Ogni tanto mi piace sbirciare tra i blog che si occupano di moda. Tacchi & Champagne è uno dei miei preferiti. Non ci capisco una mazza di fashion and style, ma non importa. M'interesso soprattutto al lato sociologico della cosa, forse psicologico, sessuale sicuramente. E dal mio parzialissimo punto di vista maschile avverto che l'unica cosa sexy del caftano sia lo spacco che fa intravvedere le gambe. E la protagonista, indubbiamente più sexy della mannequin a lato, lo mostra benissimo. Su quella parvenza di polpaccio rialzato dal tacco vertiginoso potrebbero essere scritti interi trattati. La borsetta, tuttavia, mi sembra una tastiera per l'iPhone. Ma cosa volete, oggi per imbroccare bisogna innanzitutto saper chattare sul modello qwerty.
mercoledì 18 gennaio 2012
Sono questi i nomi che dovete scrivere
«Vi posso chiedere un favore? Dimenticatevi di me. Smettete di parlare di me. L'eroe non sono io». Eppure, l'intuizione che sulla Concordia stava succedendo qualcosa... «L'intuizione? L'eroe è il mio sottocapo Alessandro Tosi, è lui che ha capito tutto quella notte. È lui che alle 22,07 guardando un puntino verde su un monitor senza sapere nulla che non fosse una telefonata dai carabinieri di Prato mi ha detto, "Comandante, quella nave da crociera va troppo piano, 6 nodi... che ci fa a 6 nodi e a rotta invertita la Concordia? Comandante, chiamiamoli. Lì c'è un guaio". Capite chi è l'eroe?». Sì ma... «Sì ma niente. Un altro eroe? Sapete chi ha salvato quasi tutte le persone quella notte dopo che il comandante aveva abbandonato la nave? Un ragazzo meraviglioso del nostro elisoccorso. Marco Savastano. È questo il nome che dovete scrivere. E dovreste fare una pagina di soli nomi di marinai della Guardia costiera, della Marina militare, della Finanza, dei carabinieri, dei vigili del fuoco, della Protezione civile, che quella notte hanno dimenticato se stessi per gli altri. Savastano, dicevo. Lo hanno calato su quella nave al buio, con una muta invernale e un palmare, non una radio, non un filo con noi. Si è buttato a capofitto lì dentro senza pensare alla sua vita ma a quella di chi cercava di salvare. Si muoveva in un ambiente che non conosceva, tra suppellettili sfasciate, acqua, passeggeri che gridavano al buio. Chi è l'eroe? Io che strillavo con Schettino o lui, che ascoltava le urla di supplica di quelli che volevano essere salvati e non capivano perché perdeva tempo ad imbracare alle barelle spinali i feriti più gravi da tirare su con l'elisoccorso?».
martedì 17 gennaio 2012
Fugace biscaccina
[...] sudore
che pulsa, sudore di morte,
atti minuti specchiati,
sempre gli stessi, rifranti
echi del batter che in alto
sfaccetta il sole e la pioggia,
fugace altalena tra vita
che passa e vita che sta,
quassú non c'è scampo: si muore
sapendo o si sceglie la vita
che muta ed ignora: altra morte.
da Eugenio Montale, Le occasioni, Tempi di Bellosguardo,
Cerchiamo di stare calmi: agli americani del mondo poco importa se la causa del naufragio e del disastro sta trovando un responsabile. Fottiamocene, come popolo. Non è che impalando il comandante Schettino si possa riavvolgere il nastro dell'accaduto. Concentriamoci affinché gli Schettino che sono in noi non provochino altri disastri. I tassisti, per esempio. Se ci fossero stati degli studenti fricchettoni sotto Palazzo Chigi, a quest'ora sarebbero stati riscaldati ben benino a forza di manganellate. I tassisti sono contro al che un disoccupato prenda la patente più il patentino per guidare mezzi pubblici, e poi con la sua auto, dipinta di bianco, apra una partita iva e si metta in fila a fare il tassista. Semplice no? No, perché per fare i tassisti bisogna avere studiato. Hai capito.
