mercoledì 31 dicembre 2008

La poesia dei buchi neri

*

L'idea del buco nero, della materia così concentrata in qualche punto del cosmo da non permettere più nulla di sfuggirle, era sempre parsa molto poetica allo scrittore. Siccome aveva sentito che sul numero di marzo del New Scientist sarebbe apparso un articolo in occasione del centenario di Einstein in cui si sarebbe parlato anche dei buchi neri, aveva comprato quel numero della rivista. Ma ancor di più lo colpì, in relazione a quanto era accaduto negli ultimi mesi, un limerick pubblicato circa a metà del pezzo su Einstein. Il limerick diceva così:

There was a young lady named Bright

Who travelled much faster than light

She left home one day
In a relative way,

And came home the previous night.


Senza saper dare una spiegazione, sapeva che gli era capitato qualcosa di simile. Del resto a chi avrebbe dovuto spiegarlo, se lui stesso non lo capiva?

Amsterdam/Roma, estate 1978/primavera 1979

Cees Nooteboom, Il canto dell'essere e dell'apparire, Iperborea, Milano 1991, pag. 95

*Giovanni Boldini, Donna seduta sul letto

martedì 30 dicembre 2008

Mururoa mon amour



Se solo il sole fuori sciogliesse le tenebre
Che avvolgono la via, e varchi aprisse,
Insenature, anse dove dolce sarebbe l'approdo;
Se solo sui lievi movimenti d'un corpo soddisfatto
La luce risplendesse e l'anima sgorgasse -
Potente sorgente. La luce, dicevi, accendi la luce
Che al buio dovremo starci un'eternità.
E il mare, cosa direbbe il mare se d'improvviso avvampasse
La fibrillazione nucleare? Si tace, si tace ed accoglie
Centomila gradi e scioglie di sé rocce millenarie, sapevi?
Se solo l'uomo restasse presente a vedere se stesso sciogliersi
Diventare niente - Caronte mio, ti crucceresti?

Noticina a margine
Questi versi furono scritti, mi pare nel 1995, in occasione dei test nucleari francesi nell'omonima isola dell'arcipelago polinesiano.

lunedì 29 dicembre 2008

Benedetto Coraggio.



Guglielmo Caccia detto il Mincalvo (Montabone 1568? -Moncalvo 1625)
Le quattro Virtù cardinali, Prudenza
Olio su tele, 142 x 210 cm.
Casalmaggiore, Santo Stefano


Ma come serve prudenza? Diventare santi, ritardare il momento della verità può essere sacrificato alla prudenza? Forza Benedetto XVI, prenota subito una visita in Terrasanta per essere santo subito! Forza, fa' vedere a tutte le altre grandi religioni del Libro di che pasta era fatto Gesù Cristo! Forza ché la prudenza altrimenti la viene intesa come sinonimo di pavidità. Vien via, mal che la vada tu diventi martire, ossia testimone e dunque santo subito.

P.S.
Padre Lombardi dichiara: «per noi, come persone religiose, uno dei fatti più drammatici del tempo di oggi [è] che il nome di Dio, che la religione come tale, siano occasione di tensione e di violenza invece che di armonia, di amore e di contributo ad una costruzione dell'umanità di oggi nella pace. Su questo dobbiamo essere molto consapevoli e non abbassare assolutamente la guardia
»
Come persona non religiosa, vorrei invece suggerire a Padre Lombardi di abbassare assolutamente la guardia e di rinunciare per primo al proprio Dio, al proprio idolo, al proprio vessillo, al proprio Gott mit uns: forse, dimostrare alle altre religioni di poter far a meno della propria, potrebbe dar luogo a un disarmo unilaterale dei propri dèi, potrebbe permettere di riconoscere nell'Altro soltanto un essere umano e non un infedele.

Fortezza 45.

Rifare il fatto, Eccellenza, come si può
Tornare uno che è stato
Milioni di ore al di qua
Di ciò che fu cancellato:
Volti di ieri che vegliate ai margini
Ammiccanti pagliuzze nel fango del cammino!
Alla vostra indulgenza io qui mi rassegno
Potessi sulle mie proprie braccia depormi
Esser colui che porta ed è portato -
Prezzo del male commesso
Più verso gli altri
E me stesso

19-22 settembre 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

NOTICINA A MARGINE
Finisce qui, con questa quarantacinquesima poesia, la sequenza centrale di Fortezza che ho voluto riportare per intero. Le ragioni che mi hanno spinto a questo non mi sono del tutto chiare: è stato un esercizio, una specie di dettato di questi versi ambigui, dai molteplici significati. Versi che andrebbero letti, riletti data la loro chiara oscurità. Questo piccolo sforzo vorrei dedicarlo a Eluana e ai suoi genitori: essi rappresentano la vera fortezza intesa sia come resistenza, sia come virtù, sia come fortificazione di solide mura, baluardo contro l'intolleranza e l'integralismo.
Per favore, provate a leggere quest'ultima poesia pensando a Eluana: è incredibile, ma a me pare di sentire la sua voce che dice, sussura
potessi sulle mie proprie braccia depormi.

domenica 28 dicembre 2008

Soli di fronte ad altri individui soli



«Non possono più esserci risposte legate a una determinata dottrina; ciò che è stato vissuto e pensato all'interno dei sistemi religiosi può ormai avere valore solamente strumentale; è patrimonio di un passato a cui si può, spesso si deve, attingere per provare ispirazione, ma la risposta autentica può nascere solo dall'accettazione della perdita. [...] Soli di fronte ad altri individui soli, dobbiamo imparare a leggere in noi stessi per leggere negli altri, nel mondo, nell'epoca. Non possiamo più delegare questo compito.»


Giancarlo Gaeta, Le cose come sono. Etica, politica, religione, Libri Schelwiller, Milano 2008, pag. 14

Fortezza 44.

Steso davanti alla sua tomba - sì
Tepore della pioggia e nessuno
Che gli venisse alla mente
Venirmi a cercare là:
Requie eterna tornare a dormirti insieme
Via di salvezza ma a chi e quale dove
Io fructus ventris tui io che di te
Unicamente persisto

8-14 febbraio 1990

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

sabato 27 dicembre 2008

Revoilà



Ci risiamo. Ritorna la battaglia, lo scontro, la guerra. Duecento e passa morti in un colpo e ce n'est qu'un début. Avrà mai fine questa tendenza all'estremo? Ci sarà un ultimo scalpo? La violenza è di nuovo scatenata, e tutte le parti in lotta si credono di dirigerla, di controllarla a proprio piacimento. E invece è la violenza la grande burattinaia: essa dirige e controlla il fare umano, soprattutto il fare del Potere.
E tutto si traduce nel desiderio di annientare l'Altro: il destino dei fratelli nemici è il destino di tutta l'umanità.

P.S.
Mi sento come una particella di sodio nell'acqua del Letè.


P.S.2
Chissà se il PIL israeliano subirà un'impennata di fine anno.

