Non ci sono più i dii vendicativi di una volta: le tante e variegate maledizioni invocate dai fedeli hanno prodotto un solo effetto: un foruncolo sulla punta del naso.
sabato 31 gennaio 2015
Elezione post prandiale
Ho sentito alla radio che il nuovo presidente sarà eletto dopo pranzo. Si vuota sempre meglio dopo mangiato.
venerdì 30 gennaio 2015
Fumate nere
Lo dicevo a un mio caro amico: ho come una sorta di vuoto bloggheristico, di fumate nere alle palle che girano per cose che capitano, niente di grave, inutile entrare nei particolari, la vita è fatta di particolari. Invece le fumate nere in parlamento sono particolato puro e l'Italia non ha il FAP: fate i raggi al parlamento, scoprirete perché la democrazia respira così male, così a stento, perché è uno svuotamento dei poteri del popolo e un riempimento di poteri di certuni e di cert'altri.
Certaldo. Vorrei avere una casa a Certaldo con la facciata in mattoncini rossi. Certaldo è bellissima.
Divago. Devo superare questo vuoto bloggheristico anche uscendone con una scrittura che non contiene nient'altro che parole che confezionano il vuoto, appunto.
Impacchetto, faccio risvolti, lego fiocchi che poi con forbice arriccio. Così uno legge ben predisposto, magari ritardando la curiosità di disfare l'incartamento per vedere il contenuto. Il bello dei regali è aprirli. Orsù, aspettate a scartare.
giovedì 29 gennaio 2015
mercoledì 28 gennaio 2015
Motorino di avviamento
«Ho
detto che la scelta di non annacquare il confronto con Bruxelles è
molto coraggiosa, perché c’è da attendersi una risposta
durissima. Le prove per Tsipras e l’intera sinistra greca saranno
difficilissime e la nostra solidarietà — se saprà essere dettata
dalla testa oltre che dal cuore — essenziale. Ben sapendo tutti che
per vincere non basterà respingere il diktat della troika, ma
avviare un modello di produzione, di consumo, di organizzazione della
società diverso da quello attuale: una maggiore liquidità se si
continueranno a fare le stesse cose — supermarket, speculazione
edilizia, spreco — non servirà a molto. Per questo non basta
invocare politiche keynesiane di intervento pubblico, occorre anche
indicare quale e per quale tipo di sviluppo. A questo progetto Anel [il partito di centrodestra alleatosi con Syriza] non servirà, ma c’è tempo per creare, nella società oltre che in
parlamento, un consenso sui progetti di più lungo periodo. È un
tema che dovrà essere al centro della riflessione di tutta «L’altra
Europa», perché non riguarda solo la Grecia, ma tutti noi. Ne
abbiamo abbastanza per i prossimi anni.»
Luciana Castellina, “La scelta coraggiosa del giovane Alexis”, Il Manifesto 28 gennaio 2015
Molto lucido l'articolo della Castellina. E, altresì, molto ironico il finale: per una signora di 85 anni dire che «ne abbiamo abbastanza per i prossimi anni»... non possiamo che augurarle di far parte e di vivere quel «tutti noi».
Tuttavia, Luciana Castellina non può non sapere che per «avviare un modello di produzione, di consumo, di organizzazione della società diverso da quello attuale», le riforme, per quanto potranno essere di cuore e, insieme, di testa da parte di Tsipras (o di altre eventuali sinistre europee) non saranno sufficienti perché, escludendo che la Grecia si “isoli” e predisponga l'economia a una sorta di regime autarchico (sul modello pauperista di Cuba et similia per intenderci), il sistema economico e produttivo greco si dovrà necessariamente confrontare con quello delle altre economie europee e mondiali. E il confronto si dovrà basare sulla produzione di merci (o servizi) che riescano a trovare sufficienti acquirenti nel mercato globale, in modo che l'economia ellenica ottenga un surplus di bilancio. A tale surplus dovranno corrispondere maggiori introiti fiscali, che serviranno al governo per estinguere un po' di debito e per redistribuire “ricchezza” tra la popolazione meno abbiente.
Purtroppo, date le attuali condizioni economiche e produttive, per il governo Tsipras non c'è molto su cui contare.
Se non è questo, quale altro modello di produzione, di consumo e di organizzazione della società Luciana Castellina intende per la Grecia e, a più lungo periodo, per tutta l'Europa? La società rurale? O forse qualcosa di cui ci si vergogna o si ha paura di pronunciare?
martedì 27 gennaio 2015
Faccia a Presidente
Ammettiamo e concediamo che il nuovo Presidente della Repubblica sarà un politico avente la faccia a cazzo o la faccia a merda o la faccia a culo. Bene, come si dovrebbero porre davanti al nuovo presidente quei cittadini che reputavano avesse una di queste facce ben prima che costui (o costei) diventasse Capo dello Stato? Devono, come me, ingoiare il non detto, trattenersi, far finta di niente, fischiettare fiorin fiorello, l'amore è bello vicino a te, per non incorrere nel reato di vilipendio alla prima carica dello Stato?
In verità, neanche adesso oserei dire pubblicamente ad alcuna delle facce partecipanti al balletto presidenziale, che costui (o costei) ha una delle tre facce dette in precedenza. E non lo dico perché, in effetti, dirlo sarebbe un'ingiuria gratuita, perdipiù sanzionabile (credo), che prende origine da quella sorta di risentimento antipolitico che appartiene naturalmente alla plebe.
Poi mi ricordo che appartengo alla plebe anch'io e, quindi, davanti alle figurine che appaiono in ordine sparso sui media, lascio libero sfogo al rosario di contumelie.
Nondimeno, continuo a chiedermi: possibile che nessuna delle facce proposte mi andrebbe a genio?
