Nei
momenti in cui uno non sa cosa scrivere, è bene che scriva (tenti di
scrivere) romanzi. Inventare storie, intrecci di persone prendendo
naturalmente spunto dalla realtà circostante, modificandone
chiaramente alcuni tratti, sennò non sarebbe realtà romanzata
(inventata), ma ben più dignitosa cronaca – e dato che io non sono
un reporter, non riporto, narro e invento una quasi realtà, giusto
per esorcizzarla, tenerla a bada, dirle, alla realtà: stai alla
larga, non mi devi dimostrare niente, che ho già visto tutto.
Ed ecco quello che ho visto (invento di aver visto – e udito).
Due
signori, sui settanta, uno già elettricista, l’altro già tecnico
geometra di un’impresa di costruzione di capannoni industriali,
attualmente pensionati, conversare nei corridoi d’una corsia
d’ospedale, spalle al muro davanti alla porta della camera, chiusa,
mentre attendono che si riapra dopo la visita giornaliera dei medici
di turno, dentro ci sono le loro mogli, paralizzate, una per un ictus
occorsole anni fa, l’altra per una grave forma di diabete,
ricoverate da alcuni giorni per controlli.
I
due signori che, dopo alcuni giorni, pur non conoscendosi, hanno
preso una naturale confidenza, conversano tra loro, su vari temi:
innanzitutto su come sia brava e gentile la dottoressa che stamani
visita, accenna uno, «E anche carina», rinforza il concetto di
bravura e gentilezza, l’altro. Poi il discorso passa sulla fatica
di accudire le proprie mogli, e come questo impedisca loro di avere
tempo libero sufficiente per dedicarsi ad attività appunto di tempo
libero, dato che devono fare tutto in casa, la spesa, il mangiare, il
lavare, tutto, tanto che alla fine sono stanchi e il poco tempo che rimane
conviene riposare. Infine – e qui il discorso li accalora – di
come l’Italia, oh povera!, sia messa male, di come cialtroni e
ladri siano quelli della politica, di come due mesi in Parlamento bastino per
avere la pensione e tanti privilegi ingiustificati, loro che invece
si sono fatti un mazzo tanto, una vita di lavoro e adesso vedi come
sono ripagati, con la legge sul suicidio assistito.
La
porta si apre, dottoressa e infermiera escono e salutano. È il
momento del pranzo e così, di seguito, due inservienti portano il
mangiare alle mogli dei due signori che si apprestano a imboccarle
con cura e amorevolezza. Accanto, un altro signore un po’ più
giovane, dopo aver apparecchiato controvoglia il tavolino
dell’anziana zia ricoverata nella stessa camera, zia fortunatamente
in grado di portarsi il cibo in bocca da sola, dopo aver
distrattamente orecchiato la conversazione dei due signori mentre
aspettava con loro fuori della porta, dubbioso, chiede:
«Scusatemi, ma che cosa ci sarebbe di sbagliato nella legge sul
suicidio assistito?».
E
i signori, all’unisono: «Ce ne vorrebbe un’altra che consentisse
anche l’omicidio: assistito pure».