Visualizzazione post con etichetta Paolo di Tarso. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Paolo di Tarso. Mostra tutti i post

venerdì 10 febbraio 2017

La caparra dello Spirito

[1] Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. [2] Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: [3] a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi. [4] In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. [5] È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito.

S. Paolo, Seconda Lettera ai Corinzi, capitolo 5

Crisi poetica. Crisi maieutica. Crisi digitale. Ho telefonato a Dio.

Pronto, Dio?
Sì.
La tua caparra ce l'ho anch'io?
Sì.
Potrei restituirla?
No. Fa parte del pacchetto base geni/memi.
Posso consumarla?
Ne hai già consumata un bel po'.
Significa che, quando il mio corpo sarà disfatto, avrò una casetta piccola piccola?
Una cassetta.
Nei cieli?
Dipende dai posteri, come ti spargono, se da una finestra o una scarpata, per esempio.
Il destino dei soffioni a noi non è concesso?
Scrivi.
Dove mi poso, mi poso?
Attecchisci.
E una volta attecchito?
Rivestiti del tuo corpo terrestre, a condizione di ritrovarti nudo, non vestito.
Non capisco più un cazzo.
Quanti siete nel tuo corpo?
Quanti sono nel mio corpo? Non ti seguo.
Followami.
Signore aiutami a discredere, come disse Stephen Dedalus.
Sei già screditato.
Ma volevo chiederti soltanto un po' di ispirazione.
Basta respiri.
Ho capito, Master of Sex: mi hai accaparrato.

martedì 19 giugno 2012

È necessario per noi restare nella carne

«Coloro che negano l'esistenza della Divinità non meritano tolleranza alcuna. Promesse, patti e giuramenti, che sono il  legame della società umana, non possono aver presa sull'ateo, né essergli sacri. Infatti, se aboliamo Dio, anche solo nel pensiero, tutto si dissolve».
John Locke, Lettera sulla tolleranza, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1961.

Magari fosse vero, magari potessimo, Dio negando, dissolvere tutto ciò che ci rende schiavi come spuma nella risacca, come sperma perso che non ha preso bene la mira e si disperde disperato in ognidove ma non lì, nel luogo dove preferirebbe.
Ma negare Dio è un compito immane, perché gli idoli riemergono da tutte le parti, magari ancor più tignosi di Dio stesso, che finché rimane nell'iperuranio, impassibile niente, rimane una garanzia per non idolatrare le mezzeseghe umane che ci intasano mediaticamente il cervello.
Abolire Dio è un po' abolire se stessi - perché se si deve negare Dio per idolatrare l'uomo si rischia d'impazzire o di far impazzire gli altri.
Sarebbe meglio dissolversi noi, allora, cupio dissolvi, essenza dell'essere che si ripone, si nasconde, come la natura d'altronde ama nascondersi, Eraclito dixit.
Scrive Paolo (Filippesi, 1, 23-24)
Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.
Capita a tutti di sentirsi alle strette e di provare simili desideri: sciogliersi dal corpo, ma non tanto per essere con Cristo, quanto per liberarsi dalla schiavitù dell'
IO-vs-ALTRI
Sciogliersi negli altri e non legarsi agli altri, per stabilire relazioni di autentica reciprocità e non di contrastato mimetismo: modello-discepolo, padrone-schiavo, coquette-spasimante.
E l'unico mezzo che abbiamo per sentirsi sciolti negli altri è la carne; la carne diventa necessario tramite, corpo che aderisce alla terra e non la subisce; e le lacrime diventano linfa vitale per sconfiggere una deprecata solitudine.