Sì, una. Quella che, ex post, appena insediato, si premurasse di sciogliere subito le camere per manifesta incongruenza costituzionale di un Parlamento composto di membri eletti da una legge elettorale dichiarata incostituzionale; e, dipoi, appena fatto ciò, rassegnasse subito le dimissioni. Subito. In pochi giorni, la sua diventerebbe una faccia memorabile, la faccia che tutti (o quasi tutti, cioè, io: la plebe) vorremmo avere. Una bella faccia, insomma.
lunedì 26 gennaio 2015
Un mulino che gira a vuoto
«
Ogni giovane sensibile,
soprattutto se plasmato dalla cultura e dalla musica – ed era il
suo caso – è propenso a considerare le torbide passioni del corpo
e dell'anima, questo magma lirico della gioventù, come un precoce
segno di talento. Tuttavia, più spesso si tratta di un segreto
vibrare della sensibilità, di un impuro associarsi di secrezioni
ormonali con gli spasmi del nervo simpatico, di una simbiosi tra la
struttura organica e la musica dell'anima – che sono il dono della
giovinezza e dell'esuberanza spirituale, e che, simili alla poesia
nelle loro vibrazioni, si possono facilmente confondere con la poesia
vera. Una volta catturati da questa magia – che con gli anni
diventa una pericolosa abitudine, come il fumo e l'alcol – si
continua a scrivere, con mano abile di versificatore, sonetti ed
elegie, versi patriottici e di circostanza, ma ormai si tratta
soltanto di un meccanismo che si è messo in moto in gioventù e ora
procede solo per forza d'inerzia d'abitudine, basta che ci sia un
minimo alito di vento, come un mulino che gira a vuoto. »
Danilo
Kiš,
Il liuto e le
cicatrici, Adelphi,
Milano 2014
Ecco
qua, perfettamente definita, quella che penso sia la sostanza della
mia attività bloggheristica: un
mulino che gira a vuoto, che
non macina altro che refoli di pensiero dai quali si ricava punta
farina, nessun pane, qualche sbadiglio, forse un sorriso di
compiacimento e un'alzata di spalle di complicità. Nondimeno – e
sebbene sia rarefatta la composizione di versi – le pale girano (le
pale, ci siamo capiti) perché
ancora c'è la percezione del vento: il vento dell'epoca,
limitatamente espresso dal vento che passa il convento della storia
(‘s’
minuscola obbligatoria: sentite quante rime baciate?). «Si
tratta soltanto di un meccanismo che si è messo in moto in gioventù
e ora procede solo per forza d'inerzia e d'abitudine» (volevo scrivere questo a commento di un post di Luigi Castaldi, ma l'inerzia non riguarda certamente il suo caso, l'abitudine forse).
L'abitudine,
che bellezza l'abitudine (giudizio privatissimo). L'abitudine estende
il pensiero allontanandolo dall'azione (sarà vero?).
Altra
cosa: indagare
cosa
avrebbe
messo
in moto, in gioventù, il meccanismo della scrittura, credo
che
non avvalorerebbe,
né screditerebbe
alcunché.
Per
quel che vale, il «segreto vibrare», l'«impuro associarsi» e la
«simbiosi» sopra descritte da Kiš
si attagliano bene al mio caso.
Insomma,
così è; il mulino Massaro gira a vuoto e in questi giorni di
grecale si vede benissimo.
Me coojoni
[*] |
Sursum corda, ché si sta producendo il miracolo in Italia: i lazzarooni rialzano la cresta.
domenica 25 gennaio 2015
500 moscia
Aldilà degli effetti collaterali che può produrre (a me, per esempio, ha fatto venire la forfora alle basette) e, parimenti, aldilà di come si qualifica una committenza che avalla un guano pubblicitario del genere (guano in ricordo dei piccioni assenti sui tetti), il messaggio veicolato dallo spot della nuova Fiat 500X è che la 500 normale è una macchina dalle conclamate disfunzioni erettili.
sabato 24 gennaio 2015
Falso di autore ignoto
918.
« Come avviene che io veda
l'albero verticale anche se inclino la testa da una parte, e quindi
l'immagine retinica è quella di un albero inclinato? ». Come mai
anche in queste circostanze considero l'albero come fosse verticale?
– « È che sono consapevole dell'inclinazione della mia testa, e
quindi apporto la necessaria correzione al modo di intendere le mie
impressioni visive ». – Ma questo non significa confondere ciò
che è primario con ciò che è secondario? Immagina: se noi non
sapessimo proprio niente
della costituzione interna dell'occhio, – questo problema avrebbe
modo di sorgere? Qui, in verità, noi non apportiamo alcuna
correzione, questa non è in effetti che una spiegazione.
D'accordo
– ma dato che ora la struttura dell'occhio noi la conosciamo –
come avviene che la
nostra azione, la nostra reazione, sia questa? Ma qui deve esserci
per forza una spiegazione fisiologica? E se lasciassimo stare la cosa
com'è? – Ma tu non
parleresti certo così se stessi verificando il comportamento di una
macchina! – Ebbene, chi dice che in questo senso l'essere vivente,
il corpo animale, è una macchina? – .
920.
Si
può anche dire: « Fece questa
faccia », o « Si mutò in volto così
», aiutandosi con la mimica, – [...]
Ludwig Wittgenstein,
Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi, Milano
1990
***
918.
« Come avviene che io veda
l'Italia verticale anche se inclino la testa da una parte, e quindi
l'immagine retinica è quella di un Paese inclinato? ». Come mai
anche in queste circostanze considero l'Italia come fosse verticale?
– « È che sono consapevole dell'inclinazione della mia testa, e
quindi apporto la necessaria correzione al modo di intendere le mie
impressioni visive ». – Ma questo non significa confondere ciò
che è primario con ciò che è secondario? Immagina: se noi non
sapessimo proprio niente
della costituzione interna dello Stato, – questo problema avrebbe
modo di sorgere? Qui, in verità, noi non apportiamo alcuna
correzione, questa non è in effetti che una spiegazione.
D'accordo
– ma dato che ora la struttura dello Stato noi la conosciamo –
come avviene che la
nostra azione, la nostra reazione, sia questa? Ma qui deve esserci
per forza una spiegazione fisiologica! E se lasciassimo stare la cosa
com'è? – Ma tu non
parleresti certo così se stessi verificando il comportamento di una
macchina! – Ebbene, chi dice che in questo senso l'essere vivente,
il corpo elettorale, è una macchina? – .
920.
Si
può anche dire: « Fece questa
faccia da coglione », o « Si mutò in volto così, da ebete
», aiutandosi con la mimica, – [...]
Piero Ludovico Massardo, Osservazioni sulla psicologia della politica, Manoscritti inediti.
venerdì 23 gennaio 2015
Gli Syriza
In Italia - in Europa forse - c'è già chi festeggia preventivamente la vittoria di Syriza - e scodinzola, e cerca di addentare un osso dello scheletro della sinistra italiana, pensando con ciò di farla resuscitare.
Abbastanza penosi, vero?
Prendiamo uno come Fassina Stefano che ha aspettato quasi due anni a fare il nome e il cognome del (per lui) responsabile della congiura contro Prodi al Quirinale: se lo sa oggi, e lo dice, lo sapeva anche ieri; e se lo sapeva ieri perché è stato zitto? Perché ballava coi lupi vestito da sottosegretario?
