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sabato 9 settembre 2017

Portare la storia sino alla globalizzazione

Alcuni giorni fa, ho letto un editoriale-invettiva di Alberto Asor Rosa contro la sperimentazione prevista dal MIUR di ridurre a quattro gli anni di scuola superiore.
Da esso, mi interessa estrarre questo passaggio:
« Nei centoventi anni che ormai ci separano dall'inizio del secolo che convenzionalmente definiamo Novecento non sono ancora entrati a pieno titolo — anzi spesso non sono entrati per niente! — nei programmi scolastici di cui stiamo parlando. Dunque, il problema va rovesciato rispetto a come viene attualmente posto: invece di diminuire i corsi di un anno, si tratta di far entrare un secolo in più nei programmi. Innovando, ma non distruggendo, si potrebbero riformulare i programmi dell'intero corso quinquennale, attribuendo all'ultimo anno il compito pressoché esclusivo d'investigare questi ultimi cento anni, decisivi per far capire ai giovani chi siamo e con cosa abbiamo a che fare. Portare la storia fino alla globalizzazione».
Orbene, se fossi un insegnante di storia delle classi quinte (finché le classi quinte ci saranno) della scuola secondaria di secondo grado, per «portare la storia fino alla globalizzazione». presenterei il programma leggendo agli studenti un pregevole articolo di Dario Fabbri, pubblicato nel febbraio scorso dalla rivista di geopolitica Limes.

Per spiegare:
  1. La globalizzazione: che cos'è, perché c'è.
  2. L'egemonia planetaria degli Stati Uniti d'America.
  3. La relativa sudditanza delle altre nazioni.
  4. Il dis-ordine del mondo.
Nel suddetto articolo sono toccati, a volo d'uccello, tutti i passaggi chiave che hanno consentito agli Stati Uniti di essere quello che sono: un impero. Ma un impero diverso da quelli precedentemente esistiti, in quanto l'egemonia planetaria americana esiste e resiste perché, diversamente dalle precedenti società, si fonda su un sistema economico e produttivo peculiare, determinato storicamente, e che prende il nome di capitalismo.

A questo punto, credo che converrebbe prolungare le superiori di un altro anno, anziché no.

mercoledì 10 febbraio 2016

Gli strumenti di sempre

L'espressione artistica veicolata dentro la scrittura consente poche evoluzioni circensi, niente salti mortali al trapezio.
Sulla base di un velato autobiografismo, pennellare immagini e scavare parole affinché appaia un torso. Un torsolo, più facile.

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La settimana delle mele melinda in offerta. Il Trentino svuota celle frigorifere inondando la penisola del suo frutto più famoso: gialle, rosse, verde, bicolore. La ricordanza delle spruzzatine fitosanitarie non m'impedisce di partecipare - gioioso - alla compera.

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Il blogger non è uno scrittore seriale nonostante scriva e pubblichi serialmente. Non è afflitto da esigenze editoriali, quindi il pungolo è cristallino come la brina, che repentina appare nei mattini sereni. Di tanto in tanto, si spera in un effetto galaverna per poi sparire negli inconsultabili elenchi del passato, vago ricordo di un pensiero espresso e disciolto, come brina al sole, appunto.

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Fin da piccoli ci insegnano che i settori economici sono tre più uno avanzato. Dunque, quando sento dire, dal direttore generale di turno, che la Rai prepara «le linee del piano industriale», credo sempre che i capistruttura saranno destinati ai turni di notte degli altiforni delle ultime acciaierie presenti in Italia, mentre i capiredattori delle sedi regionali a eviscerare polli d'allevamento presso l'Amadori o l'Aia (non in Olanda).

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«Una delle illusioni dei progressisti è quella di ‘saper’ guidare la Storia. La Storia se ne vendica portandoli dove vuole. Quanti tremiti, accensioni, spasimi, hanno segnato il corso di una vita troppo sensibile ai mutamenti delle contingenze e dei destini! Così, a forza d'aspettare il momento in cui sarebbe scattata la molla dell'azione, gli anni si sono sgranati in una penosa serie di choc, e in questi choc, ad un certo punto, si è concentrato per successive stratificazioni il sapore della vita stessa. Un'esistenza fatta tutta di pause grigie e di attese esaltanti finisce per smarrire il senso di sé: solo l'urto brutale di una realtà esplosiva può restituirla di tanto in tanto al calore consolante ed amico che dà esclusivamente l'illusione di partecipare all'azione. Ma il sapersi di nuovo vivo ha la stessa precarietà di tutte le altre illusioni in precedenza consumate. Gli strumenti del discorso e le parole della poesia restano infatti disperatamente gli stessi.» 
Alberto Asor Rosa, Alla ricerca dell'artista borghese (1968)¹.

