«La cosa è naturale: le parole giustizia, diritto, equità, libertà [cultura] non hanno per sé nessun valore; acquistano valore appena sono pronunziate da qualcuno, e il loro valore è diverso se questo qualcuno è un operaio o un appaltatore, un contadino o un marchese.» Gaetano Salvemini, L'avvenire del partito cattolico, 1898, in Stato e Chiesa in Italia, Feltrinelli 1969.
C'è
un accorato appello di Armando Massarenti sulla prima pagina della
Domenica del Sole
24 Ore di oggi. «Noi,
analfabeti seduti su un tesoro»,
è il titolo dell'articolo, che fa parte di una serie di interventi
che la testata culturale propone da alcune domeniche per promuovere
un Manifesto per la costituente della cultura, al
quale hanno aderito numerosi personaggi di spicco della cultura
italiana ed europea, insieme a molti altri liberi cittadini sensibili
a tale tema.
Riporto
l'occhiello dell'articolo:
«Il
tasso di analfabetismo funzionale ha raggiunto livelli guardia. O
l'azione di Governo sarà in grado di far fronte all'emergenza o per
l'Italia il declino è certo».
L'analfabetismo
funzionale sarebbe quello che una volta veniva chiamato analfabetismo
di ritorno. Gli analfabeti di oggi
«sanno
leggere “tecnicamente”, nel senso che per lo più riconoscono i
caratteri, e sanno maldestramente far di conto. Peccato che nell'80
per cento dei casi non capiscano quello che leggono e non dispongano
di quel minimo di attrezzatura intellettuale utile a orientarsi nel
mondo […] E se nei paesi civili la media dei cittadini di questo
tipo si assesta sul 20%, da noi le percentuali sono invertite».
E
questo, lamenta Massarenti, accade in una nazione che è mondialmente
riconosciuta come «il Paese della Cultura».
La
Cultura potrebbe essere l'elemento decisivo per fare da traino al
rilancio dell'economia e allo sviluppo globale del paese: ne sono
convinti i redattori della Domenica dei
Il Sole 24 Ore, tanto
che oggi riportano, nelle pagine centrali dell'inserto culturale del
quotidiano di Confindustria, esempi concreti di come «la
cultura fattur[i]» e di come la
creatività possa fare impresa.
C'è
anche un trafiletto ove è stilata una proposta in 12 punti
(rivolta al governo e al parlamento) volta a “stimolare”
l'iniziativa imprenditoriale nel settore della cultura.
Tutto
molto bello e interessante.
Quello
che manca, però, all'analisi di Massarenti è immaginare cosa
potrebbe accadere qualora gli italiani recuperassero il gap
e diventassero degli acculturati funzionali,
degli intellettuali capaci non solo di apprezzare e far profitto
mediante il patrimonio culturale (di cui sono eredi), ma capaci,
altresì, di pensare, ragionare, di guardare fuori del recinto del
proprio tornaconto personale, di compiere uno “sforzo
intellettuale” che rompa la “gabbia” dei fatti immediati in cui
sono rinchiusi.
Se
insomma gli italiani riuscissero a disporre «di quel
minimo di attrezzatura intellettuale utile a orientarsi nel mondo»
cosa potrebbe accadere?
Smetterebbero
di seguire, da spettatori, lo sport (lo sport, per uno spettatore,
non è cultura è assopimento della ragione) e diventerebbero dei
paladini del FAI, dei volontari di biblioteche, degli amici dei
musei, degli abbonati alle stagioni teatrali, degli archeologi della
domenica, eccetera?
E
questo sarebbe sufficiente per fare uscire dalla crisi il Belpaese?
Per
quanto auspicabile questo evento sia, non credo che esso possa
consentire un nuovo “miracolo economico”.
La
vera cultura, in
fondo, quando non è mero intrattenimento del principe,
o distrazione, è accrescimento di sapere, di conoscenza, di spirito
critico.