Inoltre Reguzzoni della Lega (quanto mi sta sul cazzo, altro che Schettino) ha promosso una mozione di sfiducia contro il ministro Passera per
Inoltre Reguzzoni della Lega (quanto mi sta sul cazzo, altro che Schettino) ha promosso una mozione di sfiducia contro il ministro Passera per
«manifesta incapacità di creare le condizioni per lo sviluppo economico. Finora abbiamo visto un'inerzia totale e una volontà di colpire i piccoli, quelli che pagano i conti.Non si vogliono colpire le banche, che sono le responsabili di questa situazione»[*]
Hai capito. Come se dal 2008 a ieri ci fossi stato io al governo. E cinque anni prima. Scendi sottocoperta Reguzzoni, cazzo, e copriti il capo.
E poi ho visto uno spezzone dove l'ex presidente del consiglio racconta una barzelletta al party per il ventennale del Tg5. C'erano anche Mentana e Mimum e altri direttori, e nessuno di loro che abbia detto a Berlusconi, «vada in bagno davanti allo specchio a raccontarsela per vedere quant'è ridicolo, cazzo». Hai capito.
Ho capito che poi la cancelleria tedesca ha risposto picche alla richiesta di Monti. Se noi italiani avessimo l'orgoglio patrio, invece di vergognarsi per Schettino, dovremmo vergognarci per avere nei garage tutte quelle cazzo di Audi o di Volkswagen, di Bmw o di Mercedes. A proposito, cazzari, quando entrate dentro i vostri confortevoli autoblindi turbodiesel quattroquattro, mi raccomando, lamentatevi per la crescita, per il Pil, avete capito.
Non hanno capito, li capisco. C'è la Fiat con ancora la Punto con quella pubblicità del cazzo. Hai visto che ripresa comandante Marchionne? Avete trovato qualche scoglio sulla strada della ristrutturazione? Secondo me faceva meglio Schettino. Hai capito, come diceva intercalando Mike Bongiorno.
«Cazzo», disse il capitano al comandante
«Salga sulla prua della nave tramite la biscaccina e mi dica cosa si può fare, quante persone ci sono e che bisogno hanno. Ora!».
È facile immedesimarsi nella voce perentoria del Capitano De Falco. È facile, col senno di poi, coi piedi al caldo dentro le pantofole, prendere il tono della sua voce e ripetere tali ordini. È facile altresì immaginare che noi, al posto del comandante Schettino, avremmo fatto diversamente e non saremmo stati così pusillanimi.
Il problema, però, non è prendere le parti ora dell'uno o dell'altro dei protagonisti della vicenda, ma vedere poi, alla bisogna, se saremo capitani o comandanti nei piccoli naufragi delle nostre vite.
lunedì 16 gennaio 2012
Pensare e parlare sono quasi la stessa cosa. Quasi
«Tuttavia le società segrete cercano mezzi per favorire psicologicamente il silenzio che non è direttamente coercibile. Il giuramento e la minaccia di punizione vengono qui al primo posto e non hanno neppure bisogno di essere commentati. Più interessante è la tecnica, che si incontra abbastanza spesso, di insegnare come prima cosa ai novizi a tacere sistematicamente. Innanzitutto, di fronte alla difficoltà di tenere completamente a freno la lingua [...] soprattutto considerando il nesso facilmente rilevabile esistente a livelli più primitivi tra pensiero ed espressione - per i bambini e per molti popoli che vivono allo stato primitivo pensare e parlare sono infatti quasi la stessa cosa - bisogna imparare a tacere in assoluto prima che ci si possa aspettare il silenzio di determinate rappresentazioni».
Georg Simmel, Il segreto e la società segreta, SugarCo Edizioni, Varese 1992 (traduzione di Giuseppina Quattrocchi, titolo originale: Das Geheimnis und die geheime Gesellschaft, 1906-1908).
Pensare e parlare erano, infatti, quasi la stessa cosa. Non è più così da tempo, da molto tempo. Le parole si sono allontanate, a esse corrisponde difficilmente la cosa che esse dicono di essere. A ogni parola corrisponde una maschera. È dietro la maschera che si nasconde la cosa. Il potere, soprattutto, fa un uso sfrenato della rappresentazione, del simbolo dietro al quale si cela soltanto un esercizio di dominio. Il problema è che per togliere la maschera al potere si corrono dei rischi, poiché il potere non è che sta lì bellin bellino a farsi smascherare per mostrare al mondo il suo vero volto.