La morsa del gelo


Questa è una morsa...



... questo è il gelo...



... questi sono i titolisti dei giornali e telegiornali.

venerdì 26 dicembre 2008

Sogno e distrazione

*

Io che distrattamente misuravo
la lunghezza delle tue mani
per sapere quanta parte del mio viso
potevi conquistare.
L'aggiunta risoluta di soffi -
leggeri soffi sulla fronte -
riportava l'attenzione al movimento
chiaro e fresco naturalmente
incerto e pervasivo
come fosse cosa seria
da prendere attentamente in considerazione.
Di poi tu passavi
noncurante e necessaria
come l'amaro elisir rinfrancatore -
di pace e tenerezza e tenue inquietudine
era invaso lo stare mio seduto
a guardarti dal basso all'alto
affresco restaurato e pieno
dei colori ripensati dall'artista
consapevolmente assorto e quindi
distratto per capire
ch'eri un sogno.

* Michelle Doll, Study for Before Summer Rain, 2008, oil on mylar 8 x 10
(grazie ad Anna per la segnalazione)

Fortezza 43.

Il nodo che mi tenne -
Un passo indietro un passo indietro fino all'orlo
Del solo minuto perenne:
Meglio osare la trappola
Lasciata la vana battaglia
Di tanta impostura avvinta al vero:
Fra inchini e contriti sorrisi e scattare di saluti
Quale dopo Hiroshima sul ponte dell'ammiraglia
Il Figlio del Cielo

10-12 settembre 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

giovedì 25 dicembre 2008

Portami con te



Portami con te nel mattino vivace

le reni rotte l'occhio sveglio appoggiato

al tuo fianco di donna che cammina

come fa l'amore,

sono gli ultimi giorni dell'inverno

a bagnarci le mani e i camini

fumano più del necessario in una

stagione così tiepida,


ma lascia che vadano in malora

economia e sobrietà,

si consumino le scorte

della città e della nazione


se il cielo offuscandosi, e poi
schiarendo per un sole più forte,

ci saremo trovati

là dove vita e morte hanno una sosta,


sfavilla il mezzogiorno, lamiera

che è azzurra ormai

senza residui e sopra

calmi uccelli camminano non volano.

Attilio Bertolucci, Viaggio in inverno, Garzanti, Milano 1971

mercoledì 24 dicembre 2008

Fortezza 42.

Angelus monet Monicam de salute Augustini:
Ma non è vero credimi
Io sto bene - solo
Che ogni pensarmi è movimento e io
Meglio di no, chi pensa
Subito è visto e perciò
Nemmeno prego sii tu a riempire il mio vuoto
Fosse mai dato sporgermi a un finestrino di cielo:
Bouge pas, bouge pas
Ancora un po' e mi dimentico - domani
Ti spiego

6 settembre 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

Buone feste Monsieur Emile-Etienne Baulieu



Monsieur Ru486 non porta sulla coscienza il peso di milioni di "bambini mai nati". «Anche gli spermatozoi sono vivi eppure ne vanno persi milioni senza nessun problema etico». Quando un ovulo fecondato diventa un bambino? L´anziano medico risponde senza esitazioni. In automatico. «Ho due risposte. La prima è a partire dal momento in cui gli altri cominciano a riconoscerlo come tale. Nel caso della società a partire dalla sua nascita. Tuttavia, la seconda risposta mi sembra più precisa: tutto dipende dalla donna, dal momento in cui la donna comincia a sentire questo embrione come un nuovo essere. Quando una donna ha un ritardo, lo esprime giustamente così: "Ho un ritardo". Alcune settimane dopo, comincia a dire: "Sono incinta". Però ha bisogno di un tempo considerevole per dire: "Aspetto un bambino". È soggettivo. È tutta una questione psicologica».


tratto da
Repubblica 23.12.2008
Il Dottor Pillola "La mia Ru486 e le donne"
di Anais Ginori

lunedì 22 dicembre 2008

L'esempio viene dall'alto



Da alcune settimane il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri del Governo della Repubblica, onorevole Silvio Berlusconi, spinge continuamente noi italiani a spendere, ad investire. Ora, io non voglio entrare nel merito se tale insistente suggerimento sia o meno congruo. Mi limito solo a constatare che il primo cittadino a dare l'esempio di spendere a più non posso dovrebbe essere lui. In fondo, Berlusconi è o non è l'uomo più ricco d'Italia? Ha o non ha tanti soldi da spendere? Io ritengo ch'egli, da solo, possa notevolmente aiutare il rilancio dell'economia nostrana, a patto che non faccia ristagnare il suo denaro e che lo faccia, invece, circolare, prendere aria.
Per esempio, fin dal mattino potrebbe entrare in un bar e ordinare centocinquanta caffè e altrettante paste; dal fornaio ottomila chilogrammi di pane e affini; e via discorrendo lungo tutta la catena alimentare.
Io penso che Berlusconi possa davvero rendere un efficace impulso alla nostra economia; a patto che non si limiti a comprare case, ma anche cose. Di più: se egli desse l'esempio (visto che l'esempio, ehm..., viene dall'alto), anche gli altri trentamila super ricconi d'Italia saranno indotti, per imitatio, a comportarsi alla stessa maniera.
Per concludere, se davvero Berlusconi cominciasse a spendere a fondo e a dilapidare un po' del suo immenso patrimonio, egli diventerebbe in breve tempo una sorta di re taumaturgo (in un certo senso lo è già: vedi - visto a Blob - le dichiarazioni di Carlo Rossella che ha affermato di non conoscere nessun'altra persona come Berlusconi capace d'infondere tanta energia) che imponendo le mani (anzi, ponendo le mani al portafoglio) resuscita la morta economia nazionale.

Fortezza 41.

Due parti ha il supplizio -
Non creda che noi non soffriamo
La stretta di questa veglia
Egli lo sa - la sua carta è resistere
E non ha chi l'aspetti a un caldo desco di casa:
Ieri in una pausa della corda giocavamo
E lui a vincere e vincere senza fare parola -
Fortuna è che ogni posta è proibita
Altrimenti ci pensa quale scherzo
Per lui giocarsi la vita

31 agosto-1° settembre 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

domenica 21 dicembre 2008

La rivoluzione in pantofole



Stamattina, leggendo le dichiarazioni di Emanuele Filiberto, il mio pensiero è subito corso alle circa trentamila famiglie aventi, nelle loro comode case, il meter (marchingegno per rilevare i dati che servono all'Auditel per misurare gli ascolti tv).
A queste cortesi famiglie vorrei rivolgere un appello e fornir loro delle indicazioni; parto da queste ultime:

