Alfonso Berardinelli è un noto critico letterario e saggista. Uno dei più acuti, sicuramente. Da qualche anno scrive (anche) per Il Foglio. Devo dire la verità: un po' mi dispiace. Mi dispiace perché io credo che il mezzo modifichi, in parte, il messaggio. Una prova? Prendiamo il suo articolo pubblicato oggi, La verità della Lega e la cultura da deculturalizzare al più presto. L'articolo si compone di tre paragrafi. Lasciamo perdere il primo legato, appunto, alle “brutali verità” della Lega (anche se ci sarebbe molto da dire al proposito. Fosse vivo, Franco Fortini gli avrebbe tirato uno scapaccione). Veniamo al n° 2, intitolato Troppa cultura.
Berardinelli riprende un articolo di Marina Valensise (una fogliante) e un libro di Filippo La Porta per ribadire che l'eccesso di letteratura fa male alla letteratura stessa. Che ci sono troppi laureati, troppi pensatori segaioli, che invece di zappare la terra, piallare una trave, caricare o scaricare autotreni, cuocere pizze, o battere il ferro, si mettono a tavolino a scrivere i loro romanzetti che non valgono un cazzo, o – peggio ancora – si mettono a scrivere i loro pensierini sui loro blog. E pensare che una volta c'erano fior di intellettuali che non erano nemmeno laureati. Ma con questa inflazione di pensatori la cultura si rovina.
«Marina Valensise ci dice che “il cambiamento legato al computer e alla tecnologia digitale” valorizzerà i lavori manuali e artigianali che non seguono procedure standardizzate: e che in futuro i diplomati e i laureati saranno probabilmente meno utili rispetto agli infermieri, ai trasportatori, ai giardinieri, ai falegnami, ai fabbri, ai cuochi. D’altra parte anche fra gli intellettuali e gli scrittori, in passato i non laureati non erano pochi. [...] L’Italia è stata per decenni malata di accaparramento di “posti di lavoro” nei quali di lavoro se ne faceva ben poco. Ma un paese in cui non si sa più lavorare va verso l’autodistruzione. Ricordo la Cuba di Fidel Castro: nessuno che facesse bene quello che faceva, sembrava che fare bene le cose non avesse senso. Una società che è stata in coma per decenni: simpatica, forse, ma sapeva di cadavere. Troppa politica, troppa estetica anche in Italia. Dedichiamoci di più alla manutenzione e alla riparazione. Si attendono corsi a puntate di falegnameria e di pronto soccorso.»
Belle considerazioni, vero? Soprattutto quando sono fatte da parte di coloro che già occupano posizioni di privilegio e che, invece di lettori che osano controbattere alle loro argomentazioni, hanno bisogno di trombai per far riparare le loro tubazioni. Mentali. Infatti, Berardinelli ci sta dicendo che compito della cultura non è far pensare il popolo e fargli esprimere, di conseguenza, il suo pensiero. No, a pensare ci pensano loro, intellettuali professionisti. Noi possiamo soltanto assistere alle loro battaglie di pensiero, un po' come si assiste a uno spettacolo sportivo, dove necessariamente pochi vanno in pista o nell'arena a contendersi la vittoria. Il problema, però, è che nello sport, contrariamente alla cultura e, figuriamoci, alla politica, ogni tanto anche i campioni vanno in pensione. E c'è ricambio. Anche Maradona ha lasciato il posto a Messi. Nella cultura, nella politica non è così. L'è tutto un rigirare di frittate. Un pascersi. Un bearsi. Un aspettare che sia la morte a generare il ricambio e non il pensiero, il confronto aperto, la discussione.
Infine, il terzo paragrafo dell'articolo che riporto per intero.
3.PRURITO DI PROBIVIRI.
- Hai visto? scrive sul Foglio.
- Veramente? Ora scrive sul Foglio?
- Già. E’ incredibile. Scrive sul Foglio.
- Stento a crederlo. Si è messo a scrivere sul Foglio.
- Proprio lui.
- Già. Però l’ho sempre pensato.
- Che cosa?
- Che era di destra.
- Ma che dici?
- Sì. Non lo avevi capito?
- No, io no. Ho sempre pensato che fosse di sinistra.
- Ti illudevi. Era di destra anche quando era di sinistra.
- Come fai a dire una cosa del genere?
- Lo intuivo. C’era in lui qualcosa...