Ma lasciamolo perdere il potere, parliamo io e te, amica, e ti rendi conto che se fosse vero tutto quello che dico io sarei... cosa sarei? Beh, dillo tu. Usa una parola o due, che le mie tanto sono finte, le mie vanno in giro a cercare di rappresentare quello che penso, ma quello che penso, poi, difficilmente riesco a dirlo a voce alta, figuriamoci a farlo. Vorrei che corrispondessero pensiero e parole, soprattutto: pensiero, parole e azione. Andare fuori per il mondo e dire tutta la verità, nient'altro che la verità, anche cose semplici, tipo, madonna come tu puzzi di sudore, ma lo sai che mi stai veramente sul cazzo, non riesco a seguirti perché quando parli mi viene lo struggimento ai coglioni? Molti si fanno vanto di essere diretti, sinceri, spontanei - ma in fondo non lo sono mai veramente: è difficile dire fino in fondo quello che si pensa, e - di conseguenza - quello che si pensa troppo spesso rimane a mezz'aria, inespresso, come la mia mano che si ferma prima di avvicinarsi troppo al tuo... volevo dire cuore.
domenica 15 gennaio 2012
Uomini tra gli altri
Triste giornata per la cultura italiana tra ieri e oggi. Sono morti Paolo Rossi, Franco Della Peruta, Carlo Fruttero. Belle vite, dense di studio e di intelligenza. Di Rossi e Della Peruta ricordo alcuni testi usati per esami all'università, Storia della scienza e Storia contemporanea. Di Fruttero? Be' tante cose, La donna della domenica in primis, poi altre ancora. A seguire tre brani dei tre autori. Senza commento particolare, solo per avere un'idea di chi fossero.
***
«Solo se si tiene presente questo contesto acquista un significato preciso l'atteggiamento assunto da Galilei e che è alla radice delle sue grandi scoperte astronomiche. Nel 1609 Galilei puntava verso il cielo il suo cannocchiale. Ciò che segna una rivoluzione è la fiducia galileiana in uno strumento nato nell'ambiente dei meccanici, progredito solo per pratica, parzialmente accolto negli ambienti militari, ma ignorato, quando non disprezzato, dalla scienza ufficiale. Il cannocchiale era nato negli ambienti dell'artigianato olandese. Galilei l'aveva ricostruito e l'aveva presentato a Venezia nell'agosto del 1609 per farne poi dono al governo della Signoria. Il cannocchiale non è per Galilei uno dei tanti strumenti curiosi costruiti per il diletto degli uomini di corte o per l'immediata utilità degli uomini d'arme. Egli lo impiega e lo volge verso il cielo con spirito metodico e con mentalità scientifica, lo trasforma in uno strumento scientifico. Per prestare fede a ciò che si vede con il cannocchiale bisogna credere che quello strumento serva non a deformare, ma a potenziare la vista. Bisogna considerare gli strumenti come una fonte di conoscenza, abbandonare quell'antico, radicato punto di vista antropocentrico che considera il guardare naturale degli occhi umani come un criterio assoluto di conoscenza. Far entrare gli strumenti nella scienza, concepirli come fonti di verità non fu una facile impresa. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuoi dire, quasi esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti. Alle origini di ciò che oggi vediamo nei cieli c'è un iniziale, solitario gesto di coraggio intellettuale.»
Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari 1997
***
«La storia - è noto - è una forma di sapere scientifico che non può però pretendere l'obiettività assoluta, perché la narrazione-interpretazione è sempre filtrata dalla personalità dello storico, che è un uomo tra gli altri, con la sua formazione, le sue idee, i suoi orientamenti culturali e civili. Ma ogni lavoro storiografico fondato sull'onesta intellettuale e condotto sulla base di un continuo contatto con le fonti documentarie [...] potrà svolgere una utile funzione se contribuirà a far individuare con un più chiaro risalto i legami tra il passato e il nostro presente, rafforzando così il senso della nostra identità individuale e collettiva».