Gentili Famiglie Auditel, voi che siete il nostro campione rappresentativo vi supplico di seguire queste semplici indicazioni:
  • tenere spento il televisore più a lungo possibile;
  • ogni volta che appare una sequenza pubblicitaria, cambiare canale;
  • stessa cosa quando ci sono le telepromozioni;
  • guardare pochi telegiornali, soprattutto evitare quelli delle 20;
  • scegliere bene i film e i telefilm;
  • evitare come la peste qualsiasi forma di reality;
  • evitare i programmi pomeridiani infrasettimanali e domenicali che frappongono cronaca, costume e pettegolezzo;
  • guardare poco sport (soprattutto il calcio);
  • cambiare canale ogni qual volta v'è una dichiarazione di portavoce politici;
  • spengere la tv ad ogni battibecco o rissa televisiva (soprattutto tra politici);
  • guardare necessariamente Blob;
  • ... (si accettano suggerimenti)
Gentili componenti delle Famiglie Auditel, se riuscirete a fare questo, avremo la possibilità di assistere a un vero e proprio cambiamento culturale, politico ed economico del nostro Paese. Voi avete nelle mani lo strumento per cambiare il volto dell'Italia, non solo televisiva; voi avete la possibilità di farci ottenere un'autentica rivoluzione (non di velluto, bensì in pantofole), senza nemmeno il bisogno di lanciare un petardo.
Care Famiglie Auditel, avete nelle mani lo strumento per un nuovo Rinascimento Italiano. Siamo qui, credo in molti, a sperare in voi. Siamo qui, pronti ad aiutarvi. Ciò che vi aspetta è un compito difficile, arduo. Ma ricordate: non siete e non sarete soli.
Con fiducia e solidarietà vi porgo i più fervidi auguri d'incoraggiamento.

sabato 20 dicembre 2008

Buco d'ozono


*

Dimmi del sole se è nemico
stamani o se il velo d'ozono
protegge il respiro del gregge smarrito

Dimmi se il velo d'ozono s'è rotto
brav'uomo, scienziato, vigile urbano -
dimmi che non è colpa dell'uomo

Dammi un dio, un sole, una vendetta
dammi nemesi per i provati polmoni -
non dirmi che siamo solo coglioni

Strappami il pelo di dosso, potente:
Glabro sarò e più avvelenato il mio dente
ti toccherà l'osso

Sei un pusillanime, dimmi ch'è vero -
pensiero manifesto, ho i dati alla mano:
ho ancora una mano?

Ho un dito secco, amico
del sole e del velo d'ozono:
è il medio di Galileo

Entra su nel museo di Storia della Scienza
in piazza Giudici, a Firenze
o politico potente e pezzo di merda

Guarda quel dito saggio che il sole
di maggio toccò, nel crepuscolo fiorentino -
pensalo a contatto col tuo intestino

Ottuso imbecille vigliacco
testa catalitica, fiato di benzene
sommo cesare rincoglionito

Che rendi il mio dire così
tosto ed ardito -
ho ancora il mio dito?

C'è un buco d'ozono nel cielo lassù -
aiutami tu a dare pensiero
aiutami tu a rattoppare quel velo

Ad accendere un cero a Manitù

Nota a margine
Questi versi furono scritti una quindicina d'anni or sono; tuttavia sono ancora molto adatti in riferimento alle nostre bizze governative messe a confronto ai proponimenti di Obama.

venerdì 19 dicembre 2008

Fortezza 40.

Stanotte visione dei gatti -
Ero io per primo a vezzeggiarli:
Qua bei micini - e intanto
Buffamente librati alla mia altezza
Non loro a me bensì io a loro mi appressavo:
Seguite poi le mani alle parole
Come si fa per scambiare carezze
Subito ecco alle mie dita conficcarsi
Maligne unghiette erpici di zampe
Perciò guaìvo: aiutami!
A una chiusa madre senza nome

20-21 agosto 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

mercoledì 17 dicembre 2008

Fortezza 39.

E più tenti di uscirne e più vi si chiuda
Macina di pensieri
Dove ieri al domani si confonda
Bambino che una storia cattiva inventa
A se stesso, s'imbozzola nelle sue spire
Recategli fiori e menta blandi veleni
Fatelo vostro nel cuore
Di voi ciascuno apparendo
Complice suo redentore:
Ditegli - è tutto per finta
E la guerra è lontana la guerra
È quasi vinta.

19-23 agosto 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

lunedì 15 dicembre 2008

Il pane quotidiano



Oggi, dal fornaio, dopo aver comprato il pane.

Io: "Arrivederci e buon lavoro".

Fornaio: "Buona giornata, Massaro; e che Dio ti benedica".


Io: "Altrettanto, se ci fosse".

Fortezza 38.

Crudamente il più del tempo
A voce sterminata costruendo
Parole che suppone ascoltate -
Sì, ho ucciso Dio
Purché ve ne andate!
Ma come unico astante si scopre
Fra il vacuo e il dentro di sé
Presto all'oblio le ricaccia non sono mai nate -
De mì ninguna cosa hay que fiar
Detto quasi ridendo

15-18 agosto 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

domenica 14 dicembre 2008

Scene da un matrimonio



Scorro strade di rimando e nutro asfalti con viscere di rospi in pensione; e tengo alta la tensione che mi scorre lungo i fili dell'alta elettricità. Vo a quindicimila come i baci che ti detti, con quella soddisfazione ubriaca d'un sentimento che ora non c'è (e se c'è non corrisponde al vero). Eppure fatico ad aggrapparmi a quei baci e a quegli abbracci che ti detti un tempo, visto che ora tu sei qui presente e non permetti la presenza più forte del ricordo. Perché è il ricordo che ti vuole e non questa presente sciatteria che ci conduce a una vita anonima di sentimenti e di emozioni che cerchiamo sempre altrove. Tu sei qui e non sei ciò che vorrei tu fossi. Non sei il pensiero forte che fosti e non sei le lacrime dei miei futuri desideri. Tu sei qui e io ti sono a fianco e insieme siamo il nostro fastidio.
Occorre un immane sforzo di fantasia per riproporci come non siamo e come vorremmo che fossimo. Siamo qui intrappolati l'uno sull'altro e non ci diciamo amore proprio per il fatto che l'amore è un'altra cosa, è un altro buongiorno, un'altra rivelazione. Siamo qui perché siamo buoni e non vogliamo che i nostri gesti feriscano qualcosa la cui carne ci appartiene, qualcosa che ci sta incollati alla pelle come un cerotto su una ferita, e che non osiamo strappare per non sentir troppo male. Siamo qui, sospesi, e ci tiriamo avanti: vai avanti tu, ognuno a ripetere dentro il freddo delle lenzuola. Siamo qui e ci inganniamo: giocatori sfavati che preferirebbero una volta per tutte puntare tutto e perdere (o vincere) senza più ritrovarsi tra le mani la noia di una reciproca presenza. Siamo qui, e non è più vero che si è uno per l'altro la propria meta (o metà), ma ci si tiene solo per resistere e conservare quella traccia minima di bene che ancora ci appartiene. Siamo qui perché fuori è buio e perché ciascuno è per l'altro una fredda stella che confonde la direzione del nostro cammino, come le falene sono confuse dalla luce dei lampioni. Siamo qui, e sbattiamo la testa uno sull'altro e ci troviamo addormentati, ciascuno chiuso dentro i suoi sogni.

sabato 13 dicembre 2008

Fortezza 37.

