domenica 14 novembre 2010

Shame culture

Sulla vicenda delle sanzioni a Vittorio Feltri, la penso esattamente come Giuseppe D'Avanzo. Leggete l'articolo per favore, soprattutto questo passaggio:

«Una volta svelata la macchina del fango, scoperta la sua meccanica, portate a nudo le funzioni e i protagonisti, se ci fosse qualche traccia d'archetipo del sentimento morale - che so, vergogna e colpa - l'affare sarebbe chiuso. Sarebbero sufficienti quel che si chiamano "sanzioni di vergogna". Chi è responsabile di comportamenti scorretti viene escluso dall'ambiente. Sarebbe un danno ben più grave della sospensione di tre mesi dal lavoro (pensate soltanto al denaro che Feltri ci rimetterebbe). La "shame culture" sottintende però un'etica e la sua condivisione».

Già, un'etica e la sua condivisione. Ma lasciamo perdere.
Comunque, sarei curioso di sapere da Malvino se questa «shame culture» sia compatibile, o meno, col metodo liberale.

P.S.
Non pensavo di poter rivalutare Mario Giordano. 



1 commento:

luigi castaldi ha detto...

L'onore - o, per dirla in modo meno retorico, la credibilità - è credito che fa moneta nel mercato delle relazioni. In questo senso penso che non ci sia nulla di illiberale in un sistema che fondi sulla «shame culture». Mi dà solo un po' fastidio il termine «shame», che puzza di morale puritana. Perché chi si sputtana perde credibilità e tanto dovrebbe bastare, senza necessità di un supplemento di esecrazione morale. Non che la ritenga illegittima da parte di chiunque si erga a giudice, ma lì il tribunale è privato giacché ciascuno ha la sua morale. Legittimare una morale, per quanto maggioritariamente condivisa, a farsi giudice e a emettere sanzioni mi pare pericoloso.