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venerdì 22 marzo 2019

Ma il pudore

«Anche io ho un blog. Anche io scrivo ogni tanto quello che mi viene in mente. Però credo che siano cose interessanti solo per me. E quindi il mio blog è privato e non è accessibile. Ma il pudore, Lucas; il pudore dove è finito?»
Anonimo, Un commento.

Solo, tu con le parole:
e questa è veramente solitudine.
Gottfried Benn [epigrafe presa da un capitolo de Gli imperdonabili di Cristina Campo]

DESTINO DELLE SPIEGAZIONI

«Da qualche parte deve pur esserci un immondezzaio dove si sono accumulate le spiegazioni.
Una cosa soltanto inquieta in questo santificato panorama: ciò che potrà accadere il giorno in cui qualcuno arrivi a spiegare anche l'immondezzaio.»
Julio Cortázar, Un tal lucas.

Non amo dare spiegazioni su ciò che scrivo, a meno che quello che scrivo sia equivocato nella misura in cui mi si impone dare spiegazioni.
Premetto che, se ne tento una, non è perché mi senta offeso, o colpito, dalle succitate parole del commentatore anonimo. Anzi. Le prendo come un complimento, giacché riuscire a essere spudorato con il solo ausilio delle parole è uno degli obiettivi verso cui questo blog aspira. Casomai - e con questo mostro il fianco a una prossima, eventuale, frecciata - mi suonerebbe più fastidioso risultare patetico.

Nella circostanza del precedente post oggetto di critica (una poesia in prosa o una prosa poetica?), che più o meno ripete temi, circostanze, impressioni da me già trattati altre volte (la stessa minestra riscaldata; ma a me piace la ribollita), brevemente, dato che non vi sono arcani, dirò: pur pescando da una tasca limitata di vissuti che non gli appartengono, l'io scrivente e l'io personaggio non coincidono. L'uno è la creazione dell'altro, il Lucas non è identico al Luca, anche se condividono alcuni tratti, alcuni addebiti. Da quando il personaggio è nato (il blog è nato), vanno in giro a braccetto e si raccontano reciprocamente tramite letture, pensieri, versi.
Se non avessero in vista la pubblicazione, essi non sarebbero, perché non riuscirebbero a convivere nel chiuso tinello di un blog "riservato" a sé stesso e pochi altri. Entrambi sono consapevoli dei rischi (rischi?) a cui si espongono, ma se lo fanno è perché reputano la pratica bloggeristica come una forma espressiva alla quale non riescono a sottrarsi. In Nessuno mi ama, Paolo Conte, a un certo punto, canta: «Facciamo un po' di letteratura con la miseria della mia bravura». E dato che non ho altro talento - ah, magari ne avessi uno simile a Marino - che questo (ammesso e non concesso che ce l'abbia), ecco perché mi ostino a esercitarmi e buttare fuori ciò che non era dentro ma da qualche parte, nascosto, non visto, in attesa di essere scoperto e pubblicato.

giovedì 15 settembre 2011

Intingere nel piatto della vita

Lucas, pensavi alle corde che ti tenevano la mente, che ti costringevano a una sorta di bondage non voluto, tu, che il godimento lo vuoi libero da vincoli, da schemi, da immagini che si sono stampate nell'incoscio e che impongono di fare cose che non rovinino l'equilibrio costituito.
Per saper tenere a bada i desideri la maniera migliore è confessarseli, vis-à-vis con un albero perso in un perduto bosco di una strada provinciale. Tu ci parli, con l'albero (tu preferisci il carpino, lo so), lo abbracci, gli chiedi se per favore movesse a compassione un po' i suoi rami;  e lui fruscia le foglie - mica è il vento - ma quello che ti dice non riesci mai a capirlo. Tu lo scrivi lo stesso, ostinato, sicuro che qualcuno lo capisca al posto tuo.
Il mondo è pieno di decifratori di messaggi in codice. Il linguaggio delle foglie però è difficile, mutante, sempre incerto, che non si basa su un sistema stabile di numeri o di lettere, o di suoni trasformabili in note. È un linguaggio che si rivela solo quando cade. Per questo, più e più volte, sei ritornato a casa con le tasche di foglie piene. Foglie che finiscono come segnalibro, sparse nel viavai continuo di libri che affollano la mente.
Così, una sera come tante, pescando il libro e ritrovando la foglia, leggi, comprendi finalmente quello che ti è stato detto.