E
aumentando lo spirito critico ci si accorge facilmente che è la
struttura stessa del sistema capitalistico da cambiare, che è questo
tipo di società da modificare, questa palese divisione in classi da abbattere.
E
aumentare il sapere di solito apre gli occhi.
Sto
leggendo Salvemini. Che potenza. Articoli scritti sotto lo pseudonimo
UN TRAVET, e pubblicati in vari numeri di Critica Sociale
del 1898.
Riporto
un suo ragionamento,
che era rivolto alle contraddizioni insite che sarebbero – secondo
lui – scoppiate se e quando il partito cattolico
avrebbe preso il potere. Siamo nel 1898. Leggiamo.
«[dicono i cattolici]. Noi vogliamo giustizia in tutti i rapporti sociali. Bravi! Prendiamo un rapporto sociale determinato, per esempio quello fra intraprenditore e operaio mentre fissano il salario del lavoro. Quando si avrà la giustizia in questo rapporto? Ed ecco che, di fronte al problema preciso, determinato, dal quale non si può sfuggire con quattro parole astratte, scoppia il dissidio [tra cattolici “ricchi” e cattolici “poveri”]. La giustizia del salario dev'essere necessariamente intesa in modo diverso dall'intraprenditore e dall'operaio; il primo sarà sempre portato a ritener più giusto il salario più basso, il secondo a ritener più giusto il più alto. L'economia liberale, astraendo dal giusto o dall'ingiusto, dichiara che il salario del lavoro dipende dalla libera volontà dei contraenti e dalla legge dell'offerta e della domanda. Ora, siccome nella presente società l'operaio non è libero di non lavorare e, per non morir di fame, deve vendere la sua merce-lavoro a qualunque prezzo, l'economia liberale viene ad affermare la omnipotenza dell'appaltatore e la schiavitù dell'operaio. L'economia socialista riconosce anch'essa il fatto evidente, che nella nostra società il lavoro è una merce, il cui valore dipende dall'offerta e dalla domanda; ma dice all'operaio: finché resterai solo, il tuo lavoro non avrà valore; riunisciti coi tuoi compagni di mestiere e, come l'intraprenditore nel gioco della domanda e dell'offerta cerca importi colla forza del capitale il salario, che meglio corrisponde al suo interesse, tu, colla forza dell'organizzazione, cerca d'imporgli il salario, di cui hai necessità per soddisfare i tuoi bisogni». G. Salvemini, op. cit., cap. V, «Il programma sociale dei cattolici. Cattolici conservatori e cattolici democratici».
E
dunque, dando per scontato che le elites capitaliste sappiano già
orientarsi nel mondo e che, quindi, è il popolo a dover
acquisire quello spirito critico necessario per fare altrettanto, è
presumibile che coloro che sono al potere ora facciano di
tutto per non fornire alla moltitudine delle persone le attrezzature
intellettuali necessarie per aprire gli occhi, organizzarsi e
fotterli. O no? Quindi, gentile e illuminato Massarenti, di quale
tipo di cultura, di sapere voi del Sole 24 Ore auspicate la crescita?
3 commenti:
questa gente non si chiede mai il perché delle cose e quando, per sbaglio, s elo chiede dà risposte ideologiche.
anche Salvemini dà risposte ideologiche, adatte al suo momento storico. non basta più organizzarsi per ottenere salari più alti. i capitalisti sono organizzati meglio per salari più bassi.
potrei riportare qui tutto il cap. 23 del I libro de Il Capitale, ma so che non è necessario perché tutti lo conoscono molto bene.
C'è da oltre cent'anni una leggenda che vuole Il Capitale di Marx "difficile": non è vero e vi sono persino dei capitoli che si possono leggere come un romanzo storico
chi scrive su Il Sole 24ore non ha alcun diritto di parlare di cultura:
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2012/02/kultura.html
Allora vado direttamente al 23 ch'io non l'ho ancora letto e mi fai arrossire. :-/
Dimenticavo... ma avevo già letto - e apprezzato - il tuo post :-)
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