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domenica 19 agosto 2012

L'orgoglio lusingato di un uomo che ha dato poco e in cambio ricevuto così tanto


C'è una una lunga articolessa culturale su La Lettura del Corsera odierno scritta da Alessandro Piperno, ultimo vincitore del Premio Strega. Egli s'occupa di Kafka e delle sue disposizioni all'amico Max Brod di bruciare tutte le sue opere. 
Con tale articolo Piperno si candida ufficialmente a diventare il successore di Pietro Citati. Con una prosa e con delle metafore più melense, d'accordo, ma con il piglio simile di uno che la sa lunga senza spiegarci perché la sappia - e ci tiene a farlo sapere. Ma quanto lunga egli la sa?
Non entro nel merito dell'argomento trattato, non ne ho le competenze (se le ho sono simili a quelle di Piperno), anche se - credo, forse a ragione - che se uno si legge la voce Wikipedia trae maggior profitto e gusto. Nondimeno vorrei commentare un paio di brani.
Il primo:
«Kafka, come ogni grande modernista, ha un’idea romantica dell’arte. La sua allergia al filisteismo non è meno patologica di quella di Mallarmé. E, a proposito di romantici, perché Balzac inventò la tecnica del «ritorno dei personaggi» se non affinché la sua Commedia non avesse mai fine? In fondo la stessa Recherche era costruita per accompagnare il suo autore fino alla morte. Chi conosce la necessità di vivere dentro ai libri che scrive sa quanto doloroso sia che essi acquistino una forma definitiva e, come figli ingrati, se ne vadano in giro per il mondo a far danni, con i loro piedi piatti ed i loro denti storti.»
In questo capoverso Piperno dà prova della sua sussistenza bignamica: oltre a rammentarci il modernismo, il romanticismo, il filisteismo, cita, nell'ordine, Kafka, Mallarmé, Balzac, Proust (la sua Recherce) e se stesso. 
- Se stesso? No, dài, non sembra.
- Eppure ti dico che è così: a chi vuoi si riferisca, infatti, se non a se stesso, in questa frase “chi conosce la necessità di vivere dentro ai libri che scrive...”? Lui-même, chi altri sennò? E poi, visto che s'accorge d'averla fatta grossa, paragonare il suo procedere di narratore a dei sacri numi, schernisce fintamente e melensamente i suoi libri dicendo che sono “figli ingrati” che se ne vanno “in giro per il mondo a far danni, con i loro piedi piatti ed i loro denti storti”.
- Cammini sui sassi a piedi scalzi e si metta l'apparecchio: è meglio.

Il secondo, che è l'epilogo dell'articolo:
«Chissà, forse tutta questa celebrità avrebbe giovato all’umore e alla salute, di certo al portafoglio. Probabilmente Kafka avrebbe capito prima di qualsiasi altro che anche il successo è una questione burocratica, ma sempre meglio che essere processati senza ragione. Qualcosa però mi dice che avrebbe trovato esasperante — e in qualche misura perfino umiliante — l’idea che tutta quella gente mettesse il naso in ciò che lui aveva scritto con tanta cura.»
Quanto scritto sopra denota una sfacciataggine inaudita: Piperno, facendosi scudo di Kafka, ci informa goffamente che il suo umore, la sua salute e il suo portafoglio hanno tratto giovamento dalla vittoria dello Strega - anche se tale successo è stato una formalità burocratica e non certo un'attestazione delle sue qualità letterarie. Chissà perché qualcosa mi dice che egli sia profondamente gratificato dal fatto che tutta quella gente (i giurati, e non solo) abbiano messo il naso in ciò che lui ha scritto con tanta abnegazione.

