Venerdì sera, ospite di Lilli Gruber a 8½, c'era Vittorino Andreoli a parlare del suo ultimo saggio edito da Rizzoli, Il denaro in testa. Dalla presentazione del libro, sul sito della casa editrice milanese, estraggo:
Vite che ruotano intorno ai soldi, al desiderio di possederli, alla paura di perderli: l’ossessione, la dipendenza, l’angoscia, il lutto… si finisce per ridurre una società al denaro come misura del valore non solo delle cose, ma della stessa persona.
Andreoli parlava con passione di tutte le storture che l'«ossessione» per il denaro provoca nell'uomo contemporaneo. Secondo me era convincente, ma fino a un certo punto. Per carità, concordo in gran parte con le tesi da lui sollevate. E mi appassionava il suo accalorato argomentare e la sua critica radicale al potere. Tuttavia, quello a cui purtroppo lo psichiatra non ha accennato, forse impedito dalle ristrettezze dei tempi televisivi, è il perché il denaro oggi si è trasformato in un dio. Perché, cioè, il denaro sia diventato la «misura dell'uomo». Perché, da mero strumento al servizio dell'uomo per realizzazione dei progetti e la soddisfazione dei bisogni, il denaro è diventato «il bisogno».
Già, perché è avvenuta questa trasformazione? Chi o che cosa l'ha causata?
Queste domande mi sono tornate in mente stasera quando ho aperto un libro di Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane, Taccuini 1955-1971, Il Mulino, Bologna 1995, ove ho trovato questo breve brano che dà il titolo al post:
Quando un giovanottello venne a chiedergli che cosa avrebbe guadagnato a studiare la geometria, Euclide si volse a un servo e gli disse: «Dai tre oboli a costui, visto che ha bisogno di guadagnare da quel che impara...». Oggi, il mondo occidentale è percorso da torme di giovanottelli che fanno del guadagno (in denaro o in istruzione per l'azione...) il principio di ogni apprendimento. E sono stati i loro maestri a insegnare loro tale principio.
Allora, abbiamo trovato un responsabile: i maestri, gli insegnanti hanno insegnato il principio che il denaro è la misura di tutte le cose. Ma è realmente così? Le nostre scuole, e in ispecie quelle pubbliche, insegnano da trent'anni a questa parte agli studenti che lo scopo principale della vita è fare il denaro? Perché il denaro è l'unico mezzo che dà potere? Perché il denaro è l'unico dio da venerare? No, non è così. Anzi, sarebbe meglio che lo fosse stato. Almeno tale insegnamento perverso avrebbe avuto una sua "struttura" e non si sarebbe imposto nelle menti delle nuove generazioni con tanta forza, con tanta suggestione. Il problema di fondo è che i maestri, i veri maestri, non sono, paradossalmente, i docenti. Ma sono i modelli imposti dal mercato dei media. E i media, in Italia soprattutto, dagli anni 80 dello scorso secolo ad oggi, hanno fatto trionfare un modello di successo sulla cui fronte ha impresso il simbolo del denaro. Perché il denaro è l'unico mezzo per ottenere potere, dominio, riconoscimento, identità. La conoscenza e la sapienza, l'abilità in un qualsiasi campo dello scibile umano non sono più i crismi per accedere al potere. Ogni sapere, qualsiasi esso sia, deve essere teleologicamente orientato verso il denaro in vista del potere altrimenti non viene riconosciuto come tale, non viene considerato. È assurdo che (come accade in Italia) un fisico teorico guadagni meno di Simona Ventura, ma soprattutto: che abbia meno potere di lei.
Il potere muove dal denaro e il denaro vuole essere mosso dal potere. Un cortocircuito che porterà inesorabilmente a fare della Terra un deserto senza oasi.
2 commenti:
Bello. Sta bene insieme a «il lavoro è il padre dei vizi».
Mi fa molto onore questo tuo accostamento. Ti ringrazio
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