Flügen, fliegen - e mai
Che possano le secche dita
Tenervi a sé lacerarvi:
Dovunque nella notte uno sfiorarvi
Nuptiae nuptiarum - su e giù
Di ventitanti veli scala e vortice
Volo di tòrtore e infine
Il flauto:
Però vi prego che mi lasciate
Visitanti visioni
Vagate altri prigioni
A esse non già a questa recate la vostra
Alba melancolìa - e l'infamia
Che mi costa

8 agosto 1989


Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

venerdì 12 dicembre 2008

Fortezza 36.

Anche da Lei vorremmo trarre consiglio -
In carne e ossa egli è certo in nostro dominio
Ma non così l'astuzia di prudenza
O idea che lo sostiene:
Ai miei ho ordinato di stargli addosso
Non con mani e catene
Ma giorno e notte nei pensieri suoi fare nido
Che svuotato si arrenda:
Fotografargli dentro la testa
Abbiamo provato - era tutto
Fili di ragno e foresta

4 febbraio - 5 agosto 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

giovedì 11 dicembre 2008

Fortezza 35.

Ha poco tempo, lo so, Monsignore -
EccoLe dunque in due parole
La sorte d'un che vuole
Fisso stando impalato
Di questo mondo da un costante lato
Vedere com'è fatta in faccia una
Gemella dell'altra faccia della Luna:
Per cui sia d'uopo contemplare il combinarsi
D'un triplice accidente -
Primum di lei che su se stessa ruota
Ora piena mostrandosi ed or vuota
Intanto che sull'asse immaginario
In lui persiste il nostro
Girarsi intorno solitario
E tuttavia satellite orbitando
Intorno al Sole fuoco sedentario -
E quanto a lei gli costa
Serva di servi intorno a noi girare
Affannandosi al passo
Dell'affannato e nostro gravitare:
Ora luce di perla ora nascosta
E invece è lì - lì esposta
Suo esserci e suo gelo
Sua nerezza nel blu del muto cielo
Intanto che noi pure
A quel vano cercarla compariamo
Un seme di sventure

19-23 luglio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

Nota mia a margine.
Sua nerezza nel blu del muto cielo: provare a pronunciare questi versi in una notte serena senza luna e sentirsi invadere dalla sua presenza (o qualsiasi Altra Presenza).

lunedì 8 dicembre 2008

Ai miei amici linkati (non linciati)



Il tempo è uno sbaglio, tutto ciò che gira è fermo. Non si va avanti, si sta immobili. I nostri corpi sono in balia di un trucco e le nostre menti non lo hanno svelato. Siamo incantati, imbambolati, bloccati, fermi. Chi guarda alla storia e pensa di ricavare da essa lezioni per non ricadere negli stessi errori, si sbaglia. Più si spiegano gli errori e più ci si casca dentro, attirati dal vortice della stupidità. Più si mostra la banalità del male, e più esso attrae e affascina individui. E la stupidità molto spesso, anzi quasi sempre, è associata alla violenza e alla cattiveria: i dati umani più facili da manifestare, da ripetere, nella fissità del tempo. Essere violenti, cattivi, è più facile e aiuta di più a stare fermi nel tempo. Lo so, forse sono una minoranza coloro che sono avviluppati nelle spire del rincoglionimento. Ma questo, anche se fosse vero, non avrebbe alcuna importanza: a me basta ci sia un neonazista (o fascista), un invasato di qualsiasi fede, un ultras di qualsiasi sport, un capezzone o altro ecco che vedo il tempo fermarsi, inesorabilmente. Hai voglia a lanciare navicelle nello spazio; hai voglia a svelare i segreti dei nostri geni e della nostra mente; hai voglia a scrivere poesie e canzoni d'amore perfette. Non basta. Siamo fermi, amici. Il tempo è un'illusione.

Tuttavia poi, un po' per inerzia, un po' per celia, mi basta aprire una vostra pagina e ritorno un inguaribile ottimista

domenica 7 dicembre 2008

Fortezza 34.

I segni che dà di squilibrio
Non calcolateli - sono
Simulazioni e così
Gli schiaffi ai servi i pasti disordinati
Lungo disteso sul pavimento l'altro giorno
La houle (gridando) la houle
Un long hurlement partout dans la cité
Y la armada, la armada...
Perché non lo reggono?
Perché non lo legano?
Nessuno potrebbe dirlo
Che non fosse al suo letto di contenzione -
Vivìmos todos en el recuerdo del poeta, señor
Sparito il testimone

5 giugno 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

venerdì 5 dicembre 2008

Gesù perché?



Solo G.O.D. poteva suggerire questo slogan al suo primo rappresentante in terra.


Ma perché Gesù Cristo un tu se' venuto verso l'anno Mille dopo Cristo, così magari i tuoi presunti seguaci andavano a cercare un'altra sede europea, ad esempio Parigi, così se lo ciucciavano i francesi davvero il Vaticano, altro che una settantina d'anni e basta.

giovedì 4 dicembre 2008

Lasciare che il volto illumini il mondo



Ecco dunque l'eterna seduzione del paganesimo, al di là della puerilità dell'idolatria superata da molto tempo.
Il sacro che filtra attraverso il mondo: il giudaismo non può essere che negazione di questo. Distruggere i boschetti sacri: comprendiamo solo ora la purezza di questo preteso vandalismo; il mistero delle cose è la fonte di ogni crudeltà verso gli uomini. Il situarsi in un paesaggio, l'attaccamento allo Spazio senza il quale l'universo diverrebbe insignificante ed esisterebbe appena, equivale anche alla scissione dell'umanità in autoctoni e stranieri. E in questa prospettiva la tecnica è meno pericolosa dei geni dello Spazio. La tecnica sopprime il privilegio del radicamento e l'esilio che si riferisce a lui: libera da simile alternativa. Non si tratta di tornare al nomadismo, che al pari dell'esistenza sedentaria è incapace di uscire da un paesaggio o da un clima. La tecnica ci strappa dal mondo heideggeriano e dalle superstizioni dello Spazio. Appare dunque una possibilità: percepire gli uomini al di fuori della situazione in cui sono immersi, lasciare che il volto dell'uomo brilli nella sua nudità. Socrate preferiva la città in cui si incontrano gli uomini alla campagna e agli alberi: il giudaismo è fratello del messaggio socratico.

Emmanuel Lévinas, Difficile Libertà, Jaka Book, Milano, 2004, pag. 291.

mercoledì 3 dicembre 2008

Modi del verbo essere



Berlusconi ha dichiarato

di essere un uomo di Stato.

Più esattamente

uomo del participio passato

del verbo essere.

Participio va bene,

ma era meglio al presente.

