Mi sono alzato col pensiero di te, che visiti i miei sogni per interposta persona. Mi sembravi la controfigura taciturna di Giorgio La Malfa, con gli occhiali spessi, di celluloide nera, alla Pietro Longo, e un completo completamente in tinta colla ricrescita grigia dei capelli tinti come celluloide, appunto. Ma quello che più mi sorprendeva era il tuo silenzio, era la tua discrezione, forse il tuo timore - mentre trattenevo un mio amico lontano che ti voleva mettere le mani addosso dalla rabbia, con io che gli dicevo, al mio amico: «Ma no, non ti compromettere; non vedi che faccia tranquilla, innocente, impaurita. Lascialo stare, lui non c'entra.» E li, seduto su un panchina triste circondata da resti di foglie accartocciate (la tua pelle, le tue palle - che saranno anche le nostre), ti abbiamo salutato, dandoti persino la mano, mentre le tue labbra screpolate si piegavano in un ghigno irrisolto. Ricordati del vento, ricordati della polvere: vedi di scuoterla via di dosso, altro che l'economia.
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