Prendiamo poi uno come Vendola e pensiamo a come sarà pronto lunedì sera (e dimartedì e ballarò) a mettere la cappella sulla probabile vittoria di Tsipras: oh quante zeta di democrazia e speranza sputacchiate davanti alla telecamera, sollevando, a scatti brevi, le terga per sfruttare al meglio il movimento ondulatorio del divano molleggiato degli ospiti.
E Civati, che dire di Civati? Non dire niente sarà meglio, sarà un complimento, sarà il tratto più adeguato per abbozzare la sua biografia parlamentare.
E degli avanzi di noia rivista e ribollita, la cui base programmatica è riassunta nei sottotitoli de Il Manifesto odierno:
«La sfida di Draghi ai falchi della Bce: l’acquisto massiccio del debito pubblico dell’eurozona. Il quantitative easing di mille miliardi è superiore alle attese ma il rischio maggiore (l’80%) resta nella pancia delle banche centrali nazionali. La misura cerca di placare la crisi senza curarne la causa: l’assenza di investimenti»
Un partito (o un movimento o un raggruppamento) di sinistra che scambia gli effetti con le cause vere della crisi è un partito di sinistra fottuto in partenza (nuovamente); un partito che manca di una seria e lucida capacità di analisi critica della situazione, un partito che non si rifà ai fondamenti e che resta prigioniero nei confini di azione politica stabiliti dagli interessi della classe dominante e di questa complice nel coltivare (ancora) per il volgo l'illusione del suffragio universale.
N.B.
Sino al febbraio 2013 pensavo che votare servisse a qualcosa. Devo ringraziare sentitamente il Partito Democratico per avermi fatto cambiare idea.
I sottomultipli del metro
Il
disagio, il disagio come se l'agio consentisse di credere la vita
qualcosa che, necessariamente, contiene un significato oltre se
stessa e, viceversa, il disagio autorizzasse, necessariamente, la
negazione di ogni significato al vivere e, allora, irresoluto, stare
in mezzo al ponte che collega le due sponde del vivere, guardare di
qua e di là, a destra e manca, mi manca qualcosa, ce l'ho; ce l'ho,
mi manca, ora è l'alba, adesso il tramonto, adesso mi accorgo che
sono, e sto bene, e ora mi dispero perché no, non sono, non sto bene
con il mio sono.
Lo
scorrimento è tutto, tutto. Impuntarsi non serve a niente, farsi
lavare dal tempo è una purificazione: dà la concreta impressione di
ritornare quello che eravamo, polvere compresa, un miscuglio di
materia ed energia che si sforzano di tenere in piedi impressioni e
visioni, pensieri e carezze, mezzi sorrisi e giusto qualche lacrima
per condire, alla fine una puntina di sale non guasta.
Movenze
umane in spazi limitati. Facce in cerca di una giustificazione. Tanti
io moltiplicati che non si raccapezzano della moltiplicazione e si
sentono divisi. Non si pensa mai abbastanza di essere sottomultipli
di unico metro¹: la nostra stessa natura.
____________
¹ Stasera mi sento talmente
millimetro che devo attaccarmi a qualcosa per risollevarmi, qualcosa, qualcosa
che, da ragazzi, si misurava in centimetri, oppure in pollici. Meglio
i pollici.
giovedì 22 gennaio 2015
Parallasse
«La lotta per l'unità nazionale domina tutto lo sviluppo politico e ideologico della Germania nel secolo XIX. E la forma particolare in cui questo problema trovò infine soluzione, dà la sua particolare impronta a tutta la vita spirituale della Germania dalla seconda metà del secolo XIX fino ad oggi.
In questo consiste la caratteristica principale dello sviluppo della Germania; ed è facile vedere come questo asse intorno al quale tutto gira non è nient'altro che una conseguenza del ritardato sviluppo capitalistico di questo paese. Gli altri grandi popoli dell'Occidente, particolarmente l'Inghilterra e la Francia, hanno raggiunto la loro unità nazionale già sotto la monarchia assoluta, vale a dire, l'unità nazionale fu in esse uno dei primi risultati della lotta di classe fra borghesia e feudalesimo. In Germania, invece, la rivoluzione borghese deve ancora conquistare quest'unità, deve ancora porne le fondamenta. (Soltanto l'Italia ha avuto uno sviluppo simile; le conseguenze spirituali mostrano, pur nella diversità della storia dei due popoli, una certa affinità, che ha agito manifestamente proprio nei tempi più recenti).»
György Lukàcs, La distruzione della ragione, (Vol. 1), “Alcune caratteristiche dello sviluppo storico della Germania”, Einaudi, Torino 1959
mercoledì 21 gennaio 2015
Hai Kapito?
Non teme la Grecia. E ha fiducia nel «quantitative easing» della Bce. Solo una cosa lo preoccupa davvero.
«Le
famiglie
in
Europa
e
in America
hanno
ancora troppa paura e preferiscono tenere la liquidità a portata di
mano in banca piuttosto che investirla. Questo è un problema
epocale: se oggi gli uomini e le donne non pensano al loro futuro e
non investono i risparmi guardando al lungo termine e alla pensione,
un giorno avranno problemi seri. Secondo un nostro sondaggio, due
terzi degli americani destinano meno di 25mila dollari alla pensione
e un terzo non fa nulla su questo fronte: questo è drammatico.»
[...]
E
non crede che sui mercati ci siano bolle speculative?
«No,
questa storia delle bolle è fomentata dai giornali. È da anni che
si parla di rischio-bolle, ma le Borse
e
i bond continuano a salire. Questo ha generato paura tra la gente,
con il risultato che oggi le famiglie
non
investono i risparmi per assicurarsi il futuro pensionistico. Questo
è il vero dramma: tenere i soldi in banca non porta da nessuna
parte, bisogna investirli pensando al futuro. Non aspettando lo
scoppio delle bolle.»
[...]
Per questo BlackRock continua a investire in Europa?
«Bene
inteso: noi consideriamo attraenti le Borse,
ma non il mercato dei titoli di Stato. Ormai i rendimenti sui bond
sono molto bassi e lo spread è troppo influenzato da variabili
imprevedibili come quella
politica.
Puntiamo invece con convinzione sui listini azionari: la nostra prima
scelta è la Borsa statunitense, poi alcuni listini del Sud
America,
ma in Europa privilegiamo Gran Bretagna, Italia
e
Germania.
