Vi chiedo
di prendere in considerazione
non la fatica subíta
ma le mie proposte
di ampiezza o d'ira e anche di quella incertezza che è utile.
Della mia pronuncia
i suoni sordi e i chiari
non separateli
perché di amici e di nemici necessari
avranno sempre notizie per voi.
Mangiate ai tavoli delle pergole.
Meditate la storia
che diventa e la vittoria
che vi disperde entro di sé. Bevete
quel che vi piace e cosí via. Fermate l'auto
sulle costiere da dove si vede lo spazio.
Sono stato anch'io quei vuoti
dove ruota in fondo come mare
un elemento senza rumore
e senza morte
e quelle foglie verdi essenziali
e levigate che vi lasciano passare.
Franco Fortini, Questo muro, Versi a se stesso 1962-68, in Una volta per sempre, Einaudi, Torino 1978
Ogni tanto riprendere Fortini fa bene. La lucidità dei suoi versi mi incanta sempre. Sono, i suoi, versi che ti tengono attaccato alla terra, che si ostinano a sfruttarne il godimento minimo, nonostante intorno regni lo squallore della miseria e del sopruso. Sono versi, quelli di Fortini, che edificano perché lasciando intendere che la voce della ragione si ritaglia sempre uno spazio nel mondo per dire la sua. Fossero anche delle costiere da dove si vede solo lo spazio. Costiere dove ci si ricorda di essere dei vuoti a perdere, elementi senza rumore e senza morte. Sì, almeno per un attimo la vertigine del vuoto ci ricorda che solo nel vuoto la morte si annulla.
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