Franco Della Peruta, Storia del Novecento, Le Monnier, Firenze 1991
***
«Non certo questo - ma l'esplosione suprema, l'abisso, la notte eterna, il gelo o il fuoco totale, ci aspettavamo - ma non questo. Né voglio diminuire la gravità del nostro abbaglio se dico che esso non fu dovuto a incuria o presunzione ma piuttosto a una certa ingenua grossolanità delle nostre concezioni e al carattere non meno grossolano degli elementi su cui si basava il nostro giudizio. Le profezie, ad esempio, che da qualche anno s'erano fatte addirittura isteriche, puntavano tutte nella direzione più facile; e i prodigi, quando cominciarono, vennero riconosciuti istantaneamente per tali da tutti, vistosi, per non dire rozzi, com'erano. Un suicida - si pensi - saltò da un settimo piano e non cadde, poi i fiumi presero a risalire verso le sorgenti, il pelo dei gatti cambiò verso, i motociclisti non riuscivano più in alcun modo a mantenersi in equilibrio su due ruote. Vi furono - come si prevedeva - terremoti, comete, inondazioni, lava incandescente riprese a colare dai vulcani spenti. Uccelli mostruosi, salamandre e serpenti di mare furono fotografati ovunque, nei parchi zoologici gli animali sembravano impazziti, in un circo una foca inghiottì una bambina. In molte foreste le fronde degli alberi furono udite suonare al vento complesse e terribili melodie. L'oro anneriva di colpo alle orecchie e al collo delle donne, dalle sigarette non usciva fumo, la pioggia non bagnava, la lana si ribellava al telaio, il lievito non faceva crescere il pane, la ghiaia dei giardini spariva succhiata dalla terra, sui mobili la polvere si disponeva in misteriosi disegni geometrici».
Charles F. Obstbaum (alias Carlo Fruttero), L'affare Herzog, in Fruttero&Lucentini, I ferri del mestiere, Einaudi, Torino 2003
Il padre nobile della Repubblica a venire
Conosciamo tutti i particolari modi di smanceria e servilismo che Ferrara usa nei confronti del suo amore, il suo tentativo di distinguersi nella bolgia di leccapiedi che circondano il Cavaliere. Anche oggi, per esempio, nel suo consueto editoriale domenicale su Il Giornale, Ferrara tenta, da par suo, di dar suggerimenti amorevoli a Berlusconi per farlo rientrare “in campo” senza che lui, come al solito, pisci fuori dal vaso con comportamenti e parole che contribuiscono soltanto a renderlo sempre più impresentabile. Ma nel compiere questo tentativo, Ferrara non s'accorge del danno “storico” che fa al suo eroe. Leggiamo e poi commentiamo
Ecco che Berlusconi qualcosa potrebbe fare. Non la minaccia di staccare la spina, ma far correre una ventata di energia politica nuova, decisiva, necessaria. Dare un orizzonte alla politica democratica. Parlare, dire la verità. Impegnarsi per un patto di riforma serio del sistema, sollecitarlo, e costruire un orizzonte credibile e responsabile per la ripresa e il rilancio della democrazia offuscata. Berlusconi potrebbe fare del 2013 una scadenza felice, un’opportunità, potrebbe diventare il padre nobile della Repubblica a venire, e un coautore decisivo della salvezza nazionale e di una Europa della quale si possa pensare che non esiste solo per una astratta e punitiva disciplina fiscale.
Non sembra anche a voi di leggere qui la dichiarazione che i diciassette anni di politica berlusconiana siano stati soltanto un fallimento “politico”? «Berlusconi qualcosa potrebbe fare», e cioè tutte cose che finora non ha mai fatto, come «dire la verità», per esempio; oppure «impegnarsi per un patto di riforma serio del sistema, sollecitarlo» (non solleticarmi troppo Giuliano che mi stai facendo venire i crampi dal ridere), «costruire un orizzonte credibile e responsabile per la ripresa e il rilancio della democrazia offuscata» (qui ci vuole Mastro Lindo). Ma, infine, quando scrive che Berlusconi «potrebbe diventare il padre nobile della Repubblica a venire», a parte che sto per avere un orgasmo dal troppo ridere, Ferrara confuta clamorosamente l'amor proprio e l'alto giudizio che egli ha di sé*, attestando con ciò che Berlusconi, più che uno statista, è stato un te-statista (stavo per dire peggio) che ha pensato, prima di tutto e sempre e soltanto, ai cazzi suoi**.
*«Io sono stato di gran lunga il miglior Presidente del Consiglio che l'Italia abbia potuto avere negli ultimi 150 anni della sua storia» (vedi e ascolta verso 5'30").
**Anche le sue dimissioni lo dimostrano: lo ha fatto per la roba, altro che bene dell'Italia (anche se, a onor del vero, ha sempre identificato il suo interesse con l'Italia).