Nelle Borse
del
Vecchio continente ci sono molte società esportatrici, che
beneficeranno dalla debolezza dell’euro. Italia
inclusa:
a Piazza Affari guardiamo con favore le aziende alimentari, quelle
legate alla sanità e il settore della difesa.»
Dopo aver letto l'interessante intervista al presidente del Fondo Pensioni BlackRock, oggi pomeriggio, invece di andar a comprare vettovaglie, sono andato in banca e ho chiesto al consulente finanziario di convertire i soldi del mio conto corrente in azioni della Barilla e della Ferrero, della Azienda Ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano («Oppure, se sono in vendita, quelle delle cliniche private della Ciarrapico Corporation», ho aggiunto) e, infine, per differenziare anche nel settore della difesa, di prendermi alcune azioni di Finmeccanica. «Voglio scialare», ho detto sorridendo al consulente. «Magari a cena mangerò una ribollita, ma bisogna pure che pensi al futuro ogni tanto. Basta con questa paura che paralizza il mio conto corrente».
Appena ho pronunciato queste parole, il consulente, alzando gli occhi dal terminale che visualizzava il saldo, mi ha guardato paralizzato per una decina di secondi e poi, a mezza voce, mi ha proposto una cessione del quinto.
martedì 20 gennaio 2015
Fanno ammende
Tra i vari contenuti previsti nel pacchetto anti-terrorismo che il Governo, pare, si appresterà a varare giovedì, ve ne sono un paio che m'incuriosiscono un po':
Dopo l’articolo 678 del Codice penale il Governo propone di inserire un articolo 678 bis che punisce con l’arresto fino a 18 mesi e con l’ammenda fino a 247 euro la «detenzione abusiva di precursori di esplosivi», le sostanze usate per fabbricare “bombe” in casa. Un altro articolo, il 679-bis, è previsto per punire con l’arresto fino a 12 mesi o con l’ammenda fino a 371 euro anche chi omette di denunciare il furto o la sparizione dei “precursori” e con la sola sanzione da mille a 5mila euro chi non segnala «transazioni sospette».
La curiosità è tutta rivolta all'entità prevista per due ammende: 247€ per detenzione di precursori di esplosivi; 371€ per omessa denuncia del furto o della sparizione dei precursori stessi.
Sarebbe interessante scoprire perché i tecnici del gabinetto del ministro Alfano abbiano scelto proprio tali cifre e non altre per sanzionare i bombaroli in erba. Più comprensibile la multa da mille a cinquemila euro, forse perché non prevede il carcere.
Sarebbe interessante scoprire perché i tecnici del gabinetto del ministro Alfano abbiano scelto proprio tali cifre e non altre per sanzionare i bombaroli in erba. Più comprensibile la multa da mille a cinquemila euro, forse perché non prevede il carcere.
Già, il carcere: forse è quello che determina l'esatto importo dell'ammenda... chissà. O forse ci troviamo in presenza di un mistero cabalistico?
Vediamo:
247, secondo Wikipedia, è il numero naturale dopo il 246 e prima del 248. Interessanti sono le sue proprietà matematiche, tra le quali segnalo che è un numero pentagonale (anvedi) e, altresì, un numero odioso (al ministero dell'interno sanno come combattere il nemico).
371 è più misterioso ancora. Oltre a essere il numero naturale dopo 370 e prima di 372, wikipedia sostiene che è un numero dispari e, altresì, un numero difettivo poiché la somma dei divisori, escluso il numero stesso, è inferiore al numero. Capito a me.
Nel mio piccolo, ho provato a sommarli, ma il risultato, 618, non ha alcun riscontro wikipediano, forse perché la detenzione e l'omessa denuncia non sono ammende sommabili.
Altre somiglianze più o meno pertinenti: i due numeri hanno in comune il 7; le altre cifre sono consequenziali: 1, 2, 3, 4. Inoltre, con il 3 e l'1 di 371 si ottiene, sommando, 4, e, sottraendo, 2 che sono le cifre che, insieme al 7, compongono 247.
Ma la cosa forse più sibillina che si può ottenere dai due numeri - e che, a mio parere, rivela l'arguzia dei tecnici del ministero dell'interno - è la seguente: sommando le cifre singole di entrambi i numeri si ottiene quanto segue:
2 + 4 + 7 = 13
3 + 7 + 1 = 11
13 + 11 = 24
24 sono le ore del giorno. 13 sono le mensilità. 11 è l'ora della pausa caffè. Offre @angealfa.
lunedì 19 gennaio 2015
Ladri di valore
Scrive Federico Fubini su Repubblica odierna:
«Nel 2008 la ricchezza netta accumulata del 30% più povero degli italiani, poco più di 18 milioni di persone, era pari al doppio del patrimonio complessivo delle dieci famiglie più ricche del Paese. I 18,1 milioni di italiani più poveri in termini patrimoniali avevano, messi insieme, 114 miliardi di euro fra immobili, denaro liquido e risparmi investiti. Le dieci famiglie più ricche invece arrivavano a un totale di 58 miliardi di euro. In altri termini persone come Leonardo Del Vecchio, i Ferrero, i Berlusconi, Giorgio Armani o Francesco Gaetano Caltagirone, anche coalizzandosi, arrivavano a valere più o meno la metà di un gruppo di 18 milioni di persone che, in media, potevano contare su un patrimonio di 6.300 euro ciascuno.»
Manca qualcuno?
CDB.
Questo non si dice, questo non si fa.
E io che sono Carletto l'ho fatta nel letto, l'ho fatta nel letto, l'ho fatta per fare dispetto che bello scherzetto per mamma e papà.