E allora con aria un po' grulla
mi chiedo come Martino:
"perché, in generale,
v'è l'essente e non il nulla?"

martedì 2 dicembre 2008

Sulla felicità



È per la felicità come per la verità: non la si ha, ma ci si è. Felicità non è che l'essere circondati, l'esser dentro
come un tempo nel grembo della madre. Ecco perché nessuno che sia felice può sapere di esserlo. Per vedere la felicità, dovrebbe uscirne: e sarebbe come chi è già nato. Chi dice di essere felice mente, in quanto evoca la felicità, e pecca contro di essa. Fedele alla felicità è solo chi dice di essere stato felice. Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine: ed è ciò che costituisce la sua dignità incomparabile.

Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino, 1979, p. 127

lunedì 1 dicembre 2008

Fortezza 33.

Stuolo, legione -
Levatevi al volo!
Da tanto tempo ebbe paura che adesso
Basta un tremare di foglia a ridurlo
In potere di qualsivoglia -
E di voi figuriamoci!
Mute murategli in cuore le preghiere
E via anche la bibbia!
Si sfaldi fiore di cenere
L'intima sua ragione:
Nessuna apocalissi però -
Spaventi a irregolari intervalli
Quiete di istanti suadenti
Frasi tenere

4-6 giugno 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

domenica 30 novembre 2008

Chiuso per sesso



Aspettate un momento:
han levato le puttane dalle strade;
ora mettono una tassa sulla pornografia.
Per trombare e per farsi le seghe
non resta che andare in convento.

sabato 29 novembre 2008

La trappola del narcisismo

*

A partire dal momento in cui il desiderio è divenuto metafisico, esso trasfigura ormai soltanto degli ostacoli: riconosce ad essi un'autosufficienza che è solo il corrispettivo della sua stessa insufficienza; il desiderio diventa un'esperienza molto umiliante, penosa e sgradevole. Si capisce dunque come tutti i soggetti vogliano evitarla, e il miglior modo di evitarla è di imporla all'Altro. Non c'è nulla di più atto a distoglierci dall'Altro e a rivolgerci verso di noi, a rassicurarci su noi stessi, dello spettacolo di questo Altro che ci prende per oggetto di desiderio, che ci conferisce l'autosufficienza felice di cui, con identico gesto, egli si priva.
La strategia del desiderio, e non solo di quello sessuale, consiste nel far balenare agli occhi altrui un'autosufficienza alla quale potremo credere un po' anche noi se riuscissimo a convincerne gli altri. In un universo radicalmente privo di criteri oggettivi, i desideri sono completamente lasciati al mimetismo e ognuno deve trarre beneficio dal mimetismo non impiegato, dal mimetismo che cerca di fissarsi e che si fisserà sempre in funzione degli altri desideri. Si tratta dunque di fingere il massimo narcisismo, si tratta per ciascuno di proporre agli altri il desiderio che egli prova di se stesso, per costringere tutti questi altri a imitare questo desiderio allettante.

René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano, 1983.

*Immagine tratta dal bel blog di Chiara di Notte.

Vita tra gli scaffali o è polvere?



Ho portato mia mamma a far spesa stamani; e mentre ci recavamo al supermercato mi narra, nello spazio di una mezz'ora, le vicende e gli accadimenti del paese: chi nasce; chi muore; chi sputa per terra; chi mette le corna e chi le riceve; chi si lascia, chi si prende; chi si ammala gravemente; chi va alla messa a mane e a sera; chi tenta la fuga, chi si rinchiude tra le mura di casa, chi costruisce una casa, chi è buttato fuori di casa; chi perde lavoro, chi s'inventa un lavoro; chi va dal dottore e poi in farmacia e il farmacista sbaglia medicamento e s'affretta a telefonare per dire: ­ - Scusi signora ho sbagliato non prenda cosa le ho dato; chi canta litanie per strada; chi esce coi sandali mentre piove e fa freddo; chi va al bar e chi dal barbiere; chi chiude il negozio perché la crisi; chi va in banca a sapere se gli tocca il bonus fiscale; chi gli dice no; chi va in pensione; chi fa testamento; chi si risposa nonostante; chi bestemmia; chi si segna davanti alla Madonna; chi compra il Giornale, chi l'Unità e
chi si manda a fanculo e poi gioca a carte; chi dice: ­ - Berlusconi è un pezzo di merda, e chi: - ­ è tutta colpa del cattocomunismo; chi va allo zoo vicino a vedere se è stato catturato un cattocomunista per sapere finalmente com'è fatto; chi va dal sindaco; chi in biblioteca: io, dopo aver riportato mia mamma a casa, a vedere se in tutti questi scaffali c'è abbastanza vita quanto ce ne sia fuori nel paese.

venerdì 28 novembre 2008

Fortezza 32.

Da futili eventi interrotto
Farfuglia preghiere fabula
Terre dove i potenti feudatari d'una volta
Spaziavano e ora impassibile
Si stende un grigio-notte al finestrino
Del viaggio bambino:
Riunita la breve famiglia e intorno uno sbriciolìo
Su sterminate righe di giornale
Vite coetanee:
Breve è pure la scena al centro della quale sta
Quasi normale l'oggetto
Mentre si scambiano trionfali qua e là
Occhiate i giudicanti come per dire vedi
Che avevo ragione io

7 maggio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

giovedì 27 novembre 2008

mercoledì 26 novembre 2008

La coquetterie



La civetta la sa più lunga di Freud sul desiderio. Non ignora che il desiderio attira il desiderio. Per farsi desiderare, dunque, bisogna convincere gli altri che ci si desidera da sé (...)
La civetta cerca di farsi desiderare, perché ha bisogno di questi desideri maschili, rivolti a lei, per alimentare la sua stessa civetteria*, per comportarsi da civetta. Non ha, in altri termini, maggiore autosufficienza dell'uomo che la desidera, ma il successo della sua strategia le consente di sostenere l'apparenza, offrendo anche a lei un desiderio che può copiare. Il desiderio che le è rivolto è per lei prezioso, perché fornisce l'alimento necessario a un'autosufficienza che verrebbe meno se fosse totalmente privata dell'ammirazione. Come, insomma, l'ammiratore preso nella trappola della civetteria imita il desiderio che egli crede realmente narcisistico, così la fiamma della civetteria, per poter splendere, ha bisogno del combustibile fornitole dai desideri dell'Altro. La civetta è tanto più eccitante, e tanto più forte è la sua seduzione mimetica quanto più numerosi sono i desideri che attira.

René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano, 1983.

*Questo discorso vale oggi anche per gli uomini

martedì 25 novembre 2008

Trapassato remoto



1.
Ti pensavo una volta.
Ti pensai più di una volta.
Fosti pensata, intensamente.

Ma adesso che non c'è più niente
che fra noi si frappone,
nemmeno un fastidio, un dolore si sente
a pronunciare il tuo nome.

Né freddo né caldo, stella;
luce consumata in pochi anni.
Chissà se sarai ancora bella
chissà se indosserai gli stessi panni.