lunedì 25 giugno 2012

Ego culturali

A volte rimando la lettura degli inserti culturali domenicali al lunedì, così non mi rovino la domenica (mi rovino il lunedì).
Scrive Piperno.
Anche a me come a Francesco Pacifico capita spesso di mettermi a copiare brani tratti da grandi libri. La sola differenza è che il mio è un piacere clandestino che mai mi sarei sognato di confessare pubblicamente. Pacifico, invece, ci ha scritto su un libro. Il suo coming out mi incoraggia, spronandomi all’autodenuncia.
Sembro un masochista, vero? In realtà sono un sadico che mette in atto la regola aurea: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” (battuta non mia). In pratica: se leggessi Piperno (gli articoli) e non lo dicessi, sarei solo un masochista; invece, invitando anche altri a leggerli, sono un sadico. Tutto chiaro? No, ma non importa. Conciossiacosaché l'apocalisse è vicina:
Certo, sarei estremamente più selettivo nella scelta dei testi da copiare ma per il resto mi atterrei alla rigida disciplina del copista: copia copia e non rompere. Sai che pacchia. Te ne stai lì tutto il giorno a copiare Anna Karenina, come Pierre Menard, lo stravagante personaggio borgesiano che credeva di stare riscrivendo il Don Chisciotte sebbene lo stesse semplicemente ricopiando parola per parola. Esiste vita più tranquilla di quella dell’amanuense? Nessuno ti stressa. Nessuno ti esalta, nessuno ti stronca. Nessuno ti dà i voti. Nessuno ti insulta. Nessuno ti chiede di essere originale, proprio perché la tua professione consiste nel non esserlo affatto. Del resto, perché menarsela tanto con questa storia dell’originalità.
Ora sembra che io sia un invidioso perché Piperno ha la patente per scrivere sulle pagine culturali dell'inserto del Corsera e perdipiù ricevendo lauti compensi (chissà quanto, sono curioso). Ma non è così, credetemi. Io mi preoccupo di Piperno soltanto per ragioni pedagogiche. Prendete un o una giovane che è affascinata dalla letteratura, il o la quale cerca delle guide al di fuori della scuola e che si rivolge (come io mi rivolsi) a delle riviste letterarie o alle terze pagine dei quotidiani e trova questa roba: che effetto potrebbe avere su di lui (o lei)?
Io mi ricordo perfettamente il meccanismo: leggevo un articolo e/o recensione per esempio di Pontiggia, di Fortini, di Ceronetti, di Meneghello, di Magris, di Segre, di Cases, di Mengaldo, di Sanguineti, di Luperini, di Martelli, di Eco, di Berardinelli, di Pampaloni, di Gramigna, di Fofi, di Raboni, eccetera (mi sono venuti in mente loro) e poi andavo o in libreria o in biblioteca e cercavo le indicazioni da costoro date.
Non sto a sindacare sul fatto che la generazione di scrittori critici intellettuali precedente alla nostra fosse di miglior vaglia. E non ho nostalgia dei tempi andati. No, non è questo. 
Il punto è l'uso, meglio: l'abuso della parola "io". Una volta, fossero elzeviri, recensioni, o interventi estemporanei, gli autori che solevano scrivere nelle pagine culturali avevano meno ansia di mettere in mostra quella piccola parte ignobile di sé, e dire in continuazione: «Anche a me capita, il mio piacere, mi incoraggia, sarei più selettivo, mi atterrei, io faccio, io dico, io scrivo, io vado a fare in culo».
Prammatica vorrebbe che quando si ha l'onore e l'onere di scrivere articoli culturali, l'uso della parola io fosse occasionale e limitato e non inflazionato come succede, a giusto titolo, nei racconti, nei romanzi, nei blog. 
Per carità, poi ognuno fa come vuole e, se ci si pensa bene, la colpa non è neanche di Piperno e di altri autori che solgono far così, bensì dei caporedattori che dovrebbero moderare e - al limite - censurare tale abuso. 
Su La Lettura di ieri, poi, tra A. Piperno, A. Pascale ed E. Camurri* c'è stata un tale orgia di io, come se volessero impollinare il panorama culturale italiano col loro ego smisurato.
Antonio Pascale a rompere le palle che non gli piacciono le recite di fine anno scolastico perché fanno balbettare la su' figliola.
Il Camurri stiamo zitti che mi vergogno persino a sintetizzare cosa ha detto, maremma impestata.

Bello affondare, vero Italia? Schettino ministro della cultura subito.