Continua Fubini:
«Chi è già povero si impoverisce più in fretta. Nel 2013 quei 30 milioni di italiani avevano nel complesso 829 miliardi (mentre gli altri 30 controllavano gli altri 8500). Nel 2008 però quegli stessi 30 milioni di persone avevano (in euro 2013) per l’esattezza 935 miliardi. Dunque la "seconda" metà del Paese durante la Grande Recessione è andata giù dell’11,3% in termini patrimoniali. La prima metà invece, i 30 milioni di italiani più ricchi, è scesa dell’8,2%. Gli uni non solo erano molto più poveri degli altri prima della crisi: si sono impoveriti di più durante. Tutt’altro Paese invece per le prime dieci famiglie. La loro ricchezza netta sale di oltre il 60% in termini reali fra il 2008 e il 2013 e la loro quota sul patrimonio totale degli italiani aumenta. Cambia però anche un altro dettaglio: la loro composizione. I più ricchi del 2013 non sono gli stessi del 2008 o del 2004 e per certi aspetti formano una lista più interessante. Ora nel gruppo si trovano famiglie meno dedite alle rendite di posizione, alla speculazione pura o al rapporto con la politica per fare affari. Adesso dominano i primi posti imprenditori più impegnati nella creazione di valore, lavoro e manufatti innovativi che interessano al resto del mondo»Concentriamoci sull'ultima frase:
«Adesso dominano i primi posti imprenditori più impegnati nella creazione di valore, lavoro e manufatti innovativi che interessano al resto del mondo».Chi è che crea valore? Capitale + lavoro umano. E come creano valore gli imprenditori? Prendendo il plusvalore contenuto nel lavoro, perché in ogni lavoro retribuito è contenuta una quantità di lavoro non retribuito, di cui i prenditori di lavoro si appropriano, ahimè, legalmente.
Questo, gli economisti fighetti, che titillano i capezzoli dei buon cuori che ancora si dicono convinti elettori di sinistra, non lo dicono. Puntuali, fanno notare che esistono disuguaglianze intollerabili, ma - per carità - non spiegano affatto perché esistono e perché si estendono a dismisura. Ma soprattutto: non lo dicono, perché rifiutano l'unica scoperta scientifica sulla produzione di plusvalore in grado di rivelare perché nell'economia capitalistica si producano siffatte, aberranti, storture.
Chi fece questa scoperta? Un signore tedesco, di origine ebrea, con la barba e il capello allungato.
Cosa scoprì questo signore? La dinamica dei rapporti tra capitale e lavoro e come da questi sgorghi copioso il plusvalore.
Ma adesso lasciamolo parlare, ché tanto meglio di lui è difficile spiegare (la citazione sarà estesa ma non posso fare altrimenti: è uno dei passi più belli e importanti de Il Capitale):
«Il
capitalista ha comperato la forza-lavoro al suo valore
del giorno.
Gli appartiene il valore
d’uso di
essa durante una giornata lavorativa. Ha dunque acquisito il diritto
di far lavorare l’operaio per sé
durante una giornata. Ma, che
cos’è una giornata lavorativa?
In
ogni caso, è meno di un giorno naturale di vita. Quanto meno? Il
capitalista ha la sua opinione su questa ultima Thule
che
è il
limite necessario della giornata lavorativa.
Come capitalista, egli è soltanto capitale personificato. La sua
anima è l’anima del capitale. Ma il capitale ha un unico istinto
vitale, l’istinto cioè di valorizzarsi, di creare plusvalore, di
assorbire con la sua parte costante,
che sono i mezzi di produzione, la massa di pluslavoro più grande
possibile. Il capitale è lavoro morto, che si ravviva, come un
vampiro, soltanto succhiando lavoro vivo e più vive quanto più ne
succhia. Il tempo durante il quale l’operaio lavora è il tempo
durante il quale il capitalista consuma la forza-lavoro che ha
comprato. Se l’operaio consuma per se stesso il proprio tempo
disponibile, egli deruba il capitalista.
Dunque
il capitalista invoca la legge dello scambio delle merci. Come
ogni altro compratore, cerca di spremere dal valore d’uso della sua
merce la maggiore utilità possibile. Ma all’improvviso s’alza la
voce dell’operaio, che era ammutolita nell’incalzare e nel
tumulto del processo di produzione:
La
merce che ti ho venduto si distingue dal volgo delle altre merci per
il fatto che il suo uso crea
valore,
e valore maggiore di quanto essa costi. E per questa ragione tu l’hai
comprata. Quel che dalla tua parte appare come valorizzazione del
capitale, dalla mia parte è dispendio eccedente di forza-lavoro. Tu
ed io, sul mercato, conosciamo soltanto una legge, quella dello
scambio di merci. E il consumo della merce non appartiene al
venditore che la aliena, ma al compratore che l’acquista. A te
dunque appartiene l’uso della mia forza-lavoro quotidiana. Ma, col
suo prezzo di vendita quotidiano, io debbo, quotidianamente, poterla
riprodurre, per poterla tornare a vendere. A parte il logorio
naturale per l’età ecc., io debbo essere in grado di lavorare
domani nelle stesse condizioni normali di forza, salute e freschezza
di oggi. Tu mi predichi continuamente il vangelo della «parsimonia»
e della «astinenza». Ebbene: voglio amministrare il mio unico
patrimonio, la forza-lavoro, come un ragionevole e parsimonioso
economo e voglio astenermi da ogni folle sperpero di essa. Ne voglio
render disponibile quotidianamente, mettendolo in moto e
convertendolo in lavoro, soltanto quel tanto che è compatibile con
la sua durata normale e col suo sano sviluppo. Tu puoi mettere a tua
disposizione, in un solo giorno, con uno smoderato prolungamento
della giornata lavorativa, una quantità della mia forza-lavoro
maggiore di quanta io ne possa ristabilire in tre giorni. Quel che tu
guadagni così in lavoro, io lo perdo in sostanza lavorativa. L’uso
della
mia forza lavorativa e il depredamento
di
essa sono cose del tutto differenti. Se il periodo medio nel quale un
operaio medio può vivere, data una misura ragionevole di lavoro,
ammonta a trent’anni, il valore della mia forza-lavoro, che tu mi
paghi di giorno in giorno, è [1
: (365 x 30)] cioè, 1
: 10.950 del
suo valore complessivo. Ma se tu la consumi in 10 anni, tu mi paghi
quotidianamente 1/10.950 del suo valore complessivo, invece di
1/3.650: cioè mi paghi soltanto un terzo del suo valore giornaliero,
e mi rubi quindi quotidianamente due terzi del valore della mia
merce. Tu mi paghi la forza-lavoro di un giorno, mentre consumi
quella di tre giorni. Questo è contro il nostro contratto e contro
la legge dello scambio delle merci. Io esigo quindi una giornata
lavorativa di lunghezza normale, e lo esigo senza fare appello al tuo
cuore, perchè in questioni di denaro non si tratta più di
sentimento. Tu puoi essere un cittadino modello, forse membro della
Lega per l’abolizione della crudeltà verso gli animali, per giunta
puoi anche essere in odore di santità, ma la cosa che tu rappresenti
di fronte a me non ha cuore che le batta in petto. Quel che sembra
che vi palpiti, è il
battito
del
mio proprio cuore. Esigo
la giornata lavorativa normale, perché
esigo il valore della mia merce, come ogni altro venditore.