**Anche le sue dimissioni lo dimostrano: lo ha fatto per la roba, altro che bene dell'Italia (anche se, a onor del vero, ha sempre identificato il suo interesse con l'Italia).
sabato 14 gennaio 2012
Cappuccetto Verde
Nel bosco padano succedono cose che noi umani non potevamo neanche immaginare. Vedasi la calma della giovane donna (Cappuccetto Verde) seduta nel Bosco delle Sorti della Partecipanza, in attesa di fare la badante ai lupi, dopo che essi avranno finito di prendersi a brani.
Knockin' On Earth's Door
«Questa concezione della storia si fonda dunque su questi punti: spiegare il processo reale della produzione, e precisamente muovendo dalla produzione materiale della vita immediata, assumere come fondamento di tutta la storia la forma di relazioni che è connessa con quel modo di produzione e che da essa è generata, dunque la società civile nei suoi diversi stadi, e sia rappresentarla nella sua azione come Stato, sia spiegare partendo da essa tutte le varie creazioni teoriche e le forme della coscienza, religione, filosofia, morale ecc. ecc. e seguire sulla base di queste il processo della sua origine, ciò che consente naturalmente anche di rappresentare la cosa nella sua totalità (e quindi anche la reciproca influenza di questi lati diversi l'uno sull'altro). Essa non deve cercare in ogni periodo una categoria, come la concezione idealistica della storia, ma resta salda costantemente sul terreno storico reale, non spiega la prassi partendo dall'idea, ma spiega le formazioni di idee partendo dalla prassi materiale, e giunge di conseguenza al risultato che tutte le forme e prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante la critica intellettuale, risolvendoli nella autocoscienza o trasformandoli in spiriti, fantasmi, spettri, ecc., ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti, dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; che non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia della religione, della filosofia e di ogni altra teoria. Essa mostra che la storia non finisce col risolversi nella autocoscienza come “spirito dello spirito”, ma che in essa ad ogni grado si trova un risultato materiale, una somma di forze produttive, un rapporto storicamente prodotto con la natura e degli individui fra loro, che ad ogni generazione è stata tramandata dalla precedente una massa di forze produttive, capitali e circostanze, che da una parte può senza dubbio essere modificata dalla nuova generazione, ma che d'altra parte impone ad essa le sue proprie condizioni di vita e le dà uno sviluppo determinato, uno speciale carattere; che dunque le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze».
Karl Marx, Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, cap. I, Editori Riuniti.
In punta dei piedi, bussando, cerco d'entrare nel grande complesso architettonico del pensiero marxista. Sarà la crisi di sistema, sarà che il quotidiano esercizio pedagogico di Olympe de Gouges su me funziona, sarà anche perché, insomma, e lo dico a naso, Marx sta all'economia come Darwin sta all'evoluzionismo¹ - e come l'idea pericolosa di quest'ultimo ha contribuito a modificare la mia forma mentis, così, credo, anche Marx, potenzialmente, potrebbe darmi, non dico fedi, ma ragioni per capire il mondo il reale, e catturarlo come un entomologo cattura e studia le farfalle.
Finora mi sono tenuto lontano da Marx ed Engels per varie ragioni: la prima, è che ho iniziato a leggere libri nel momento in cui il socialismo reale non stava tanto bene, le voci del dissenso dell'est europeo sgretolavano la cortina di ferro e io le ascoltavo pieno di rabbia e di ammirazione per quello che avevano subito e subivano (penso a Salamov, a Brodskij, ad Havel); il Pci italiano, poi, era così grigio (Gaber dixit) e triste, e poi - insomma, la variegata composizione del pensiero umano non mi consentiva di concentrarmi su un pensiero così denso, totalizzante. Ne avevo paura di per sé, anche se intuivo che Marx non c'entrava niente con l'URSS e con la Cina, limitandomi solo a dire, in fondo, come Gesù stesso non c'entra niente col cristianesimo, tantomeno col cattolicesimo.
Bene, a piccoli passi, e senza alcuna pretesa di interpretazione e sistematicità, solo buttando là estratti e chiosandoli con quello che, al momento, essi mi danno come ispirazione, comincio a visitare il pensiero di Marx.
