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Il desiderio dice: “Non vorrei dover io
stesso entrare in quest'ordine fortuito del discorso; non vorrei aver
a che fare con esso in ciò che ha di tagliente e di decisivo; vorrei
che fosse tutt'intorno a me come una trasparenza calma, profonda,
indefinitamente aperta, in cui gli altri rispondessero alla mia
attesa e in cui le verità, ad una ad una, si alzassero; non avrei
che da lasciarmi portare, in esso e con esso, come un relitto
felice”. E l'istituzione risponde: “Non devi aver timore di
cominciare; siamo tutti qui per mostrarti che il discorso è
nell'ordine delle leggi; che da tempo si vigila sulla sua
apparizione; che un posto gli è stato fatto, che lo onora ma lo
disarma; e che, se gli capita d'avere un qualche potere, lo detiene
in grazia nostra, e nostra soltanto”. »
Michel
Foucault, L'ordine del discorso,
Einaudi, Torino 1972 (traduzione
di Alessandro Fontana. Ed. orig. Paris, 1970).
Io
non ho avuto timore: ho cominciato. Ho iniziato, cioè, a parlare,
voglio dire a scrivere pubblicamente
esponendo quella parte mia di corpo che più volentieri espongo: la
mente, bella o brutta che sia, nuda, non tatuata, se non dalle
costanti citazioni che sottopongo per dar sostegno ai miei pensieri
deboli, insicuri, timorosi di uscire dal seminato, dalla semantica e
mi fermo, prendo fiato... Io quando parlo, quando scrivo – vorrei
che si capisca bene, che non mi si fraintendesse – parlo o scrivo
con la netta sensazione di non essere io a parlare, ma un discorso
che abita dentro me, anche se non so bene definire come questo
discorso abbia preso possesso della mia mente. Parlo e scrivo come se
fossi in trance, e dopo non mi sento tanto autorizzato a rivendicarne
la proprietà (intellettuale). Io (ma forse non soltanto io, forse
tutti), quando parlo, quando scrivo, sono parlato, sono
scritto; lì per lì mi sembra
di essere l'artefice, ma è un illusione: basta poco per accorgersi
che il linguaggio è come l'aria, soltanto più inquinata e
controllata dalla propaganda del potere. Il potere impone un
discorso, anche quello che lo contesta, purché il linguaggio che lo
compone stia dentro il sistema, un po' come le ipotesi ad
hoc stavano dentro il sistema
tolemaico. Poi, d'improvviso, venne Copernico (e con lui Galileo e
Keplero) e le stelle e i pianeti furono raccontati
in altro modo... ma questo è un altro discorso, ci porterebbe
lontano, fuori tema, fuori me.
Insomma,
sono abitato dal discorso che la società impone, non ne esco, non ne
so uscire, perché tutto quanto il linguaggio che è là fuori non mi
appartiene, non riesco a immaginarne un altro di discorso, un nuovo
paradigma, una nuova tessitura di parole che scardini il potere in
senso generale ma anche quello spicciolo della lingua che si parla
tutti i giorni con i propri simili, sempre in bilico tra il silenzio
e la finzione. Voglio dire: oggi sono stato “costretto” a
partecipare a un gioco in cui dovevo dire, età, passione e cibo che
mi piace di più. Colei che conduceva il gioco ha detto: «Ho x anni,
mi piace il mare e la vela, e come piatto la pasta con pesce e
verdure».
Altri
hanno detto la loro. Poi, inaspettatamente, ho dovuto dire anch'io:
«Ho x anni, mi piace scrivere e leggere, e il pan di ramerino».
Bene, quel mio discorso è stato parzialmente il mio discorso, perché è
stato un discorso controllato, non vero in toto dunque, perché trattenuto.
Io non potevo certo dire, come seconda cosa: «Mi piacciono le tue
tette», rivolgendomi a colei che conduceva il gioco. E non ho potuto
perché io non sono Copernico (né Galileo, né Keplero). Però, ora
che ci penso, sarebbe stata una rivoluzione.
8 commenti:
Ma lei lo sa comunque, puoi esserne certo.
Peccato tu abbia deciso per la velatura: il gioco ne avrebbe tratto vantaggio, a mio parere :)
In tal caso avrei voluto essere presente per vedere come se la sarebbe cavata la conduttrice.
Buona serata
dimenticavo: da noi c'è un pane simile, si chiama gramulin: tutto uguale ma senza rosmarino. Sapore e profumo proustiano :))
@ Giovanni
Se così fosse, mi auguro abbia apprezzato questa mia passione espressa come un ventriloquo.
@ Astime
che bel nome "gramulin". Son sicuro che mi piacerebbe, ho un debole per i pani dolci, non troppo zuccherosi.
Riguardo al gioco: non era proprio luogo ove potessi "svelarmi".
Ed io che ho invece il sospetto che sarebbe stato molto più "imposto dal potere" proprio il tuo apprezzamento sul seno dell' interlocutrice...
Mah: vecchi retaggi di vecchio femminismo, i miei...
Hai in parte ragione, Morena, e dico in parte perché io mi illudo che, se l'avessi detto, non avrei voluto far altro che esprimere ammirazione verso la bellezza femminile.
Come quando uno, camminando nel bosco, si trova davanti un magnifico albero e non può trattenersi dal dire: quanto sei bello.
Bellissimo, questo tuo andare. E mi trovo subito concorde, con ciò che vai dicendo.
Un paio di spunti: che non ti senti autorizzato a rivendicare la proprietà intellettuale di quello che ti trovi a dire mi ha fatto venire in mente una difficile affermazione di uno psicoanalista che si chiamava Bion: la verità non ha bisogno di un autore, la bugia sì.
L'altro punto è, se ho capito bene, una allarmata rassegnazione al potere del discorso, alla nascita al linguaggio, successiva alla nascita segnata dall'anagrafe all'aria e alla luce, quella del compleanno che infine ci ricorda solo la nascita delle nascite che si impiantano sulla prima e, come fa il discorso, tendono ad prenderne possesso. Dopo la nascita al linguaggio è impossibile tornare indietro - ecco, mi pare che tu vada dicendo: che faccio, dopo che ho pensato e detto che è impossibile tornare indietro, ci metto un punto interrogativo o vale uno affermativo?
E' un po' come quando una persona è presa dalla disperazione perché un'altra persona amata se ne va via. Magari dopo tanti anni di rapporto, magari avendo avuto insieme dei figli, tutta una lunga intensa storia di vita insieme. Sembra invivibile, a volte, la separazione. C'è chi non ce la fa. Eppure c'è stato un periodo, lungo, altrettanto intenso, prima, prima di aver conosciuto la persona che se ne andata via, e spesso è stato un periodo di vita altrettanto vissuto, significativo, per il quale la persona ora disperata può dire: io. E' recuperabile, quel prima, quell'essere, quel sentire, quel pensare?
Non so se mi sono fatto capire. Di prima in prima, si dovrebbe arrivare al primo anno di vita, almeno ragionando secondo le regole del discorso. Anno intensissimo, per tutti. Prima del linguaggio.
Va bè, scusa la lunghezza. Propongo un'attenuante: ti leggo sempre con piacere.
caro Rom, grazie. Io pure ti leggo (vedo) altrettanto volentieri, dato che tu mi leggi e dici, a volte, anche là dove io non riesco a leggere e a dire. E dico questo senza alcuna captatio benevolentiae. Buona primavera
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