2.
Ti amavo una volta.
Ti amai più di una volta.
Fosti amata, ripetutamente.

Ma adesso persino la mente,
che cerca l'amore di un tempo, si oppone
a ricordare il tuo nome.

Il tuo nome fondante, quel nome
che m'insegnò la parola amore.
E anche volessi non c'è alcun dottore
che mi rimetta dentro al tuo addome.

3.
Ti volevo una volta.
Ti volli più di una volta.
Fosti voluta fortissimamente.

Ma adesso persino il volere
è diventato impotente
a frugare nei cassetti della mente

l'amore che un tempo intercorse
e ci trasportò fin sopra le stelle
con le mani sui reni a tenerci
stretti per non cadere di schianto

come di fatto cademmo.



lunedì 24 novembre 2008

Sì, ancora la neve

"Ti piace essere venuto a questo mondo?"
Bamb.: Sì, perché c'è la STANDA".

Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi... ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l'ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?
E perché si è - il mondo pinoso il mondo nevoso -
perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
perché si è fatto noi, roba per noi?
E questo valere in persona ed ex-persona
un solo possibile ed ex-possibile?
Hölderlin: "siamo un segno senza significato":
ma dove le due serie entrano in contatto?
Ma è vero? E che sarà di noi?
E tu perché, perché tu?
E perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?


Il nucleo stellare
là in fondo alla curva di ghiaccio,
versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
ma che sarà della neve dei pini
di quello che non sta e sta là, in fondo?
Non c'è noi eppure la neve si affisa a noi
e quello che scotta
e l'immancabilmente evaso o morto
evasa o morta.
Buona neve, buone ombre, glissate glissate.
Ma c'è chi non si stanca di riavviticchiarsi
graffignare sgranocchiare solleticare,
di scoiattolizzare le scene che abbiamo pronte,
non si stanca di riassestarsi
- l'ho, sempre, molto, saputo -
al luogo al bello al bel modulo
a cieli arcaici aciduli come slambròt cimbrici
al seminato d'immagini
all'ingorgo di tenebrelle e stelle edelweiss
al tutto ch'è tutto bianco tutto nobile:
e la volpazza di gran coda e l'autobus
quello rosso sul campo nevato.
Biancaneve biancosole biancume del mio vecchio io.
Ma presto i bambucci-ucci
vanno al grande magazzino
- ai piedi della grande selva -
dove c'è pappa bonissima e a maraviglia
per voi bimbi bambi con diritto
e programma di pappa, per tutti
ferocemente tutti, voi (sniff sniff
gran gnam yum yum slurp slurp:
perché sempre si continui l'"umbra fuimus fumo e fumetto"):
ma qui
ahi colorini più o meno truffaldini
plasmon nipiol auxol lustrine e figurine
più o meno truffaldine:
meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata...
O luna, ormai,
e perfino magnolia e perfino
cometa di neve in afflusso, la neve.
Ma che sarà di noi?
Che sarà della neve, del giardino,
che sarà del libero arbitrio e del destino
e di chi ha perso nella neve il cammino
(e la neve saliva saliva - e lei moriva)?
E che si dice là nella vita?
E che messaggi ha la fonte di messaggi?
Ed esiste la fonte, o non sono
che io-tu-questi-quaggiù
questi cloffete clocchete ch ch
più che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
Eppure negli alti livelli
sopra il coma e il semicoma e il limine
si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
- ancora - per una minima e semiminima
biscroma semibiscroma nanobiscroma
cose e cosine
scienze lingue e profezie
cronaca bianca nera azzurra
di stimoli anime e dèi,
libido e cupìdo e la loro
prestidigitazione finissima;
è così, scoiattoli afrori e fiordineve in frescura
e "acqua che devia
si dispera si scioglie s'allontana"
oltre il grande magazzino ai piedi della selva
dove i bambucci piluccano zizzole...
E le falci e le mezzelune e i martelli
e le croci e i designs-disegni
e la nube filata di zucchero che alla psiche ne vie?
E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?
E l'avanguardia ha trovato, ha trovato?
E dove il fru-fruire dei fruitori
nel truogolo nel buio bugliolo nel disincanto,
dove, invece, l'entusiasmo l'empireirsi l'incanto?
Che si dice lassù nella vita,
là da quelle parti là in parte;
che si cova si sbuccia si spampana
in quel poco in quel fioco
dentro la nocciolina dentro la mandorletta?
E i mille dentini che la minano?
E il pino. E i pini-ini-ini per profili
e profili mai scissi mai cuciti
ini-ini a fianco davanti
dietro l'eterno l'esterno l'interno (il paesaggio)
dietro davanti da tutti i lati,
i pini come stanno, stanno bene?

Detto alla neve: "Non mi abbandonerai mai, vero?"

E una pinzetta, ora, una graffetta.

Andrea Zanzotto, La beltà, da Le poesie e le prose scelte, Mondadori, Milano, 1999.

sabato 22 novembre 2008

Spello



Se solo potessi vedere
le mie mani attaccate
al tuo sedere,
in santa pace sulla muraglia,
controversie finite,
sicuro che il gesto non sbaglia
mira né superficie.

Il panorama giù in fondo si sfoca:
la ruggine della ringhiera
mi porta intemperie in mente,
mentre la voce fioca fioca
suggerisce proseguire quel gesto.

Con forza sentire la sera venire.
Se chiudo gli occhi
ti sfioro le labbra rigate:
sorridi, sorridi che viene da sola
l'estate.
Vorrei tu portassi una pezzuola,
incorniciare il tuo volto vorrei.

Mangiate ricordi a digiuno
insegna un illustre dottore;
melanconico cielo spezzato dal fumo
di sterpi infuocati senti l'odore,
la fatica, la gioia di corpi
surriscaldati d'amore.

Le corse sui mattonellati:
«In discesa coi sandali ti sbucci le dita!»
Dici cento lire e fai luce:
un affresco s'illumina, un prete
contento. «Ho fame», mi dici, si mangia
con calma e con calma vai in bagno,
ti trucchi.

Ti vorrei addormentata
sulla panchina dei tigli;
ma adesso uno scarto ci separa,
una vallata, dei figli,
intrecciando impressioni e visioni,
noviluni, anni luce, un quarto d'ora.

Signora, signora illumina
lo sguardo (tentativo)
cattura la prova ch'è stata:
«Non me li leva nessuno i momenti»,
urlo, senza serbare rancore:
la prova c'è stata, vissuta;
mani strette, la vita dipinta,
non si cancella un quadro d'amore.

