mercoledì 30 maggio 2018

Guardiamo i muscoli dei capitani

Quando la patria chiama bisogna farsi trovare pronti e preparati, soprattutto se si hanno le carte in regola per adempiere ai compiti che le ore segnate dal destino impongono, per esempio: dissolvere crisi istituzionali, sedare le contese più accese tra le fazioni in lotta, placare la fame dei mercati, traghettare il Paese verso lidi di prosperità e benessere condiviso.
In tali frangenti, uomini e donne di valore indiscusso, irreprensibili e incensurati, non possono rifiutare di mettersi a disposizione del bene comune e, quindi, hanno il dovere di rispondere affermativamente alla chiamata in servizio da parte delle autorità preposte.

Basterà conferire loro l'incarico e - magicamente - saranno trovate soluzioni, quali che siano, per innalzare le vele, raddrizzare la barra, far ritrovare la rotta a una nazione altrimenti alla deriva.
«Non capisco perché ancora nessuno mi abbia chiamato». Francesco Schettino

lunedì 28 maggio 2018

Fondata sul debito

«Ho chiesto, per quel ministero, l'indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l'accordo di programma. Un esponente che - al di là della stima e della considerazione per la persona - non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.
A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato - con rammarico - indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato.
L'incertezza sulla nostra posizione nell'euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L'impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali. 
Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane.
Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende. In tanti ricordiamo quando - prima dell'Unione Monetaria Europea - gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento.
È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri - che mi affida la Costituzione - essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani».

Aldilà della contesa politico istituzionale in corso, l'estratto della dichiarazione del presidente Mattarella certifica una cosa soltanto: che l'Italia è una repubblica fondata sul debito, giacché non può prescindere da esso in alcuna maniera. 
Il punto è che, davanti a questa evidenza inconfutabile e difficilmente risolvibile, il potere politico diventa impotente, perché il debito è il polmone d'acciaio al quale la politica, le istituzioni, lo Stato tout court devono restare attaccati per sopravvivere. 
Il problema non è dunque a chi appartenga la prerogativa di nomina dei ministri (al Presidente della repubblica su proposta del Presidente del consiglio), bensì il perché ancora gli appartenga, giacché, stante così le cose, il ministro dell'economia lo dovrebbero nominare ufficialmente «gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende». Questo ha lasciato intendere Mattarella ieri sera impedendo la nascita del nuovo governo.


domenica 27 maggio 2018

Felicità in contrappunto

Una sera, al tramonto, mentre un resto di nuvole sgonfie di pioggia si incorporava al giallo uovo del sole all'orizzonte, Franco Cappa si sospese tra tempo passato e a venire, facendo suo il presente, con contezza, felice senza un perché - e se ne vergognò.
Sapeva che quell'attimo sarebbe durato un secondo, perciò tirò un sospiro di sollievo e si disse: «Tanto passa». E infatti passò.

«Che senso hanno queste fugaci apparizioni della felicità?», si chiese, dandosi immediatamente una risposta: «Nessuno» - e la vergogna lasciò spazio a un sorriso lieve, di autocommiserazione [avrebbe detto qualcuno che lo conosceva, ma siccome dov'era non lo conosceva nessuno, nessuno lo disse, lo dico io, per dovere di cronaca].

Poi successe l'inaudito: qualcuno, alla radio, parlò con dimestichezza del contrappunto. Franco Cappa, lesto, estrasse taccuino e penna dal suo borsetto e prese appunti. E scrisse: «Non ci sono possibilità di essere felici due volte nello stesso modo. Di più: i modi di essere felici andranno via via depotenziandosi nel tempo, poiché ben presto ci accorgiamo dell'impossibilità di essere felici come lo siamo stati la prima volta. È la prima felicità che inganna, perché si fa sempre riferimento a essa per essere felici un'altra volta. Per tale motivo, ogni volta che capita la possibilità di essere felici,  ogni volta che felicità si ripresenta, si fa fatica a riconoscerla, perché non sarà mai uguale alla prima nelle forme e nelle modalità».