E riguardo al brano riportato cosa dire in particolare se non assentire? La nostra contemporaneità s'è trovata in sorte questa somma di forze produttive che stanno lacerando quel piccolo tessuto di benessere prodottosi, dal dopoguerra in poi, da quella cazzo di politica del debito, attraverso la quale hanno goduto un po' di persone, sì, ma a scapito di molte e di gran parte del mondo stesso. E infine, quando Marx ed Engels scrivono che «non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia», mi sembra di leggere, con ciò, la sentenza di fallimento di ogni riformismo. I piccoli aggiustamenti del sistema non cambiano la natura di esso e i rapporti sociali esistenti perché il riformismo dà per scontato, aprioristicamente, che le classi sociali siano qualcosa di immodificabile e che siano giustificate, a prescindere, le separazioni di censo. In fondo chi è l'artefice delle riforme se non il potere stesso? E come può, chi comanda, riformare il sistema per danneggiare se stesso?
¹Non vorrei dire cazzate, ma penso che, come l'incontro con la genetica mendeliana ha fornito alla teoria darwiniana di selezione naturale il pieno statuto di scientificità, a Marx servirebbe qualcosa di analogo, ovvero che qualche teorico fornisca, coi suoi studi sui piselli in scatola del supermercato (leggasi in modo estensivo tutto il sistema di produzione capitalistico) nuove applicazioni del marxismo.
venerdì 13 gennaio 2012
Stanchezza mattutina
Stamani mi sono alzato stanco.
Non ho voglia di andare sul banco
degli imputati,
di dire - su questo foglio bianco -
chi sono e che voglio.
Se il silenzio parlasse al mio posto
se non avessi, poi, questa paura del vuoto
questo bisogno di essere vivo
più negli occhi degli altri che nei miei,
allora esperimenterei
se la vita basta per non essere privo
di sé, ovvero se il Sé, così ignoto,
appartiene agli altri o a me.
Stamani mi sono alzato stanco;
avrei preso la testa e messa e sul banco
della macelleria sociale.
La mia lingua lessa, signora,
è una vera delizia e non fa male.
Sono certo: non rimango sullo stomaco,
sono perfettamente digeribile
con un po' di salsa verde, mi creda.
Non è una questione di appartenenza:
è un problema di scambio.
Far circolare se stessi nel mondo,
i propri pensieri, ha la stessa valenza
della circolazione del sangue.
Solo ch'è sangue fuori di noi
m'illudo come fosse donazione.
Stamani mi sono alzato, ero stanco.
Pensavo la testa non fosse più cosa mia.
Ho fatto la barba e uno shampoo.
Ho controllato: è di nuovo mia.
Non ho voglia di andare sul banco
degli imputati,
di dire - su questo foglio bianco -
chi sono e che voglio.
Se il silenzio parlasse al mio posto
se non avessi, poi, questa paura del vuoto
questo bisogno di essere vivo
più negli occhi degli altri che nei miei,
allora esperimenterei
se la vita basta per non essere privo
di sé, ovvero se il Sé, così ignoto,
appartiene agli altri o a me.
Stamani mi sono alzato stanco;
avrei preso la testa e messa e sul banco
della macelleria sociale.
La mia lingua lessa, signora,
è una vera delizia e non fa male.
Sono certo: non rimango sullo stomaco,
sono perfettamente digeribile
con un po' di salsa verde, mi creda.
Non è una questione di appartenenza:
è un problema di scambio.
Far circolare se stessi nel mondo,
i propri pensieri, ha la stessa valenza
della circolazione del sangue.
Solo ch'è sangue fuori di noi
m'illudo come fosse donazione.
Stamani mi sono alzato, ero stanco.
Pensavo la testa non fosse più cosa mia.
Ho fatto la barba e uno shampoo.
Ho controllato: è di nuovo mia.
giovedì 12 gennaio 2012
E Forca Bossi
Bossi: «Noi mai forcaioli». Infatti. Luca Leoni Orsenigo voleva solo fare dello shibari per legare le palle dei Cosentino dell'epoca. Forcaioli no, sono d'accordo. Ma bucaioli, porca padania, sì.
Ma Cosentino a parte, quello che più vorrei che nella storia della bassa politica italiana emergessero, sono le parole che Berlusconi e Bossi si saranno di sicuro scambiate in questi giorni, o meglio: sapere qual tipo di persuasione l'ex presidente del consiglio avrà usato per convincere il segretario della Lega Nord ed ex ministro.