Galleria: «Ammirate signori il lieve
tocco quasi impreciso, il frullio
della pennellata in estasi breve.»

venerdì 21 novembre 2008

Rivoglio la DC



Ho un certo rimpianto della Democrazia Cristiana. A scanso di equivoci: ho detestato, grazie anche a una certa tradizione familiare, la DC con tutto me stesso. Ma almeno quando c'era la DC il Vaticano stava rintanato nella sua Cittadella e non si permetteva questa continua intrusione politica. E questo avveniva proprio perché c'era la Democrazia Cristiana. Con la Dc al potere abbiamo avuto le leggi sull'interruzione volontaria della gravidanza e sul divorzio. Per carità, essa era contraria a tali applicazioni legislative, tuttavia non permise al Vaticano (e se sbaglio qualcuno mi corregga) alcuna intromissione negli affari interni dello Stato laico italiano.
Un mio amico pensava che, dopo lo scompiglio di Mani Pulite, i vecchi democristiani avrebbero "rifatto" la palla, ovvero la Balena bianca e sarebbero ritornati al potere con gli stessi criteri e metodi. Non è stato così e, credo, non sarà così. Questo perché l'avvento di Berlusconi e il bipolarismo hanno giocato un ruolo altamente favorevole all'intervento della Chiesa negli affari politici del nostro paese.
Infatti si è dimostrato che, chiunque sia al comando, la Chiesa ha il suo rilevantissimo potere d'intervento nel determinare i programmi politici e le sorti del governo.
Nessun governo italiano, sia esso di centrosinistra o di centrodestra, può permettersi di essere totalmente indipendente dall'influenza Vaticana. Il nostro Stato è uno stato satellite del Vaticano, un po' come ai tempi dell'U.R.S.S. le varie repubbliche sovietiche erano dipendenti da Mosca.
In Italia è impossibile immaginare un governo alla Zapatero; ma è altrettanto impossibile immaginare un governo alla Margeret Thatcher (vedi l'anticipazione malviniana).

Al PD, con affetto



Con quali azioni invece di canzoni
Chiara faremo la tua notte nera
Terra che bruci, terra che dolori
Tristezza d'uomo, malattia d'uomo?
Fare dolore è tutto il vostro fare:
Se tu hai guardato in una faccia d'uomo
Non fare niente; fare bene è non fare.

Guido Ceronetti, Compassioni e disperazioni, Einaudi, Torino, 1987

mercoledì 19 novembre 2008

Fortezza 31.

Oggi trentamila passi
Fra le due estremità
Del tratto che gli è permesso
Nessun rumore però all'impiantito
Grazie alle pianelle di panno avute in dotazione
E spazio, spazio per fare
A sazietà orazione
Il tempo contemplando nel suo vuoto di parola
Fiume di secoli a pronunziarsi e momento

5-7 maggio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

Fortezza 30.

Però una stradina
Sì una stradina mi sembra
Che qui doveva esserci ma intanto
Già in lei si avventurava
Barluminando dove
Mi porti povera anima:
Uno di questi giorni adesso li avverto ripasso
Mi raccomando qui me le tenete le robe

8-12 aprile 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

martedì 18 novembre 2008

Stop, confusione.



Ti ho vista appesa a questa luna sottile
che taglia lo scuro orizzonte novembrino
e spande la luminescenza attraverso
la porta chiusa del cielo. Il cortile
è invaso di foglie multicolori che sembrano
un sipario. Tu sorridi, sai che ho perso
la scommessa: non avrei mai creduto
tu potessi salire fin lassù. Ripeto, ho perso.
Son pronto a pagare tutto il mio debito, muto,
contratto stupidamente, ma ora basta,
il gioco è finito. E anch'io ho finito di cercare
rime immagini varie suggestioni melense,
scarti semantici e paradisi fiscali.
Questa poesia non doveva essere altro
che un richiamo e tu hai abboccato mia pescatrice:
quando ho visto la mattanza dei delfini
mi sono pentito di appartenere a questa razza
così come quando ho sentito parlare Ruini
avrei preferito diventare un gatto
per attaccarmi alle palle di tutto il Vaticano
e via a briglia sciolta, vienimi dietro
ti porto io via lontano in questo piccolo viaggio
dove la politica smette la sua finzione
dove la guerra ritorna e riporta lo spavento
la nostra realtà nuda e cruda, il nostro
bellum omniun contra omnes necessario
perché non siamo capaci d'altro che di prendersi
per il culo noi umani dotati di cervello e usato
per molteplici strategie evolutive e non
per capire che non c'è niente da capire.
Stop. Prendo fiato. Riguardo la luna.
Vedo con piacere che sei scesa
che sei scivolata dolcemente sopra il tetto
della mia casa per ricordarmi che la carezza
è un gesto di abbandono, non una calamita.
Spero tu mi abbia colto un po' di terra lunare
per seminare la mia rabbia e la mia incertezza.
Qua sulla Terra ancora si fatica
a vivere solo per il pane, solo per la. Stop.
Se avessi avuto un figlio maschio lo avrei
chiamato Desiderio così sarebbe stato
sicuramente un uomo perfetto, senza nèi,
senza infingimenti. Tutto votato a esser se stesso
un bello Stavrogin postmoderno tutto cultura tutto sesso
tutto soldi imbevuti di sangue che scorre
in miliardi di umani e di delfini. Amica mia fa' sì
che il nostro transito non aumenti la sofferenza
del mondo, ma che sia una parvenza segreta
d'amore, l'unica traccia che dobbiamo
cercare di lasciare su questo sperduto pianeta.
Stop.

lunedì 17 novembre 2008

Bisogno d'ali



Avrei bisogno d'ali questa sera
per salire sulle stelle -
Sai, mi hanno detto che sono belle
come le tue mani quando
si avvicinano al mio viso
e zittire mi fanno, con delicatezza.

Ogni forma di pudore è superata
quando ci si concentra troppo sul proprio io
quando si fa di se stessi il centro.

Mi manca la necessaria distanza
per dispormi sul prato come secchi
aghi di pino o filtri invecchiati di sigarette -
per dire un attimo basta alla mia presenza
per sentire Presenza - mosca leggera
noiosa farfalla di velluto marrone
con le ali bordate di nero e un piccolo
punto bianco, come un occhio,
il mio occhio che vola.

E vola allora stasera se ti va di volare
sopra i fumi, i miasmi più putridi,
sotto polveri di dinamite, intorno
a magnifiche presunzioni e ancora
allo sbadato rincorrere vita tra la finzione.

Sono sceso da terra e ho promesso
un filo di vento, mezzo sogno pronunciato
a bassa voce, una sirena, un lampo
dieci centesimi per farti uno squillo
e sentirti riattaccare, Dio, stasera no,
non è il caso, non sono degno.

E mi spezzo e mi perdo e mi finisco -
mi consumo come un breve passo consuma
la strada delle formiche, senza avere
la forza e la costanza di ricostruire
la casa perduta, la strada.

Sapevo che ti avrei deluso così disarmato -
involontariamente, senza fare un gesto
una parola crociata che finisce con "aro" -
il sapore del fiele, non un bacio, più.
Eppure mi passo ancora con cura
il filo interdentale e ti aspetto senz'ansia
e mi metto davanti un sorriso
come una carota - ed era "somaro"
la parola che mancava.