L'applicazione Play Radio ebbe un blocco anomalo. Franco Cappa smise di prendere appunti e, per non degradare la sensazione appena vissuta a una felicità di terzo grado, si sforzò di non fare paragoni, ed evitò di ricordare certi occhi e il desiderio a esso connesso. Una signora tatuata in leggings e canottiera (bel seno e bel culo) gli passò accanto, ma lui - noncurante - fissò nuovamente lo sguardo verso l'orizzonte: il giallo uovo era diventato una frittata.

giovedì 24 maggio 2018

Agli editorialisti travolti da un insolito destino

Per quanto possibile, cerco di mantenere con la cronaca un rapporto distaccato, molto spesso evitandola, perché sostanzialmente non sono curioso, non sono un narratore in cerca di storie da rubare, rifare, ripsicologizzare per farne carne da pagina. La cronaca, insomma, non mi ossessiona, fors'anche temendone gli effetti mimetici, di contagio, sia mai che anch'io da “uomo tranquillo” diventi nervoso e violento, fuoriditesta e vigliacco, tocchiamoci le palle - e avanti.

Soprattutto: per quanto sta in me, ossia: per quanto raziocinio e culo avrò, spero che non abbia mai a essere definito da qualche editorialista sensibile e magnanima un «soldato travolto e caduto».

A ritocchiamoci le palle.

Ciò premesso, relativamente al fatto di cronaca che ha visto un uomo di 49 anni uccidere prima la moglie (spinta dal balcone), poi la figlia («precipitata» da lui medesimo giù da un cavalcavia) e, infine, sé medesimo lanciandosi dallo stesso viadotto dal quale aveva lanciato la figlia, dico semplicemente che, se fossi stato il mediatore non l'avrei fatta tanto lunga e avrei cercato di convincerlo a buttarsi giù prima (e meno male per Marina Corradi che non lo sono stato, sennò gli toglievo un eroe faccia al quale masturbarsi).

mercoledì 23 maggio 2018

Il più grande governo dopo il Big Bang

Sono entusiasti, sono caldi, sono pronti. Sono saliti sul palco e hanno intenzione di restarci, come Madonna o Jovanotti, pronti a cantare la messa, a fare i messi, a mettere mano, a dare o levare la mano, a parlare per somme code, a difendere espressioni geografiche, a fare due conti diviso due uguale uno, a lavorare con senso di responsabilità e impegno, a confermare collocazioni (F-35), a tagliare pensioni d'oro incenso e mirra, a riformare vite in vacanza e vecchie che ballano, a realizzare programmi, a digitalizzare, a sburrocratizzare (Ifix, tcen, tcen), a rimboccare maniche, a sensibilizzare il senso dello stato e, la cosa più grave e temibile: a prendersi sul serio.

Pronti a cittadinare.  

lunedì 21 maggio 2018

Fare sinistra

In molti lamentano l'assenza della Sinistra in Italia e alcuni propongono persino - e giustamente - lo scioglimento del Partito Democratico, per rifondare un nuovo partito che riunisca le sparpagliate istanze de sinistra in un unico punto di raccolta.
E poi? Per fare che? Per ripetere le gesta di tutti i partiti di sinistra che hanno governato (o provato a governare) dalla caduta del muro di Berlino in poi?
No.
Fosse per me, prima di muoversi all'avventura, consiglierei la lettura di un libricino, Il socialismo dall'utopia alla scienza, (1880) di Friedrich Engels e basterebbe il titolo a spiegare il perché.
Innanzitutto, un futuro e credibile partito di sinistra dovrebbe «sottoporre tutta la storia passata a una nuova indagine» per capire che
«tutta la storia passata, a eccezione delle età primitive, è stata una storia di lotte di classe, che queste classi sociali in conflitto fra di loro sono in ogni momento il prodotto dei rapporti di produzione e di scambio, in una parola, dei rapporti economici del tempo loro».
In altri termini, in un contesto di lotte sociali, per essere un partito occorre prendere partito per una o per l'altra classe. Perché le classi sociali esistono, anche se si fa finta di no, e la lotta di classe pure, tra l'altro stravinta dalla borghesia, in particolare perché ha convinto la parte avversa, il proletariato, che la lotta di classe non esiste, esistono solo la voglia di lavorare, il merito, la fortuna. I rapporti di produzione, compagni, non parliamone: roba da poeti.