Tu che mi desti il tuo corpo
e in pegno l'anima
per di più mi donasti,
tu
che mi ami
di tutto l'amore umano,
baciami ora
e prendi il tuo morsello,
già l'ho intinto nel piatto -
e quello che hai da fare
fallo presto.*

*Héctor A.Murena,Tu que me diste tu cuerpo”, traduzione di Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano.

giovedì 18 agosto 2011

Come un sorcio

...............................
- condannata l'intera città e le
fiamme a torri.

come un sorcio, come una
rossa babbuccia, come
una stella un geranio, una
lingua di gatto, oppure -

il pensiero, il pensiero
che è foglia, ciottolo, un vecchio
uscito da un racconto di

Puskin
.

Ah
crollo di travi
marce
.
vecchia brocca in
cocci

la notte fatta giorno dalle fiamme, le fiamme...

William Carlos Williams, Like a mouse
versione di Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991.

lunedì 1 novembre 2010

Lucas, le sue preghiere

Lucas cammina sotto la pioggia, cappello di feltro a tesa larga, niente ombrello, costeggia un viale di cipressi (ma non è un cimitero). Pensa a quante preghiere ancora ricordi: non molte, qualcuna, le classiche, più un paio di Salmi nella versione ceronettiana. Ne prova uno, il 16, preghiera notturna di David.

Dio guardami tu
Tutto mi stringo a te
Al tuo Nome io dico
Il mio Signore sei tu
Il mio bene non è che in te
Santità false inondano la terra
Potenze che tutti venerano
E innumerevoli siano pure
I loro idoli di stortura
E con tanti a corrergli appresso!
Io trincate di sangue non gli verso
Né le bocca mi infetto coi loro nomi.
Il mio colpo di dadi
Tra le delizie mi ha collocato
Bello è ai miei occhi quel che possiedo
Io benedico il Signore e il suo sussurro
Il suo notturno dai reni darmi barlumi
Davanti a me in perpetuo sta il Signore
Come barcollerei con Lui a lato?
Ne ha il mio cuore frescura
E si gonfia il mio fegato di gioia
Vi si agglutina nella calma
La carne
Tu la mia anima non la getti tra i morti
Vedere la distruzione
Neghi a chi è tuo fedele
Tu mi hai svelato la via che dà la vita
La gioia è al colmo là dov'è il tuo Volto
Accanto a te il bene è senza fine.

Lucas, sillabando questo Tu, pensa a qualcun'altro che non a un Ente ultraterreno; tuttavia, la memoria gli riporta a una sua preghiera, improvvisa, rivolta a nessun dio. Ascoltiamo

Lìberati da ogni frenesia, pensiero. Sii inquieto e scalzo e privo di impiastri, di legamenti e vai tra la perduta gente, vivo. Presentati, fa' sagge le loro mani, soprattutto il movimento del pollice e dell'indice, presa ideale dell'intero universo, di un pinolo, di una pera, di un lembo di pelle innamorata (quella del collo, preferibilmente). Vai, pensiero, senza musica, non importa. Liberaci dalla nostra indigestione, dalla prigione di grassi industriali, dalla polvere. Sali più alto del fumo che annebbia la mente e la respirazione. Respira tu al posto nostro, oltre le nubi e la pioggia e poi ridiscendi, a lavarci la fronte in questa giornata umida.

Lucas si ferma, tace, cerca riparo sotto una stretta tettoia, estrae un libello, legge Il picchio di Williams nella traduzione sublime della Cristina Campo.