- Che cosa?
- Non è mai stato veramente dei nostri.
- Credi questo?
- Sì. Era chiaro. Non dei nostri nemmeno allora. Era un individualista. Gli individualisti sono tutti egoisti.
- Ma che cosa scrive sul Foglio?
- Ah, non lo so. Io il Foglio non lo leggo!
- Non lo leggi mai?
- No. Mi rifiuto di leggerlo.
- Come fai a sapere che lui scrive sul Foglio?
- Lo so, me l’hanno detto. Lo dicono tutti. Si sa.
- Ma si sa che cosa scrive sul Foglio? Ha cambiato idea?
- Non lo so. Da quando scrive sul Foglio le sue idee non mi interessano.
- Già, lui scrive sul Foglio. Non importa sapere che cosa pensa.
- Proprio così.
- Sì, Lui scrive sul Foglio.
Un brano autoironico. Parlare di sé senza mai nominarsi. Che bravura. D'altronde Lui scrive sul Foglio. E non ne aveva nemmeno bisogno. Però ci teneva a precisare, dato che percepisce simili maldicenze che circolano, gratuitamente, alle sue spalle. Occorreva reagire, ironicamente certo. Non deve mica piccarsi di fronte a certe cose. D'altra parte se Lui ha fatto questa scelta e Piergiorgio Bellocchio no, ci sarà pure una ragione.
A parte.
Io, nonostante mi rincresca leggerlo sul Foglio, Berardinelli lo seguo sempre volentieri. Per le ragioni esposte nelle prime righe. Perché è un intellettuale interessante. Ma, gli chiedo: perché invece che sul Foglio dove molti, e comprensibilmente, si rifiutano di leggerlo, non esperimenta la scrittura bloggeristica? Io credo che, se lo facesse, avrebbe meno rifiuti e le sue idee, giuste o sbagliate che fossero, interesserebbero e, soprattutto, circolerebbero di più.
3 commenti:
Alfonso Berardinelli non è certo un Marcello Veneziani. Per un intellettuale di tale levatura è lecito esercitare una capacità critica anche remotamente paragonabile alla sua. Mi spiace che scriva sul giornale diretto da un personaggino ripugnante e laido come Giuliano Ferrara, uno che difenderebbe il potere anche se a stare sul trono fosse Charlie Manson. Mi dispiace perché scorgo tutto l'abisso che passa tra lui ed un giornalista pagato per usare sofismi assolutori delle malefatte degli oligarchi. Non ho elementi per asserire che il vecchio critico coraggioso di una volta sia diventato un borghese pantofolaio e reazionario, né apprezzo di più Piergiorgio Bellocchio perché tace mentre Berardinelli scrive; al limite potrei farlo perché preferisco le sue idee ed il suo stile. Non mi sorprenderebbe se uno come Berardinelli riuscisse ad essere coraggioso e feroce pur scrivendo su un giornale di regime. Non mi sembra che sia il caso di quest'articolo. Primo: le “brutali verità” della Lega è una tesi che non perdonerei nemmeno ad un mio allievo tredicenne, figuriamoci a lui. Questa storia della destra più onesta e lucida, più capace di dire l'amara verità della sinistra, straripante di anime belle e coi piedi poggiati sulle nuvole, è una favola da rigettare con fermezza ed è anche un luogo comune da quattro soldi. Il realismo non è monopolizzato dalla destra, possiamo ammettere ciò che ci spiace senza tema di degenerare nel razzismo rancido dei leghisti. Secondo: troppi laureati. Scherziamo? Siamo in un paese in cui nessuno legge, in cui c'è una marea montante di analfabetismo di ritorno, in cui è possibile ingannare un elettore con un banalissimo manifesto 6x6 e questa gente ha nostalgia dei vecchi idraulici ignoranti e rozzi? E perché non fare l'elogio dell'ultras violento, bestemmiatore, misogino e fascista? Terzo: il terzo paragrafo ha una potenza argomentativa pari a zero. Facile sparare sul settarismo snob di certa sinistra fanatica. Lui non è criticabile perchè scrive su quel fogliaccio, è criticabile per quello che scrive e sostiene.
Un commento come il tuo, caro P., gratifica e completa tutti i limiti del mio post.
Grazie.
Almeno Paolo Nori ha smesso di scrivere su Libero. E mi è tornato simpatico.
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