(continua)

sabato 19 maggio 2018

Situazioni di consumo


«La produzione capitalistica è costretta – come tutti ben sanno – a liberarsi dei propri prodotti. Deve aver cura ch’essi siano venduti e consumati: in breve, liquidati. La liquidazione – cioè, la rovina dei propri prodotti – è lo scopo di questa produzione. Se tale scopo non viene raggiunto, se si accumula una gran quantità di prodotti non liquidati, la continuazione della produzione, e con essa il profitto, sono in pericolo. Per tal motivo, il compito di ogni industria è di assicurare e promuovere – se non addirittura di produrre – la richiesta e la “situazione di consumo” per i propri prodotti; ad esempio, il compito dell’industria delle bevande è di stimolare la nostra sete con la pubblicità, o persino di produrla. Ciò vale in linea generale – dunque anche per gli apparecchi di distruzione.
Ora, qual è la “situazione di consumo” per ciò che riguarda le armi?
La risposta è: la guerra. Solo le guerre offrono infatti l'occasione per un effettivo e massiccio consumo di armi. Perciò, per l'industria della guerra è naturale promuovere guerre o pericolo di guerra. Certo, da un punto di vista commerciale, non ha altra scelta da fare, e in un certo senso la fa innocentemente. Ma – innocente o colpevole che sia – non si può contestare che, oltre alle armi, essa produce sempre anche bisogno di armi e possibilità di usarle, dunque è sempre una doppia industria.
Ammetterete che è tremendo. Ma ancora più tremendo è il fatto che questa doppia industria sia anche una componente naturale, e d'importanza decisiva, dell'economia di pace. Ciò che vale per qualsiasi industria – che, una volta messa in moto, essa vuol continuare a esistere e ad allargarsi  vale anche per l'industria della distruzione. E dato che questa di fatto dà il pane a centinaia di migliaia di persone – e non soltanto il pane, ma anche casa, automobile e vacanze – può persino vantarsi di essere garante del benessere e della pace interna, persino pretendere di farsi rappresentante del sentimento di responsabilità sociale. Quanto spesso, in paesi altamente industrializzati, mi sono sentito dire: “Abolizione dell'industria degli armamenti? Ma che pensa mai? Questo non è solo alto tradimento, ma sabotaggio dell'economia! Sabotaggio della pace economica! Che persona poco sociale è lei! Alle centinaia di migliaia che lavorano nel campo degli armamenti, non ci pensa affatto? Non le interessa affatto ciò che, alla fin fine, sarà di loro?».

Günther Anders, I morti. Discorso sulle tre guerre mondiali, (1964), Linea d'Ombra Edizioni, Milano 1990





venerdì 18 maggio 2018

Educazione economica


Invalsi così colà dove si puote ciò che si vuole.



Pensando al tuo futuro quanto pensi siano vere queste frasi?


Per niente

Pochissimo

Poco

Abbastanza

Molto

Totalmente

Dalla società dell’opulenza e dell’abbondanza scaturiscono povertà e miseriaccia infame.














Per vivere bisogna avere i soldi, senza soldi si crepa.














I soldi o li eredito, oppure dovrò 
lavorare, o rubare, o prostituirmi.














Il titolo di studio che conseguirò determinerà se io sarò ricco, povero o una via di mezzo.














Accenderò un mutuo.

















martedì 15 maggio 2018

Poggibonsi liberata


Non so più che strada prendere, allora non la prendo, così non cammino e resto fermo sul da farsi, aspettando un refolo e temendo un tegolo, giacché con questo vento è rischioso stare a un angolo della strada, come una bisettrice.

- Mi scusi, per via della Catastrofe?
- Sempre dritto, dove si alzano la polvere e gli spari.

