venerdì 14 settembre 2018

Lettera all'Europa

Cara Europa,

sto affrancandomi, imbustandomi,  indirizzandomi, ergo spero in una spedizione via posta lenta (la celere mi inquieta), per giungere, con calma, a te, destinataria, affinché tu mi riceva e accolga, aprendomi, sbustandomi, leggendomi, c'è scritto quanto segue, nulla più, alcuna sorpresa o contenuto scabroso, se non quello, appena accennato, riferito al fatto che oggi una collega mi ha sussurrato all'orecchio la vicenda d'un prete spretato che si è sposato con una suora che aveva fatto voto di vastità al Signore (una consonante pare abbia salvato entrambi dalla condanna eterna).
Basta poco per confondersi e allentare la presa del silenzio: similmente a un coperchio Bormioli sottovuoto, è sufficiente fare una piccola pressione a leva sul bordo fino a notare al centro un lieve rigonfiamento, indice che si può svitare facilmente il coperchio, aprire il barattolo, non sentire una parola, un brusio, un fruscio, un raglio, niente: silenzio non udito che esce da sé stesso per diventare un silenzio ascoltato. La partitura, purtroppo, dura poco, al massimo quattro minuti e trentatré secondi interrotti soltanto da qualche lieve colpo di tosse.
Dunque, cara Europa: ci voleva questo governo per renderti a me gradita anche nei presenti momenti bui, junkeriani, svaccati su presidenze parlamentari itajane. Volevo solo dirti che io spero ancora in te, come in una puttana che promette amore a ogni centesimo. 
Siamo all'epilogo di questa lettera: prima che di ripiegarmi in tre, in quattro, strapparmi e/o cestinarmi, vorrei segnalare di buttare un occhio alle albe e ai tramonti che nel periodo equinoziale sono offerti a noi terrestri della zona temperata. Bene, in quegli attimi, pensiamoci legalmente.

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