È
evidente: astrazione fatta da limiti del tutto elastici, dalla natura
dello scambio delle merci, così com’è, non risulta nessun limite
della giornata lavorativa, quindi nessun limite del pluslavoro. Il
capitalista, cercando di rendere più lunga possibile la giornata
lavorativa e, quando è possibile, cercando di farne di una due,
sostiene il suo diritto di compratore. Dall’altra parte, la natura
specifica della merce venduta implica un limite del suo consumo da
parte del compratore, mentre l’operaio, volendo limitare la
giornata lavorativa ad una grandezza normale determinata, sostiene il
suo diritto di venditore. Qui ha dunque luogo una antinomia: diritto
contro diritto, entrambi consacrati dalla legge dello scambio delle
merci.
Fra
diritti eguali decide la forza.
Così
nella storia della produzione capitalistica la regolazione della
giornata lavorativa si presenta come lotta per i limiti della
giornata lavorativa — lotta fra il capitalista collettivo, cioè la
classe dei capitalisti, e l’operaio collettivo, cioè la classe
operaia.»
Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Sezione III, Capitolo 8.
Suggestione:
se qualcuno in parlamento leggesse pari pari il brano sopra
riportato, quanto ascolto riceverebbe? Per esempio: se lo leggessero,
una frase ciascuno, Matteo Orfini Roberto Speranza cosa
succederebbe?
Si
bagnerebbero i pantaloni.
E io che sono Carletto, l'ho fatta nel letto... eccetera.
domenica 18 gennaio 2015
Vengo dopo il piddì
«Mah» [detto scuotendo la testa e trattenendo per qualche secondo fra le labbra la ‘m’ in modo che poi legandosi alla ‘a’ produca un suono grave e sconsolato].
Serra dice che non si sognerebbe mai di andar a votare alle primarie del centrodestra perché «è intrusivo e sleale andare a decidere cose d'altri in casa d'altri».
Obiezione vostro disonore: intrusivo sarebbe se l'ospite non fosse invitato o se gli fosse precluso l'accesso. Se la casa piddina organizza un party in cui per partecipare bastano due euro e la carta di identità o il permesso di soggiorno, coloro che vi si recano con questi requisiti non commettono alcuna sleale intrusione.
Gli esempi che adduce Serra per confortare la sua tesi non sono affatto pertinenti. Infatti il regolamento delle primarie del Partito Democratico non prevede possano partecipare solo gli iscritti al PD, o solo i dirigenti del PD, o solo i simpatizzanti del PD.
Se non ricordo male, alle ultime primarie piddine in cui votai (la Puppato al primo turno e Renzi al secondo... e poi vinse Bersani, do you remember? Si ricordano sempre gli addii definitivi), oltre alle due euro e al documento (o tessera elettorale), mi fecero firmare un foglio d'intento in cui si chiedeva di riconoscermi nello spirito e nel programma del partito (ma non mi si costringeva a far giurin giurello sul votarli alle elezioni). Dunque, se le modalità non sono cambiate, veramente non arrivo a comprendere le ragioni del contendere. Persino quelle di Cofferati, dacché un partito che nutre l'ambizione di rappresentare le diverse istanze moderate del Paese (aspettate che ora vado in bagno, mi metto due dita in gola e poi concludo la frase) non deve rifiutare a priori la partecipazione alla scelta dei propri candidati anche da presunti elettori di centrodestra.
Per ritornare a Serra: come può lamentarsi un votatore come lui che in varie occasioni ha dichiarato di partecipare a qualsivoglia tipo di elezioni, comprese le riunioni di condominio?
Concludiamo in leggerezza sulle problematiche della Sinistra italiana alla luce dell'invito che Nichi Vendola rivolge all'ex segretario generale della CGIL.
«Adesso Sergio venga con noi» che «insieme rifaremo un nuovo soggetto».
Niente, vorrei soltanto avvisare Cofferati ché dopo il soggetto, di solito, viene la copula.
Secondariamente
«Nella banlieue proprio come in certi spazi governati dalle cosiddette mafie, le istituzioni e i rappresentanti dello Stato sono considerati illegittimi e rinunciano all’esercizio della sovranità. In effetti si potrebbe dire che, in base a un calcolo puramente economico, la banlieue è lo spazio in cui la rinuncia alla sovranità rende di più di quanto costa. Ma se la banlieue è consustanziale al benessere a basso costo che partecipa a produrre (e questo Saviano lo ha scritto benissimo), la sua “extra-territorialità” rappresenta anche una minaccia. Salendo i gradini di una “scala della delinquenza” fino all’aperta sedizione, la banlieue rischia di costituirsi come soggetto politico ostile. Per amministrare questo rischio, lo Stato interviene puntualmente esercitando una pseudo-sovranità di tipo coloniale e ricorrendo a una forza pressoché militare.»
«Rispetto alla situazione italiana — radicata nella guerra di unificazione — quella francese stupisce per la sua rapida maturazione, e attira ovviamente la nostra attenzione come fallimentare (o doloso) modello d’integrazione dei flussi migratori. Alla banlieue accade ciò che avrebbe dovuto accadere al proletariato secondo Karl Marx: acquisendo l’autocoscienza, un insieme di individui si costituisce come soggetto politico. Marx aveva torto, perché una classe — proprio come un pezzo di legno — non può raggiungere l’autocoscienza in mancanza di un sostrato. Le recenti vicende francesi suggeriscono però che le segmentazioni etniche, religiose e linguistiche — se pure non determinano naturalmente l’aggregazione — svolgono bene la funzione di sostrato alla soggettivazione politica, dando un contenuto alla fantomatica “coscienza di classe”. E così, tra gli osanna dei cosiddetti islamo-gauchistes è avvenuta una etnicizzazione della lotta di classe. Gli orfani del socialismo si consolano con il nazional-socialismo, gli orfani del comunismo con il comunitarismo.»
Due
capoversi interessanti di un bel post di Raffaele Alberto Ventura che mi ha
dato da pensare quanto segue:
1)
L'analisi è centrata ma la riposta alla domanda sul perché gli
Stati democratici e liberali lasciano esistere, nella propria
giurisdizione, tali manifeste zone di illegalità, è parziale. In
altri termini: l'illegalità, l'eversione, la corruzione, la
sedizione sono fenomeni naturali al pari delle alluvioni? Quali sono
le cause per cui lo Stato rinuncia a esercitare la sua sovranità in
determinate zone? Ragioni culturali (e religiose), politiche, sociali
e, soprattutto, economiche. Ed eccoci al punto: qual è il sistema
economico dominante pressoché tutti gli Stati? Il sistema economico
e produttivo capitalista dal quale emergono, inesorabilmente, le
contraddizioni connaturate al suo svolgimento e alla sua riproduzione
e da cui sorgono, ineluttabilmente, le cosiddette crisi economiche
che scuotono le fondamenta degli Stati.