Gerusalemme! Gerusalemme!

La conoscete voi una città che ha rotto più i coglioni - e fatto più morti - nella Storia?

Pensa che disgrazia nascere in un luogo in cui ti ficcano in testa fin da piccolo la storia della santità di Gerusalemme e non aver modo, possibilità, fortuna di sottrarvisi, di campare con altro e di altro.

Se è così preziosa, così sacra, così Santa perché non ne fanno due, perché non la desacralizzano, come di fatto è già, essendo divenuta un luogo molto turistico.
Ma perché il Dio Dappertutto è costretto (ristretto) in un luogo?

Premessa tardiva: nella lotta (nella partita?) tra israeliani e palestinesi io preferisco i primi. E però, considerandoli più capaci, aperti di mente, più secolarizzati, eccetera, mi aspetterei anche che fossero più ragionevoli e che non per questo smettano di difendersi, ma non di allargarsi (vedi questione territori), non di fissarsi su simboli del cazzo, che si va be' la storia, la storia dice che, e vaffanculo alla storia, che cazzo cambiava se continuavano a mantenere Tel Aviv capitale? Niente. Politicanti del cazzo.

I monoteismi configgono in un unico punto, testardi come muli, ma purtroppo non sterili.

Gerusalemme: più che essere figlia di Dio, è città figlia di troia. E se ci fosse adesso un re saggio come Salomone, per far smettere i due litiganti, credo che opterebbe per tagliarla in due.

In tre, va. Ci sono anche i cristiani porc...

domenica 13 maggio 2018

Un certain regard

Tra le tante cose che annualmente si ripetono come l'allergia alle graminacee, il Festival di Cannes¹ si presenta all'attenzione popolare infilandosi nella coda dei tele e radio giornali, dato che tutte quante le testate zuccone, soprattutto quelle della Rai, hanno inviato corrispondenti per corrispondere di quel che passa sulla Croisette.
E i corrispondenti vedono i filmi, i fichi e le fiche, i registi iraniani cambogiani danesi maltesi dalmati armeni e maremmani (per citare le razze più esotiche), e ci raccontano tutto, ma proprio, dandoci più voglia d'andare a vedere l'Atalanta (a me, che l'ultima volta che sono andato allo stadio giocava Socrates).
E tutti gli anni aggiungono un ordinale alla manifestazione per riconoscere, a fatica, la diversità tra un'edizione e l'altra e dare un numero all'inconsistenza.
Chissà quest'anno chi la vince la Palma. Spero l'olio.

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¹ Vale anche per Berlino, Venezia, Roma e anche (e soprattutto) per gli Oscar.



sabato 12 maggio 2018

Salutatemi i Guermantes

Ho un blocco dello scrittore, a quadretti, carta riciclata e copertina rigida, comprato in un supermercato francese, Casino. Mi ricordo che entrai e il personale di sorveglianza, vestito come i militari di stanza in Afghanistan, mi passò un metal detector tra le gambe e la spia si accese, dunque mi perquisirono notando un'insolita erezione. «Poi mi passa, appena entro», mi giustificai. Loro annuirono, capendo che il feticismo delle merci, alla lunga, sgonfia le palle a tutti, sia a coloro che hanno la possibilità di accedere al credito, sia a coloro che invece si limitano ad annusarle strisciando tra gli scaffali o a sognarle distesi la notte sui marciapiedi sopra cartoni delle scatole dei detersivi che con il loro finto profumo di lavanda allontanano, almeno per una nottata, scarafaggi e tarme. 