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Il passaggio dal Carnevale alla Quaresima mi ha sempre scombussolato perché il Martedì grasso mi dimentico sempre di mangiare la carne che destino alla vigilia nera delle Ceneri.
Ho un rapporto pressoché quotidiano con le ceneri (salvo i mesi estivi). Osservo con perizia la consumazione del combustibile ligneo arso nelle stufe. So riconoscere, dai resti, il tipo di albero bruciato. Il più facile e coriaceo è il castagno. Il più evanescente, l'abete.
Una volta, ero giovane, nel periodo in cui lavorai all'inceneritore consortile (quando ancora era in funzione) chiesi a un collega più anziano di me se sapeva qualcosa della cremazione. Mi rispose soltanto che le ossa venivano macinate dipoi, a parte, quand'erano fredde².

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Vado a farmi una doccia così digito parole altrove.

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¹in Intellettuali e classe operaia, La Nuova Italia, Firenze 1973
² Questo ricordo mi sembra di averlo già scritto ma non ricordo.

lunedì 14 luglio 2014

Grandissimi giovamenti

Alberto Asor Rosa ci regala, oggi (a pagamento) dalle pagine culturali di la Repubblica (R2), un'entusiastica presentazione del saggio di Gian Carlo Ferretti e Giulia Iannuzzi, Storie di uomini e libri. L'editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, minimum fax editore (libro che cercherò presto di procurarmi).
Nel far ciò, Asor Rosa concede gustosi passaggi di autobiografia letteraria, raccontandoci che, sedicenne, nel 1949, spendeva la sua “paghetta” settimanale di cento lire acquistando volumi dei Canti leopardiani e le Ultime lettere di Jacopo Ortis pubblicati della leggendaria BUR, collana appunto nata nel dopoguerra.
«Furono acquistati alla fine della prima liceo (per l'influenza anticipatrice di un antiquato ma eccellente professore d'italiano) e letti nel corso dell'estate successiva - non vorrei esagerare in un'apologia romanticheggiante, - sotto gli ulivi materno paese contadino di Artena. Sono, constato, fittamente sottolineati. Anche questo può sembrare un'esagerazione: ma nessuno dimentica come e dove ha cominciato (qualsiasi cosa, s'intende, ma figuriamoci Foscolo e Leopardi!).»
Asor Rosa ricorda poi il ruolo importantissimo che ebbero per la sua formazione di letterato altre collane, ad esempio i Gettoni Einaudi curati da Elio Vittorini. Non pago di ciò, egli - «per chiudere il discorso» - chiama in causa «due altri esempi, che la pur ricca scelta di Storie di uomini e libri non contempla, il primo di un lontano passato, l'altro ancora presente».
A noi, cioè: a me, interessa soltanto riportare il secondo perché con esso si nota come, per il chiarissimo professore, sia (da anni) cambiata la modalità di ottenimento dei preziosi libri da sottolineare fittamente.
«Il secondo e ultimo esempio riguarda i Millenni einaudiani - bellissima veste, straordinarie curatele, piuttosto cari - i quali rimettono in circolazione, con eccessiva, secondo me, parsimoniosità editoriale, testi rari oppure non mai modernamente ristampati. Chi li riceve (gratis) dall'editore ne trae indubbiamente un grandissimo giovamento
E constato che Asor Rosa, come paghetta per un eventuale caro nipote, ha l'opportunità di dargli i Cento anni in luogo dei cento Euro.

venerdì 22 luglio 2011

Attaccarsi al verso

Mi era sfuggito, ma martedì scorso, sulle pagine culturali di Repubblica, Alberto Asor Rosa, profittando di una recensione al libro di Filippo Strumia, Pozzanghere, Einaudi, fa un certo discorso sulla poesia in generale che mi trova in molti punti concorde.

Ma cosa resta del libro recensito, a parte il fatto di essere segnalato da una così importante "autorità" in campo letterario?

Leggiamo questo passaggio:
Quando leggo versi come: «... migrano le rondini nei cieli di perla, / migrano le notti e le albe, / migrano gli indefinibili volti /dei nostri atomi senza profumo», io non mi chiedo che fortuna avranno questi versi, mi chiedo se nell' infinito (mostruoso?) universo attuale della comunicazione, essi segnano un punto fermo per attaccarmici: per sapere che io ci sono, perché un altro c' è. Pare a me che, allo stato attuale delle cose, non si possa né chiedere né proporre ai poeti più di questo. 
Asor Rosa afferma qui, implicitamente, che tali versi, pur validi che siano, non importa quanto saranno condivisi, ovvero se entreranno a far parte dell'immaginario popolare come patrimonio linguistico comune. No, la poesia diventa un fatto, una comunicazione meramente "privata" tra uno scrivente e un leggente, un "io" e un "tu" che cancellano il loro anonimato facendosi i complimenti da soli.

«Belli questi versi, Filippo».
«Grazie professore, è un onore per me. Troppo buono».
«No, no. Davvero sono versi importanti. Io infatti mi ci attacco volentieri».
«Pur con tutta la stima che nutro nei suoi confronti, avrei preferito che ad attaccarsi a tali versi fosse stata una lettrice».

