimento della nostra Galassia tra le altre galassie. Non c'è niente che sta fermo in questo cazzo d'universo (o multiverso o panperso). Dispersi? No, diversi. Partecipi. Sentirsi, appunto, parte. Dei punti. Vivi, comunque vivi finché siamo vivi. Anche quando saremo dentro un buco nero? Sì, anche nel buco nero (non fraintendete). E all'inizio, prima del Big Bang c'eravamo? Sì, c'eravamo. In Potenza. Basilicatashire. Inguaribile ottimista. È solo per non piangere. O per piangere. Abbracciati. Abbracciamoci. Condannati a pensare l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande. Perché condannati? È una condanna? Se mescolando fumo, vento e polvere si ottiene un essere domandante, altro che deserto dei Gobi! Domanda a Dante. Non ci restano che l'abbraccio e le stelle. Che tutti gli umani si abbraccino ora per mandare a fanculo il secondo principio della termodinamica. Guardando le stelle, beninteso.
2 commenti:
Splendido Maestro!
Abbracciamoci, e fanculo all'entropia.
(impossibile, ma bello immaginarlo)
Grazie di cuore (anche per il link)
Un abbraccio forte.
tuo
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