C'era una gran folla di persone al reparto cancelleria ultra fornito per l'imminente inizio dell'anno scolastico, genitori e figli che riempivano il carrello di materiale vario, i più seguendo una lista riportata sullo schermo dei cellulari. Avevo scelto il momento peggiore, dunque, per comprare un blocco dello scrittore. Distratto dall'avvenenza di molte madri che facevano a gara nel mostrare tatuaggi e abbronzatura - e la quantità di sguardi che riuscivano a raccogliere determinava in cuor loro la bontà del risultato (e io, come molti, quasi tutti, direi, guardavamo discretamente, credendo di non essere visti e invece le guardate sapevano contare gli sguardi anche quelli, e soprattutto quelli, di schiena) - non sapevo decidere quale blocco avrebbe fatto meglio al caso di un blogger che, dopo anni di schermo e di tastiera, voleva ritornare alla manualità da scrivano, per verificare se la calligrafia sarebbe stata ancora in grado di sostenere flusso di coscienza, annotazione diaristica e invenzione narrativa. 

Come detto in esordio, scelsi un blocco di carta riciclata, a quadretti. Aveva un odore strano, simile al Roquefort. Pagai e, appena uscito, mi sedetti su una panchina davanti alle casse e scrissi qualche frase, forse un verso ispirato dalle clavicole di una signora sulle quali avrei volentieri posato il mento.
Il personale della sorveglianza si avvicinò e mi chiese che cosa stessi facendo. «Le seghe», avrei dovuto rispondere e, invece, mi limitai a dire: «Scrivo». «E che cosa sta scrivendo, ce lo può dire?». «Pensieri». «E chi si crede di essere, Pascal?». Proprio vero: ogni attività che non rientra nei canoni dell'epoca corrente risulta sospetta e quindi avversata dalla Sorveglianza generale. «Ogni attività che si svolge dentro questo Centro commerciale deve essere sottoposta a controllo e verifica¹. Voglia quindi farci fotografare quel che ha testé scritto», disse uno dei vigilanti, il diplomatico. «E se mi opponessi?». «Dovremmo sequestrarle il blocco», replicò l'altro vigilante, il nerboruto. «Facciamo così»: strappai la pagina, la accartocciai, ne feci una pallina che lanciai in aria, più in alto che potei. I vigilanti alzarono gli occhi al cielo e io scattai velocemente verso l'uscita gridando: «Salutatemi i Guermantes».

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¹ «Monitorata» tua sorella.

venerdì 11 maggio 2018

Pop Art

Una superiore stanchezza d'essere lo sorprese mentre attraversava a piedi un ponte dal parapetto basso sotto il quale un fiume, dal letto ingrossato da abbondanti temporali, richiamava alla mente la possibilità del mare: «Quanto sarebbe facile giungervi come un giunco pensante, se si avesse la fortuna di scorrervi senza rimanere sospesi in qualche forra, a rimpozzo, per la gioia dei castori».

Il pensiero della sospensione fu interrotto bruscamente dal gracchio assordante di un tir che fece sembrare il marciapiede una trincea dentro la quale si combatteva una battaglia tra il troppo vuoto e il troppo pieno. Affrontò la questione e concluse che non era possibile restare neutrali, occorreva scegliere, prendere parte. 

Lasciò cadere a fiume una p.

mercoledì 9 maggio 2018

Politica pop

1. [Ieri] Se la prossima estate (o il prossimo autunno) saranno indette nuove elezioni politiche, sarebbe bello che l'astensionismo toccasse punte rilevanti, auspicabilmente sopra il 50% degli aventi diritto. Anche se non sarebbe sufficiente per risolvere le questioni che affliggono la penisola, invero sarebbe di per sé un ottimo segnale che il popolo sovrano manderebbe alla non rappresentanza politica, ovverosia a tutti coloro che, afflitti dalla propria insulsaggine, si azzuffano e accapigliano lanciandosi accuse reciproche di irresponsabilità e immaturità politiche. Ciccini.

2. [Stamani]. L'idea di Mattarella di proporre un governo "neutrale" non sarebbe malvagia se non partisse dal pregiudizio che la composizione di tale governo dovrebbe essere affidata a persone qualificate, di alto profilo istituzionale, tromboni vari che hanno occupato e occupano posti di prestigio nella pubblica amministrazione, nelle fondazioni bancarie, nelle multinazionali, nelle università. Un altro governo di tecnici del cazzo, insomma. Governanti la cui rettitudine non bada neanche a ungere i retti dei governati (solo dopo, a penetrazione avvenuta, pensano a qualche lubrificante: vedi le copiose lacrime della indimenticata ministra Elsa Fornero). 
In altri termini: il governo neutrale potrebbe essere una buona idea se i ministri incaricati fossero estratti a sorte tra la popolazione italiana sopra i diciotto anni. Basta poco per fare meglio di Alfano e la Madia.