Infine, da notare come, pur citando Paolo Di Stefano che ha iniziato la riflessione estiva sulla poesia, Asor Rosa eviti di nominare il suo acerrimo "nemico", Berardinelli (anche quest'ultimo ha scritto un recente articolo sulla poesia pubblicato dal Corsera di cui ho parlato qualche giorno fa).
Si fanno i dispettucci, come le bertucce tra una cattedra e una lavagna.

domenica 26 giugno 2011

Golpe letterari

[...] La situazione, dunque, è più complessa e difficile, anche se apparentemente meno tragica: si potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via democratica, il tarlo è dentro, non fuori.
Se le cose stanno così, la domanda è: cosa si fa in un caso del genere, in cui la democrazia si annulla da sé invece che per una brutale spinta esterna? Di sicuro l'alternativa che si presenta è: o si lascia che le cose vadano per il loro verso onde garantire il rispetto formale delle regole democratiche (per es., l'esistenza di una maggioranza parlamentare tetragona a ogni dubbio e disponibile ad ogni vergogna e ogni malaffare); oppure si preferisce incidere il bubbone, nel rispetto dei valori democratici superiori (ripeto: lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del «pubblico» in tutte le sue forme, la prospettiva, che deve restare sempre presente, dell'alternanza di governo), chiudendo di forza questa fase esattamente allo scopo di aprirne subito dopo un'altra tutta diversa.Io non avrei dubbi: è arrivato in Italia quel momento fatale in cui, se non si arresta il processo e si torna indietro, non resta che correre senza più rimedi né ostacoli verso il precipizio. Come? Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o, ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici. Certo, la pressione della parte sana del paese è una fattore indispensabile del processo, ma, come gli ultimi mesi hanno abbondantemente dimostrato, non sufficiente. Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale[...]

Ogni tanto ripenso alle parole sopra scritte di Asor Rosa e alle critiche che gli piovvero addosso - e giustamente. E ci ripenso perché mi pare impossibile che un intellettuale del suo "spessore" sia incorso in un simile abbaglio.
Chiedere in Italia, da sinistra (dalle pagine de Il Manifesto poi!) il ricorso ad un golpe militare... è come se gli omosessuali chiedessero aiuto al Vaticano per avere concesso il diritto al matrimonio.
In Italia, se mai un colpo di stato sarà possibile (anche se, come dice Corrado Guzzanti, ne è già in corso uno da diciassette anni) lo sarà solo da destra - e mi sembra strano che ad Asor Rosa sfugga questo particolare.

Facciamo un'ipotesi assurda: se Berlusconi avesse portato al governo i post-comunisti anziché i post-fascisti e i leghisti, e il suo esecutivo avesse avuto un'impronta sinistrorsa à la Chavez, non dubitate: non ci sarebbe stato bisogno di aver invocato le forze dell'ordine affinché Palazzo Chigi, Montecitorio, Palazzo Madama e anche la Rai fossero stati occupati dall'Esercito.
In breve: un simile governo fogna sarebbe già stato "spurgato" con la forza, e la cintura di sicurezza dei celerini intorno ai palazzi del potere si sarebbe allentata e rivolta contro i governanti stessi anziché contro il "popolo" che protesta.

E qui andrebbe fatto - ne fossi capace - una seria disanima sull'attuale tenuta democratica dei quadri dell'esercito italiano. Certo, sessantacinque anni di Repubblica a qualcosa saranno serviti. Ma, nel loro intimo, i comandanti di alto grado dei vari reparti come la pensano politicamente? Se sentono un fischio, corrono da Napolitano o da La Russa (o Gianni Letta)? E ancora: da quando - e meno male - la leva obbligatoria è stata sospesa, quali classi sociali e di che ispirazione politica vanno a fare il mestiere militare? Se non ricordo male, fino a qualche anno fa, anche solo aver avuto come cugino di secondo grado un esponente di un partito di sinistra escludeva l'accesso all'arma dei Carabinieri e della Polizia, o sbaglio?
Nelle Accademie militari quali libri, quali riviste, quali quotidiani sono letti? La Letteratura Italiana di Asor Rosa sta nello scaffale di qualche comandante? Viene preferito Giorgio Bocca o Giampaolo Pansa come libro dell'estate?

[Ecco perché, forse, Roberto Saviano fa paura a questo governo: perché è l'unico intellettuale in grado di esercitare un'influenza positiva nei confronti dei quadri di comando dei vari reparti dell'esercito e delle forze dell'ordine, in favore della Repubblica e della democrazia, ma negativa per il potere berlusconiano. Ecco una possibile ipotesi di lavoro per capire le ragioni della rottura di Saviano con la Mondadori prima, e con la Rai poi.]

Insomma, l'auspicio di Asor Rosa avrebbe qualche credito solo se coloro che s'incaricano del golpe fossero suoi allievi, che nel nome di Ungaretti, di Pasolini e di Calvino schiacciano la testa definitivamente al despota usurpatore.