2)
Marx non aveva torto perché la coscienza di classe dei proletari
della sua epoca, e dell'epoca che seguì la sua morte, si formò
eccome,
almeno sino a un certo punto;
e fu proprio
grazie a
questa autocoscienza formatasi
– dalla quale scaturirono
lotte di classe di vario ordine e tipo che determinarono notevoli
conquiste “sociali” di classe (la riduzione dell'orario di
lavoro, e altre simili bazzecole) – che
gli Stati industrializzati, notoriamente
comitati d'affari della
borghesia, vennero a patti e
concessero quello che, comunemente, passa sotto il nome di Welfare
State. Vero è che questa autocoscienza non portò nell'Europa
industrializzata alcun sovvertimento dell'ordine sociale, ma ciò
è in gran parte dovuto a ragioni e a circostanze storiche precise,
compreso lo scoppio di due
opportune (opportune in senso capitalistico) guerre mondiali
(riguardo alla Rivoluzione d'ottobre, la penso esattamente come
Olympe de Gouges).
Per
ritornare al primo punto: finché nelle zone a sovranità limitata ci
si occupa di affari paralleli (e contigui) a quelli della borghesia
(per esempio con lo sviluppo del mercato illegale di merce ancora
fuori mercato, tipo la droga), a parte qualche retata ogni tanto che
segue generalmente a sconfinamenti di campo troppo arditi, tutto
procede nella norma: pecunia non olet.
Quando invece certuni
pretendono di sovvertire l'ordine costituito, gli Stati si
preoccupano e, dopo un po' di panico iniziale, iniziano serie
contromisure. Di solito, sinora, esse hanno funzionato.
A margine occorre chiedersi
perché nella mente di tanti giovani jungeriani in pectore faccia
breccia il rincoglionimento islamista. E, paradossalmente, finché
giustificano il loro impegno per le gioie che - essi credono - ci saranno ad
attenderli nell'aldilà, beh, certe allucinazioni sono comprensibili
perché rientrano nel patologico; incomprensibile e intollerabile è, invece, lo scopo immanente della loro sovversione: la sharia,
l'instaurare in Europa un regime islamico tipo quello adesso presente
in Arabia Saudita o Sudan o dnegli Emirati Arabi eccetera. Beh, dato
che tali stati esistono già, vadano laggiù a fare i loro bravi
concorsi nella guardia monarchica, per oliare le corde o le fruste o
dirigire il traffico di soli autisti maschi.
Scherzi a parte: il
fondamentalismo religioso islamico è, a mio molesto avviso, il nipote ribelle
dell'irrazionalismo europeo: se i bisnonni e i nonni uccisero Dio per mettere nei forni (e negli altiforni) gli uomini, i nipoti lo fanno rinascere per avere una ragione del cazzo in più
per non disperdere l'eredità di assassini (e testedicazzo).
sabato 17 gennaio 2015
Formez vos bataillons
È indubbio che tutto ciò ch'è successo abbia rinsaldato il potere statale francese, l'unità della nazione, la prossimità del popolo con le istituzioni.
Lo Stato contiene la violenza essendo il solo organo autorizzato all'esercizio della stessa.
Paradossale pensare che il sacrificio di un gruppo di libertari, sicuramente avulsi da ogni tipo di retorica statalista, abbia consentito questo.
Forse non è del tutto sbagliato sostenere che le vittime degli attentati di Parigi siano vittime espiatorie perché esse hanno subito una violenza che è assurta a evento ri-fondatore.
Ri-cantare la marsigliese spontaneamente in parlamento durante il minuto di raccoglimento e silenzio in memoria delle vittime.
Se gli attentati fossero falliti, se i morti fossero ancora vivi, restando immutata la gravità dell'attacco, le istituzioni - pur meritevoli dal lato del contenimento preventivo della violenza fondamentalista - non avrebbero ricevuto un nuovo surplus di legittimità; e la situazione politica avrebbe continuato a cuocere, a fuoco lento, nel discredito.
Questo l'ottusità assassina dei jihadisti responsabili dell'eccidio non poteva o voleva prevederlo, giacché il loro movente primario è stato dettato dalla religione. Ed è pacifico che la religione abbagli.
Secondariamente ... [segue]
venerdì 16 gennaio 2015
O che gioia che gioia
Leggendo l'allegoria malviniana sulla mamma di Bergoglio, m'è tornato in mente una canzone che da giovine - diciamo dai quattordici ai diciotto - solevo cantare con gli amici quando capitava di bere tanto quanto bastava per diventare brilli.
In particolare, mi ricordo che gli amici chiedevano a me d'intonarla e loro mi venivano dietro - e quando giungevamo al refrain in cui le voci si univano, a squarciagola cantavamo con estrema soddisfazione:
c'ho la mamma maiala [rip.]
o che gioia che gioia
esser figli di troia
siamo tutti fratelli
degli stessi bordelli
siamo tutti cugini
degli stessi casini
eccetera.
Che risate. Quanto ci divertivamo. Era come una liberazione, una sorta di risoluzione pacifica del conflitto edipico, la conferma (altro che la cresima) del definitivo distacco dal cordone ombelicale.
Per proseguire poi nel solco dei ricordi: da piccoli, quando erano frequenti le offese tra coetanei a colpi di sonori figlio di puttana, ricordo che ad essere i più offesi e i primi a voler menare le mani per riparare il torto subito, erano quelli che probabilmente avevano la mamma un po' puttana per davvero.
giovedì 15 gennaio 2015
Un istante da leone
[*] |
Ore concitate in cui i media imbizzarriti colgono ogni occasione per domandare agli ospiti autorevoli delle loro trasmissioni, ma anche, sotto varie forme, a cittadini meno autorevoli scelti a caso, chi gradirebbero fosse il nuovo Presidente della Repubblica.
Giustappunto, poco fa, forse in quanto membro autorevole del gruppo dei meno autorevoli, mi ha telefonato una società di ricerche statistiche e sondaggi di opinione, per porre anche a me il quesito più in voga del momento.