3. [Stasera]. Salvini e Di Maio chiedono altre 24 ore a Mattarella. Berlusconi ci pensa. Vuole assicurazioni sulla roba. Ha poi fatto un giro di telefonate e ha capito che, se si tornasse a votare a breve, il suo peso elettorale probabilmente diminuirebbe e Salvini sarebbe più propenso a dirgli addio. Che peccato però. Io confidavo in lui per riproporre una nuova Pratica di Mare, ovvero un summit tra puttanieri.

domenica 6 maggio 2018

Il lievito vivo



Ogni mattina, sulla Terra, come sorge il Sole (ma anche quando tramonta: dipende dai turni), un proletario (uomo o donna che sia) si sveglia e sa che dovrà lavorare, altrimenti non potrà campare.
Ogni mattina, sulla Terra, come sorge il Sole, un capitalista (uomo o donna che sia) si sveglia e sa che dovrà sfruttare il lavoro che compra al lavoratore per produrre una determinata merce (quale che sia: «una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di un qualsiasi tipo»), altrimenti non potrà aggiungere un grammo di valore al capitale inizialmente investito per produrla.
Ogni mattina, sulla Terra, come sorge il Sole, non importa che tu sia proletario o capitalista: l'importante è che tu venda o tu compri forza lavoro, ovverosia, sotto le ferree leggi della logica capitalistica, è necessario che il lavoro sia ridotto a merce.

Certo, notevoli sono le differenze tra l'appartenere all'una o all'altra delle due categorie: 
«L'operaio lavora sotto il controllo del capitalista, al quale appartiene il tempo dell'operaio. Il capitalista sta attento a che il lavoro si svolga per bene e che i mezzi di produzione vengano impiegati appropriatamente».
Ma soprattutto:
«il prodotto è proprietà del capitalista, non del produttore diretto, dell'operaio. Il capitalista paga, per es., il valore giornaliero della forza-lavoro. Dunque, per quel giorno, l'uso di essa gli appartiene come quello di ogni altra merce, per es., di un cavallo noleggiato per un giorno. Al compratore della merce appartiene l'uso della merce; infatti, il possessore della forza-lavoro, dando il suo lavoro, non dà altro che il valore d'uso che ha venduto. [[Il capitalista], mediante la compera della forza-lavoro ha incorporato il lavoro stesso, come lievito vivo, ai morti elementi costitutivi del prodotto, che anch'essi gli appartengono». 
Ecco, in questi ebbri giorni di anniversario, quanto è stato riflettuto e discusso sul tema lavoro, marxianamente inteso quale
«processo che si svolge fra l'uomo e la natura, nel quale l'uomo, per mezzo della propria azione, media, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura [in cui] contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura»,
affinché tale processo possa essere affrancato, una volta per tutte, dalla logica capitalistica di sfruttamento e alienazione?

Io penso poco. 

E io penso che vivere il lavoro (o la sua assenza) come una sofferenza, un patimento, una costrizione, un obbligo - sia qualcosa che ancora massimamente affligge il genere umano. Anche e soprattutto a partire da quei luoghi che fanno del lavoro il fondamento della propria costituzione.

Per es. L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro.

Domandiamoci - con e grazie a Karl Marx - quale. 

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Le citazioni marxiane sono tratte dal Capitolo V de Il Capitale.

giovedì 3 maggio 2018

Subire la sera

a mia zia Rosina

Quali pensieri abitano
la mente, mentre si dilata
il grigio sfatto dal calore
del mezzogiorno.

Guardo la ferraglia
che taglia l'orizzonte e confina
il sole fuori
della prigione terrestre
dove la vita ha moto a luogo
dalla culla
alla sala di commiato.