Ed ho perso quando ho vinto e vinto
quando ho perso il perduto possibile:
è sbagliato sognare senza averci pensato
perché il sogno si pensa e si aspetta e ci si crede
perché il sogno è l'unica cosa realizzabile
l'unica messa in scena valida del creato -
e il mio sogno sei tu e chissà se te nei accorta.

Credo proprio di sì, altrimenti
non saresti tra le mie braccia, stasera.

domenica 16 novembre 2008

La Volpe Ravasi (e l'uva)



La richiesta che il Monsignor Ravasi ha rivolto ai fedeli di abbassare i toni, si può leggere in vari modi. Uno di questi è che Ravasi è una persona intelligente e furba; egli sa che il clamore dei contrari alla sentenza che stabilisce definitivamente le ragioni di Eluana e della famiglia Englaro è solo uno schiamazzo di una cospicua minoranza; e, inoltre, egli teme che tale schiamazzo, che si prefigge di attuare iniziative clamorose al riguardo (non escluso il rapimento del corpo di Eluana), stia per ritorcersi contro le proprie ragioni ecclesiastiche. Dunque, silenzio militi. Facciamo calmare le acque. Sappiate che in Parlamento siede una maggioranza ch'è, tendenzialmente, la Nostra maggioranza; una maggioranza di cattolici infanti e atei devoti che basta lavorar bene nelle coscienze che, vedrete, ci confezioneranno, in un futuro prossimo, una legge pro domo nostra. Silenzio, e acqua in bocca. Smorziamo le urla, l'uva è acerba. Ripeto: l'uva è acerba.

sabato 15 novembre 2008

Breve passeggiata



Ad A. E.

Ho camminato da queste parti
le mani in tasca in cerca
di quel piccolo tepore che spezza
la lama del vento. Eppure tendevo
la mano a una compagna presente
che spesso ritrovo "su fili, su ali"
la sera e a lei mi sento vicino.
Dunque, dicevo, ho camminato
e non ero solo e i miei occhi
erano quattro e guardavano
insieme l'azzurro del cielo
screziato da pallide nubi d'argento.
Respiravo, ricordavo. E ritorna
la memoria di lavanda
che dischiude i propri segreti
e manifesta una minima esistenza
stanca d'impolverarsi in disadorne
soffitte dove il ragno è l'unico amico.
E non soffro, non ci riesco
perché il piacere è l'unica malattia
consentita, l'unica ricetta
per sopravvivere sereni
e respingere via le torme
del risentimento. Adesso
è bene le mani si lascino:
che ognuno impari a volare
da solo.

venerdì 14 novembre 2008

Fortezza 29.

Reiterare, persistere -
Sola via d'uscita è scavargli
Tutti tutti i misteri suoi
A risposta incalzi domanda
Il perché del perché e via -
Come spietata musica di banda
Nella sinfonia quando pare
Spengersi nel pianissimo ma ecco che subito
Risale mai non finita:
Sia così così sia
Lunga più che tutte le vostre insieme
Fu la sua vita

30 marzo 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

giovedì 13 novembre 2008

Telegiornali



Stasera ho guardato il telegiornale su France 2. Lo faccio saltuariamente. Beh, anche stasera ho avuto conferma che in Francia non esiste un'attenzione al pettegolezzo politico come nei tg italiani. Più di tutti, mi hanno colpito due servizi che, penso, nessuna trasmissione televisiva italiana tratterà: giovani studentesse afgane sfigurate col vetriolo solo perché osano, appunto, studiare (i volti tumefatti e piagati e il dolore dovuto a tanta imbecillità e cattiveria religiosa); l'abbondante raccolto, quest'anno, di riso basmati nell'India settentrionale, la raccolta, la battitura, la vendita ai grossisti. Per un attimo, mi son sentito cittadino del mondo.

lunedì 10 novembre 2008

Una grande facciata



Alla morte di Marco Aurelio, la vittoria del cristianesimo, sebbene dovesse realizzarsi a pieno solo un secolo e mezzo dopo, appariva già sicura, senza che nessuno tra i pagani lo sospettasse. I cristiani nella loro fede ne avevano il presentimento; non tardarono ad averne coscienza per il fatto della loro situazione reale nel mondo contemporaneo. Nel corso del secolo III, il paganesimo finì col divenire sempre più una maestosa facciata, dietro la quale ascendeva il cristianesimo. (
Così, oggi, il cristianesimo potrebbe esser divenuto la grande facciata, dietro la quale sale la religione dell'umanità.)

Alfred Loisy, Le origini del cristianesimo, Einaudi, Torino, 1942 (ristampa Il Saggiatore, Milano 1974, pag. 302)

E se questo presentimento stesse pian piano per realizzarsi?
La religione dell'umanità: nessun idolo, nessun dio, nessun al di là se non in un nostro futuro possibile; un qui e ora, di amore, pace e fratellanza, di uguaglianza, di libertà. E' irrealizzabile, lo so, ma è ipotizzabile, potrebbe cioè darsi concretamente qualora ognuno di noi smettesse di brandire ogni tipo di arma sull'Altro.

domenica 9 novembre 2008

Fortezza 28. (a Eluana)



Starsene lì murato quale pena deve dargli
Anche se poi come dicono
Uno si abitua -
Di Lei vorrei fare un romanzo
Ben che lo so quanta vi è differenza
Tra il raccontarlo e l'esserci -
Stringere insieme un senzaterra senzatempo
E dove posa gli occhi, che cosa scopre
Nelle croste dei muri
O quelle trine d'aria, gli umori:
Passino a Lei da uno spiraglio queste righe
Potessi sapere
Da morti come si vive

22 ottobre 1988-12 febbraio 1989

Giovanni Giudici, Fortezza, Mondadori, 1990.

Nota a margine.
Provate a leggere questi versi pensando a Eluana.

sabato 8 novembre 2008

Fare politica (aut aut)


Immagine tratta da G.O.D.

E' vero: fare politica contribuisce al proprio successo personale; ma è anche vero che fare politica significa occuparsi, in primo luogo, degli altri prima che di se stessi. Bene, io questa vocazione non ce l'ho, mi limito da individuo a offrire un modestissimo contributo pseudo-intellettuale che getto nell'agone della rete e poi basta*. Criticare è più facile che proporre o concretizzare un'azione politica, lo ammetto. Tuttavia, siccome credo che la politica sia questo mettersi al servizio degli altri (cioè dei cittadini abitanti la polis), allora credo anche fermamente che chi si mette a fare politica lo debba fare (quasi) esclusivamente con questo nobile intento.
Questa, sia detto en passant, è anche la ragione per cui ho sempre pensato che Berlusconi sia inadatto (unfit per riprendere una famosa copertina dell'Economist di qualche anno fa); e che questo non sia stato ancora capito dalla maggioranza dei miei concittadini mi preoccupa e sgomenta. Ma come si fa, a meno di non avere appunto degli interessi diretti e personali di sudditanza, a farsi convincere che Berlusconi faccia politica per gli altri, quando ha dimostrato e dimostra tuttora che pensa soltanto a se stesso?

*La penso esattamente come forma mentis