Le parole, trovate le parole, vi prego, voi cronisti politici che, a volte, riportate nei vostri articoli retroscena che inchiodano i protagonisti al palo della vergogna. Parole come quelle che sputtanarono inesorabilmente Berlusconi alle orecchie di Bossi il giorno in cui Ennio Doris telefonò per convincerlo a dimettersi, pena il crollo della sua amata azienda mediainset.
Capisco che queste parole, che vorrei fossero rese pubbliche, saranno talmente difficili da scovare... Saranno state dette di persona sicuramente, ché oramai a farsi intercettare rimangono soltanto quattro coglioni ipocondriaci.
Ma trovatele, vi prego, sennò inventatele, ché tra tutte le giustificazioni addotte, Bossi non poteva trovarne di peggiori e ridicole, roba da far diventar giallo piscio la sorgente del dio Po.
Feudalesimo farmaceutico
Giuseppe Lipari in un post da leggere per intero, fornisce minute spiegazioni sulla prassi feudale che regola il "mercato" delle farmacie in Italia, e ci aiuta a comprendere il perché la moglie dei farmacisti (titolari di farmacia) sia sempre incinta, o il marito delle farmaciste difficilmente sia sterile.
Poi, a tutte le obiezioni che i farmacisti titolari di farmacie sollevano per difendere le loro posizioni di privilegio, sostenendo di essere contro le liberalizzazioni nel settore per tutelare l'interesse e la salute dei cittadini, Giuseppe lo scacciamennule, implacabile, replica:
«Una volta per tutte: una cosa è liberalizzare la vendita dei farmaci e una cosa è liberalizzare le farmacie»
Ecco. Semplice, no?
Confessioni estatiche
A Malvino, in attesa di un suo nuovo post
È un po' di tempo che non sono “teologico”, vale a dire che non m'interrogo sull'esistenza o non esistenza di Dio, che parlo con Lui o con l'idea di Lui che invento a seconda del caso e dell'umore. Non che mi manchi, Dio, non sapendo bene come possa mancare un vuoto. Infatti, di solito mancano cose e persone che prima c'erano e poi, zac, spariscono, per vari motivi che non sto a dire, mi limito a parlare solo del classico amore che prima c'era e poi, zacchete, sparito, se l'è portato via il vento, oppure all'estero, come la valuta.
Così, stasera - meglio: stanotte, preso da un'improbabile nostalgia canaglia, getto la lenza su qualche meditazione spirituale dallo scaffale, pesco, a caso, dai Chassidim (setta di mistici ebrei orientali vissuti intorno alla metà del Settecento) queste parole:
«Di un maestro si narra che, nelle ore dell'estasi, doveva guardare l'orologio per tenersi legato a questo mondo, e di un altro maestro che quando voleva osservare le cose singole doveva inforcare gli occhiali in modo da tenere a freno la propria vista spirituale; altrimenti avrebbe visto ogni singola cosa del mondo come qualcosa di unico»¹.
La prima cosa che mi viene in mente è Paolo Brosio. Poi Elio e le storie tese. Poi ancora Woody Allen. Sono io che sono un bifolco insensibile, oppure la suddetta meditazione è davvero una grande cazzata degna del miglior Lebowski?
Per evitare di rispondere alla domanda provate, come me, a dire cosa fate per tenervi legati a questo mondo. Io di solito mi tocco il bassoventre. E per tenere a freno la vista spirituale in modo da osservare le cose singole? Non inforco gli occhiali, no. Muovo le mani (di solito una). Ho perso solo qualche grado in questi anni. Mi è andata bene.
¹Martin Buber, Confessioni estatiche, Adelphi, Milano 1987 (traduzione di Cinzia Romani)
mercoledì 11 gennaio 2012
Una pornoanalisi
Solo per segnalare che Crisa (Cristiana Longhi) ha scritto un post straordinario e penetrante sulla percezione femminile della pornografia, in particolare dei video porno che vanno per la maggiore nella rete. Sublime, altresì, la sua analisi dei rapporti anali (!) e del perché non si vedano mai tracce marron sui membri e sulle terga dei protagonisti. Poi capisci perché le donne si buttano sullo shibari. Meglio farsi legare da un salumiere e appendere a qualche gancio per essere stagionate, che star lì a gemere amplessi stereotipati che provocano meno eccitazione della voce della Gelmini a Ballarò.
P.S.
Solo una domanda marginale all'autrice: scusa l'ignoranza, ma cosa sarebbe un bruco? Questo simpatico aggeggio?
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