Cosa abbiamo combinato
noi umani
per meritare
la consapevolezza di essere
qui a pensare di essere ora
e dopo non essere più?

Quante morti pesano
sulla coscienza del mondo?
Quanti non più,
non adesso, quante
impressioni che si fanno cenere
o lombrico?

Con il capo che guarda il sole 
declinante 
due vecchie, sole,
si aggrappano alla ringhiera
pericolante:
hanno subíto la sera.



martedì 1 maggio 2018

Ti lancerò

Agenzia tradotta da cani, comunque si capiscono lo stesso alcune cose: il premier israeliano, con il sostegno di alcune diapositive, ha dichiarato pubblicamente che l'Iran, in barba (khomeyniana) agli accordi presi, aspira a possedere cinque ordigni nucleari, ma ancora non ce l'ha, per cui
«Trump, chi ha orecchie per intendere, intenda, ossia straccia pure l'accordo firmato, ripristina per intero le sanzioni, convinci le altre nazioni europee a fare altrettanto».
Traduzione libera del discorso di Netanyahu. Già. Perché, a mio avviso, il Mossad, se avesse veramente scoperto che l'Iran fosse a un passo dall'avere l'atomica, non avrebbe fornito alcun dossier perché fosse sbandierato a fini di propaganda, bensì avrebbe agito bombardando i luoghi dove i missili sono stati bellamente fotografati, se quelle fotografie mostrate in televisione fossero un'esatta rappresentazione della realtà.

Parimenti, poniamo adesso che, nei prossimi giorni, il presidente o il primo ministro iraniano vada alla televisione di stato e faccia una dichiarazione opposta, e cioè dichiari, con alcune diapositive, che non è affatto vero che in Iran stiano costruendo bombe atomiche, e perciò stesso inviti nuovamente ispettori e agenti internazionali a verificare la realtà dei fatti, compreso l'uso esclusivamente civile del nucleare.

Bene. Su quali basi dovremmo credere più a un contendente anziché all'altro? Perché in Israele c'è un regime di democrazia liberale e in Iran una democrazia controllata, in ultima istanza, da autorità religiose? Prendiamo a esempio il recente bombardamento di USA, GB e Francia in Siria. Dove cazzo erano le armi chimiche? Non c'erano. Eppur Macron, prima del bombardamento, era andato in tv a dire che - giurin giurello - c'erano eccome. 

§§§

Non ho visto Renzi e quello che ha detto l'ho letto solo nei titoli di testa e di coda delle testate e delle codate online. Come prevedibile, ha fatto incazzare diversa gente e fatto godere Orfini (pugnetta di mancino). E giù discussioni, commenti a dire che così non si fa, che doveva stare zitto, che non è più segretario, che non si doveva permettere di scavalcare Martina... tutto vero. Eppure, in origine, il problema è un altro. Se Renzi si fosse limitato a esprimere quei concetti in una sua, consueta, enews, rilanciata poi via Twitter e Facebook, ci sarebbero state meno polemiche. Con ciò intendo dire che, ancora, la televisione è un medium che amplifica il vociferare politico in misura maggiore dei social network. E per ciò, più che dare addosso a Renzi - che non ha fatto altro che ribadire quel che è: un tapino politico - occorre dare addosso a Fabio Fazio, conduttore televisivo, il quale per avere un punto in più di ascolti per la sua trasmissione loffia, ha preferito intervistare Renzi e chissà con quali domande e quale contraddittorio, senza soprattutto - come giustamente ha rilevato Giglioli - fargli notare che il mantra «hanno vinto gli altri, ora governino se saranno capaci di farlo» è una impostura politica, giacché con un sistema elettorale proporzionale, se nessun partito prende il 51%, nessuno ha vinto. Di più: è  proprio la porcata bis del Rosatellum a determinare lo stallo, giacché se non ci fosse stato l'artifizio delle coalizioni-cartello elettorale, un nuovo governo, probabilmente, sarebbe già nel pieno delle sue funzioni.