Innocenza, innocenza, condizione del cielo!
Solo nell'ignoto saremo
festeggiati, nutriti. Ritualmente. L'ignoto,
rifugio a cui ci scagliano. Perché
seppure, privi di paracadute, saremo
piatti contro la terra, non sarà più la stessa terra
che lasciammo pel volo. Cercando che? Non c'era nulla
lassù. Né più l'ignoto, ora. Eppure mai
conoscemmo la terra come abbattuti, rotti
contro di lei. Dall'alto noi cadiamo, innocenti,
verso le nostre morti.

Mi andrebbe, di Novembre,
essere un picchio dei boschi. Un grido, un moto,
rosso tocco tra i rami nudi. Un lampo,
una destinazione tra le eterne – e lo scarabeo
fine del volo. Nutrito; e la cerimonia
senz'altro testimone che le rocce muschiate,
le foglie secche, i dritti corpi degli alberi.
È l'innocenza: scaglia il corpo nero e bianco
nell'aria, e innocenza lo guida. Volo è solo
brama e brama è la fine del volo: ti pugnala
laggiù, con qualche lingua di ferro che trionfa!

Lucas si sdilinquisce, riosserva la pioggia che non cessa, ascolta il rumore della piena, discende giuso in Arno. Domani, il mare.

venerdì 31 luglio 2009

«È rimasta laggiù, calda, la vita»


È rimasta laggiù, calda, la vita,
l'aria colore dei miei occhi, il tempo
che bruciavano in fondo ad ogni vento
mani vive, cercandomi...

Rimasta è la carezza che non trovo
più se non tra due sonni, l'infinita
mia sapienza in frantumi. E tu, parola
che tramutavi il sangue in lacrime.

Nemmeno porto un viso
con me, già trapassato in altro viso
come spera nel vino e consumato
negli accesi silenzi...

Torno sola
tra due sonni laggiù, vedo l'ulivo
roseo sugli orci colmi d'acqua e luna
del lungo inverno. Torno a te che geli

nella mia lieve tunica di fuoco.

Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991

venerdì 24 luglio 2009

Amore

Amore mi diede il benvenuto; ma l'anima mia si ritrasse,
Di polvere macchiata e di peccato.
Ma Amore dal rapido sguardo, vedendomi esitante
Sin dal mio primo entrare,
Mi si fece vicino, dolcemente chiedendo
Se di nulla mancassi.

Di un ospite, io dissi, degno di essere qui.
Amore disse: Quello sarai tu.
Io, lo scortese e ingrato? O, amico mio,
Non posso alzare lo sguardo su Te.
Amore mi prese la mano e sorridendo rispose:
E chi fece gli occhi se non io?

È vero, Signore, ma li macchiai: se ne vada la mia vergogna
Là dove merita andare.
E non sai tu, disse Amore, chi portò questa colpa?
Se è così, servirò, mio caro.
Tu siederai, disse Amore, per gustare della mia carne.
Così io sedetti e mangiai.

George Herbert

versione di Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991

domenica 24 maggio 2009

Nessuna rosa è certa

*


Ogni giorno uscendo verso l'auto

io traverso un giardino
e spesso vorrei che Aristotele
fosse arrivato al-
l'esame del ditirambo,
che fossero rimasti i suoi appunti.

Erba ruvida guasta il prato fine
mentre io guardo a destra e a sinistra
tic toc -
E a destra e a sinistra le foglie
crescono sul pesco di un anno
lungo il tronco snello.

Nessuna rosa è certa. Ciascuna è una rosa
e questa, diversa da un'altra,
s'apre piatta, quasi come un piatto
senza tazza. Ma è una rosa, color
di rosa. La senti ruotare lentamente
sullo stelo di spine.

William Carlos Williams

Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991

*La stessa rosa fotografata stamani in due scatti in rapida successione (il primo scatto è assolutamente casuale)