La domenica ho più tempo e quindi solgo perderlo nella lettura infruttuosa degli editoriali dei maggiori quotidiani presenti in edicola. Scalfari, l'uggioso, pastorale Scalfari; ed Ernesto Galli Della Loggia, puntiglioso e chiocciante.
Volevo scriverne, mi ha anticipato (per fortuna) l'ottima
Olympe de Gouges che ha stanato le incongruenze dell'uno e dell'altro trombone.
«Lo si è visto al momento di organizzarsi in vista delle elezioni. Il Centro ha mostrato di aver capito poco o nulla dell'ansia di grande cambiamento che agitava l'Italia [no, perché c'hai capito te professore]. A un Paese percorso dalle performance di Grillo, ha pensato di potersi presentare da un lato con figure della più esausta nomenclatura partitica (Udc, Fli), dall'altro con il pallido volto di un notabilato catto-confindustriale insaporito da qualche prezzemolino sportivo-accademico. In complesso la raffigurazione di una compiaciuta oligarchia italiana all'insegna del «lei non sa chi sono io e quanto sono importante». Nessuno invece che fosse capace di un parlare vivo e autentico, di una proposta suggestiva, che desse voce a una qualche novità culturale, che incarnasse una figura sociale inedita.»
per dire: considerato che, da molti terzisti cerchiobottisti, la Scelta Civica di Mario Monti è stata salutata con favore e sostenuta (sia pur velatamente) alle elezioni, perché non gliel'hanno fatte prima del voto certe critiche, che esercitate ora risultano alquanto stomachevoli?
Come si fa, infatti, a infierire su un palese insuccesso (peraltro prevedibile)? Che politologi del cazzo ai quali tocca in sorte nuovamente rifugiarsi nel coro dei forzati berlusconiani che cantano Peppino di Capri e Loretta Goggi (Pierluigi Battista e l'elogio dei nazionalpopolari. Non è ancora in rete tal minuscolo editoriale, lo linkerò appena disponibile).
Riguardo al Pd: ha ragione
Leonardo a dire che è un partito finito (l'avevo già sentita questa, ma mi sono piaciute lo stesso molto le sue argomentazioni). Bersani è costretto a provarci, per ora sta salendo in orbita come Baumgartner: vedremo se quando si lancerà nel vuoto (della fiducia) gli si aprirà un paracadute, oppure cadrà più velocemente (e tristemente) a terra. Comunque a terra, in velocità o al rallentatore, dovrà cadere. Lo dico a malincuore, ma
Giuliano Ferrara oggi ha scritto un editoriale a cui è difficile dar torto, non quando suggerisce un'improbabile (e non auspicabile) Grande Coalizione Pd-Pdl (e
Giglioli puntualmente spiega perché), ma quando scrive:
«Vinci le elezioni e fa' il governo che avevi promesso agli elettori, con i tuoi uomini e donne di partito, con i Fassina, con i Matteo Orfini, con le Moretti, con le forze vive che hanno nutrito la tua battaglia (sbagliata, peraltro) contro Matteo Renzi. Non sarà niente di eccezionale ma questo è il risultato di una fisiologia democratica. Invece ecco che Bersani le elezioni non le vince, e fa o vuole fare il governo suggerito dai giornali di area, dalle lobby della cosiddetta società civile, un esecutivo subalterno ai dettati di Grillo e Casaleggio. Faccia tosta: dal governo di Bettola, con benzinaio incorporato, alla giunta di Gaia, la fumisteria apocalittica del guru.»
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Non ho messo io la dicitura "Ladri 2013" che è comparsa per un po' su sito di Wikipedia |
E insomma: un partito, un popolo e un movimento hanno ottenuto, più o meno, lo stesso consenso elettorale (da ricordare il 10% del Centro e il 25% di astenuti).
Tutti, sostanzialmente, sono contro tutti.
Il Pd contro Berlusconi e il M5S che non vuole appoggiare il suo governo.
Il Pdl contro i comunisti, la magistratura (e i marziani del M5S).
Il M5S contro il Pd, il Pdl e la partitocrazia in generale.
Lasciando da parte le alchimie politiche possibili, riprendo un passaggio dell'editoriale di
Scalfari (che è un copia incolla di un suo editoriale del 1998):
«la società ha perso la capacità di darsi regole condivise; si parla di continuo della loro necessità, ma nessuno è più in grado di produrle poiché a nessuno viene riconosciuta un'autorità fondativa che superi gli interessi settoriali e s'imponga in nome dell'interesse generale.»