- Signor Massaro, tra i seguenti [e mi fa un elenco di nomi] chi vorrebbe come nuovo Presidente della Repubblica?
- Nessuno.
- Questo nome non risulta. Mettiamo Altri?
- Sì, nessun'altro.
mercoledì 14 gennaio 2015
O urlo o sputo
«Silvio Berlusconi ha spiegato che il nuovo capo dello Stato deve essere garante di tutti. "Da qui in avanti bisogna affrontare importanti votazioni, in attesa della nomina del nuovo capo dello Stato e noi vogliamo sperare si possa arrivare ad un Capo dello Stato che sia garante di tutti e non di una sola parte", ha detto l'ex premier concludendo l’iniziativa al Divino Amore. La sinistra ha avuto il presidente della Repubblica, ha il presidente del Senato, della Camera, del Cdm, della Corte costituzionale. Credo sia una domanda logica, giusta e democratica quella di avere un capo di Stato che non sia un seguito di tre presidenti della Repubblica di sinistra che hanno portato questo Paese ad una situazione non democratica. Da qui a fine mese saranno giorni importanti. Noi insisteremo perché sia fatta l’indicazione di un nome che non sia di sinistra e che rappresenti tutti e non una sola parte. Se così sarà, saremo lieti di sostenere con i nostri voti, che si uniranno a quelli della sinistra un Capo dello Stato che risponda a questi requisiti. Siamo pronti a dare i nostri voti, se ci sarà questa garanzia».
Che sbadiglio lungo, sarà durato tre minuti. A un certo punto, per stirarmi, ho sollevato le braccia e ho appoggiato le mani a palmo sugli zigomi, ravvisando l'incavarsi delle guance e, allo stesso tempo, lo spalancarsi della bocca come Munch.
«"Credo che tutti, quelli che lo apprezzano e quelli che lo apprezzano meno, riconoscano a questo presidente il fatto che ha segnato un'epoca in modo straordinario". Lo afferma il premier Matteo Renzi a 'Le invasioni barbariche' su La7 definendo Napolitano "un grande europeo, europeista, un grande uomo politico". Quello delle dimissioni del Capo dello Stato è stato un momento "sinceramente emozionante", aggiunge Renzi ricordando le notti del 150/o dell'Unità d'Italia, "vissute da sindaco" e sottolineando come Napolitano abbia "cercato un senso di identità all'Italia". "Dal punto di vista dell'ultimo anno nessuno di noi mette in dubbio una verità assoluta" che è quella "che se oggi facciamo le riforme, alla faccia di chi non ci credeva, è perchè Napolitano ha insistito che l'Italia non può stare ferma. Se c'è un vero artefice delle riforme, è lui": così Renzi a Le Invasioni Barbariche su La 7. "Napolitano è stato una colonna delle istituzioni, molto più riformatore di tanti non solo suoi ma anche miei coetanei", ha spiegato Renzi su La7. "Me l'ha fatto notare proprio Napolitano: una volta mi ha detto che tra me e lui ci sono esattamente 50 anni, lui è del '25 io del '75, quanti mondi e esperienze diverse tra di noi", dice con riferimento alla differenza di età.» "Vorrei essere chiaro: nessuno mette veti. Non Fi, non Salvini e nemmeno il Pd. Basta con questi veti. Un atteggiamento 'o così o pomì', non ha senso".»
Sono io ad essere nel torto. Tanta complessità richiede piatta e squallida semplificazione, argomentare stupido, falsità, negazione assoluta dell'evidenza, chiacchiera fasulla.
Sono io a essere nel torto perché se prendo un filo di realtà e tiro, lo trovo tutto attorcigliato, impossibile da sdipanare, mentre altri aggrovigliano ancor più la matassa con le loro cazzate fuori di misura, fuori dalla realtà.
Il problema vero è che dopo ascoltati o letti simili figuri, ho la sensazione che il cervello sia stato messo sottovuoto, incapace di reazione e quindi di risposta. Ecco lo sbadiglio che oramai ha raddoppiato i suoi minuti e la bocca aperta a urlo, muta. L'unica speranza è che entri un moscerino, almeno dopo sputazzo un po’.
martedì 13 gennaio 2015
Je suis triste
«Dio lupo», disse l'agnello, lo spazio giusto lo spazio, mi rubano lo spazio, lo violano, perché?, andate altrove, altrove c'è un mare magno di disposti a dialogare e a farsi convincere...
***
Io sono una persona gentile che s'incazza da sola sfogando certe rabbie. Per esempio: oggi facevo un inseguimento mentale contro un noto testadicazzo e lo prendevo per il bavero, supponendo (immaginando) una forza risolutiva che non ho. Ah, se gliele cantavo, eccome se gliele cantavo: ma aveva le cuffie dell'iPod. Che fortuna: allo specchietto retrovisore, al posto del taglio dei miei occhi, ho visto quelli a sgombro lesso di uno a caso dei fratelli Kouachi [Avviso a R&S: si legge Cuascì non Culo a chi, ok?].
Sapete che ha detto il maggiore dei fratelli gìadisti alla cronista giudiziaria di Charlie Hebdo?
« N’aie pas peur. Calme-toi. Je ne te tuerai pas. Tu es une femme. On ne tue pas les femmes. Mais réfléchis à ce que tu fais. Ce que tu fais est mal. Je t’épargne, et puisque je t’épargne, tu liras le Coran. »
Sigolène Vinson leggerà il Corano? Chissà: intanto ella deve finire di leggere un libro di Zola [Per R&S: Emilio, non Gianfranco... Sibilo di una scarpa da tennis]. Meglio.
Io non sono femmina, però Tiresia mi sta più simpatico di Edipo.
Voilà una strategia militare tatticamente ineccepibile (dovrebbero assumermi al Pentagono): capi di stato maggiore, mi rivolgo a voi: nel caso in cui arrivi il comando di attaccare via terra i giadisti dell'Essente Islamico, travestite i vostri militari da donna: con la Brigata Priscilla e la Brigata Mucca assassina sbaraglierete il nemico in un battibaleno.
***
Io non ho mai letto il Corano.
Hai forse paura ti converta?
Non credo. Non sono convertibile, vorrei una convertibile.
Mettiamoci d'accordo su quale. Una escort?
Facevano una escort cabrio, se non ricordo male.
Ricordi bene. Cos'altro ricordi?
Ricordo che, da parte di Hollande, sarebbe stato vantaggioso invitare anche Assad alla Marcia Repubblicana, così gli rendevano le armi chimiche sotto banco, molto più efficaci dei droni.
***
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