*Gli articoli di questi due ultimi non sono ancora reperibili in rete

sabato 5 maggio 2012

D'inchiostro ce n'è uno


Poco fa ho visto una divertente recensione video di Riccardo Chiaberge all'ultimo romanzo di Alessandro Piperno, Inseparabili, Mondadori (uno dei libri favoriti per la vittoria del Premio Strega).
Chiaberge ha un bel divertirsi nel pungolare alcune frasi di Piperno, evidenziandone i difetti. Ma se, invece, ne avesse sottolineato i pregi, sarebbe cambiata la sostanza? Vale a dire, se anche la sua critica fosse stata benevola (o sperticata come quella di Antonio d'Orrico all'ultimo libro di racconti di Ligabue), muterebbe qualcosa nel rapporto tra libro (di narrativa)-recensore-lettore?
A mio avviso, no.

La questione per me fondamentale è: la narrativa ha ancora un senso? Cosa induce noi lettori a comprare¹ un libro di uno scrittore come Piperno (o altri centomila come lui)? Cosa fa sì che io, appunto, spenda soldi e tempo per leggere una storia che quasi sicuramente mi farà dire ma che cazzo sto leggendo²?

Sarà che sono in un periodo della mia vita in cui sono poco ricettivo, molto selettivo, e in cui ho più voglia di scrivere che di leggere. Non è presunzione o perché abbia la puzzetta sotto il naso e sia un elitario del cazzo che s'imbrodola coi grandi del passato. Non è questo, ve l'assicuro. È che quando ho un libro in mano, soprattutto un libro di narrativa contemporanea, mi prende il panico, sento veramente sottrazione di tempo, un po' come se dovessi vedere una partita di calcio, o un concerto di Tiziano Ferro, o un'intera puntata di Santoro et similia.

Sono in un periodo in cui sento un gran frullamento di neuroni (e di coglioni) e, confesso, che non mi va più di prendermi in faccia sprizzi agrodolci della realtà che riesco a percepire. Devo reagire, incazzarmi, patire, detestare, compatire, approvare, schifare, finanche amare là dove è consentito e possibile.

La letteratura, la vera, non è (più) dentro quelle scatole vuote dei libri. Siamo una moltitudine di letterati, ormai, e nessuno di noi ha il diritto perché ha l'imprimatur di un editor o la statuetta di un premio famoso, a sentirsi scrittore e gli altri no. Siamo tutti esseri scriventi, giacché la scrittura è sangue, sperma, ovaie, forfora, scaglie di corpo che escono dai nostri pensieri che interagiscono con il mondo circostante. Volete vedere uno dei documenti massimi in cui è stato scritto il nostro nome? Eccolo qui,

è un coltello di ossidiana ritrovato da qualche parte in Messico. Su tale reperto sono state individuate queste

particole di sangue umano, di umani sacrificati agli dèi chissà per che cosa, per far piovere, forse, o per riportare pace nella comunità ai danni di una vittima espiatoria. È il sangue che si scrive, lo ripeto - e la nostra contemporaneità finora ha consentito di sprecarne meno fiumi rispetto a pochi decenni or sono. Siamo i figli fortunati della fine del sacrificio, e gli scrittori come Piperno vadano pure a fare in culo con il loro blasone, la loro pipa, e la corte di scimmie che gli ruotano attorno per chiedergli se volessero presentare il libro presso un club di rincoglioniti. È inutile divertirsi, dunque, a loro spese come fa Chiaberge. Ma in fondo non è colpa loro, sono gente adattata perfettamente al meccanismo produttivo della case editrici. Cosa diamine vuoi che importi alle case editrici di fare letteratura? Passata di pomodori, forse.

Noticine
¹Dico comprare apposta per far notare che i recensori professionisti ricevono i libri gratis dalle case editrici
²Mi rendo conto che la mia è pura presunzione: ma non ci posso fare niente. Non trovo tempo più sprecato che leggere romanzi di autori contemporanei, nella fattispecie italiani, salvo rarissime eccezioni, beninteso. Per i critici è facile leggere: è il loro lavoro, sono pagati per questo. Anch'io se avessi un mestiere simile, mi metterei di buon grado a leggere cosa passa il convento della narrazione italiana.