Quando in una società si assiste a una crisi delle regole condivise (che nelle società primitive corrispondeva a una sorta di crisi sacrificale nella quale i rituali non erano più sufficienti a placare la sete sanguinaria degli dèi); quando insomma una comunità s'incattivisce e le regole della convivenza vengono meno - e si scatenano disaccordi, risse, insulti, una specie di bellum omnium contra omnes depotenziato - per ritrovare stabilità, concordia, condivisione occorre convogliare tutti i disaccordi, tutti i litigi, i battibecchi, tout court: tutta la violenza in un'unica direzione, verso un unico colpevole, verso la vittima, il capro espiatorio.
Il problema, però, è che, nelle società moderne, è difficile trovare una vittima espiatoria ritenuta da tutti responsabile della crisi e, allo stesso tempo, è altresì difficile trovare una vittima che accetti di buon grado di sentirsi responsabile della peste che devasta la città, come Edipo a Tebe.
L'ultima grande crisi politica italiana, avvenuta con Tangentopoli, fu risolta con l'espulsione e la vittimizzazione (non dico non giustificata) di quasi tutti i partiti dell'arco costituzionale e di molti protagonisti politici (Craxi su tutti. Attenzione: non sto dicendo che anch'egli non fosse responsabile dello sfacelo). A tale vittimizzazione più o meno tutti partecipammo, chi più chi meno. Berlusconi stesso, che fu amico di Craxi, corteggiò Di Pietro e dette voce e visibilità, nelle trasmissioni “politiche” delle sue televisioni, al linciaggio mediatico (ricordate il mitico Funari?).
Oggi, di fronte a questo stallo, in cui ogni parte della contesa cerca di vittimizzare l'altra, con ciò trascinando l'intera società nel gorgo della crisi “delle regole condivise”, per (ri)trovare un'autorità fondativa riconosciuta da tutti, occorre prima trovare una vittima che venga punita da tutti, un colpevole cioè che permetta alla società di passare dal tutti contro tutti, al tutti contro uno.
Il problema è che, nelle società moderne, non esiste un colpevole tanto capace di far ritrovare la pace. L'abbiamo visto appunto con Mani pulite: i vecchi partiti colpevoli espulsi nel consenso generale per ottenere l'effimera illusione di aver risolto tutti i problemi.
Il meccanismo vittimario è un motore inceppato: funziona solo nella sua prima fase, quella della vittimizzazione. È la sacralizzazione che manca e che fa tosto riprecipitare la società nel caos. È inevitabile. Anche quando si credeva di aver trovato la vittima perfetta per placare l'ira degli dèi, talmente colpevole e salvifica da diventare essa stessa un dio, la pace - come dimostra la storia - durava solo lo spazio di poche stagioni.
«C’est la croyance unanime en la culpabilité de la victime, quelles que soient les accusations dont on l’accable, qui permet au groupe de retrouver son unité. Rétrospectivement, la victime se verra dotée aussi de qualités positives, étant perçue comme responsable non seulement de la crise, mais de sa résolution.»
In altri termini, non vi è alcuna possibilità che, l'eventuale vittima, possa venire prima sacrificata e poi sacralizzata, per diventare così un'autorità fondativa, un padre, un Mosè, un Cristo,
Da un punto di vista girardiano, che Girard chiama giudaico-cristiano (io ho le mie perplessità), sarebbe sufficiente che noi umani (gli italiani in questo caso) riconoscessero ciascuno le proprie responsabilità e mettessero da parte odi e rancori e si avviassero verso una sincera riconciliazione.
La magia dell'amore universale.
Ma non è così; è qui, appunto, che mi separo da Girard.
Non potrà esistere una reale concordia e riconciliazione, finché permarranno differenze di ceto sociale, finché sussisterà la gerarchia imposta dal presente sistema economico, che vede da una parte la classe dominante e dall'altra la classe dominata.
È la stessa dialettica padrone-schiavo, che vede da una parte chi comanda e dall'altra il comandato, che va alla ricerca continua dei responsabili che mettono in crisi il sistema del dominio. Per uscirne occorre una rivoluzione, un cambiamento del paradigma, che non si limiti a invertire le parti dominante-dominato per riprodurre poi lo stesso tipo di dialettica, ma che ponga fine a tale tipo di dialettica.
Non so dire come.
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Ho messo troppa carne al fuoco: spero di non aver bruciato tutto.