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lunedì 7 marzo 2016

Legion del disonore

« Da più di trent'anni, in tutti i paesi occidentali, lo spettacolo elettorale si svolge essenzialmente nel segno di un'unica alternanza tra una sinistra e una destra entrambe liberali che, a parte qualche dettaglio, si accontentano ormai di applicare a turno il programma economico definito e imposto dalle grandi istituzioni capitaliste internazionali (e dunque, attraverso queste ultime, dalle potenti lobby transnazionali che ne sono la principale fonte d'ispirazione). In questa messa in scena perfettamente sperimentata, è la sinistra che ha sempre il maggiore interesse [...] a presentare questo “antagonismo” come il prolungamento naturale di una lotta e di una “scelta di società” che risalirebbe, sotto questa forma, alla Rivoluzione francese stessa (sappiamo comunque coglierne il lato ameno: è sempre divertente vedere Dominique Strauss-Kahn, François Hollande e Pascal Lamy atteggiarsi a eroici discendenti dei martiri della Comune o delle giornate del giugno 1848). »

Jean-Claude Michéa, I misteri della sinistraNeri Pozza, Vicenza 2015 (ed. originale, Paris 2013).

Via Libération
I francesi stanno ancora troppo bene per farsi venire certi pruriti. Tuttavia, nel remoto caso gli venissero, non sarebbe male iniziassero ad affilare le lame per certi rincoglioniti che per fortuna hanno l'avvertenza di mettere il casco per andare in motorino.

Ma vabbè, non sono altro che intermediari, meri piazzisti: le commesse sono grandi, fanno di tutto per accaparrarsele perché, in caso contrario, a vendergli cacciabombardieri o portaerei all'Arabbia, ci penserà qualcun altro.

Sia data, dunque, la Legion d'onore (un premio laico e repubblicano) al principe ereditario: non si può rischiare che, con un Ambrogino d'oro, gli italiani ci freghino alcunché.

lunedì 27 luglio 2015

Pelligrini di sinistra

C'è un articolo sulle pagine culturali di Repubblica odierna a firma di Luciano Gallino - ripreso da Micromega online - che spiega lo stato dell'arte fallimentare della socialdemocrazia italiana, europea e internazionale. È un'ammissione di resa quella di Gallino; una resa allo strapotere del pensiero “liberale” (liberista)
«la lunga marcia che ha portato il neoliberalismo a conquistare un’egemonia totalitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa.»
Egemonia che, per Gallino, prese le mosse nel 1947, in Svizzera, con la fondazione MPS, che faceva capo a intellettuali liberali del calibro di von Hayek, von Mises, Karl Popper, Milton Freedman...
Hanno vinto: dopo la parantesi ventennale del boom economico del dopoguerra ispirato - sia detto all'ingrosso - da una sorta di socialdemocrazia ben temperata (lunga mano dello Stato nell'economia, allargamento e consolidamento del welfare state), dagli anni 70 del secolo scorso a oggi, il liberismo si è diffuso capillarmente, abbattendo persino i muri ritenuti indistruttibili del cosiddetto socialismo reale. E anche in una grande nazione formalmente guidata dal Partito comunista, la Cina, il liberismo è diventato il motore che fa girare l'economia.

Gallino piange: perché quei tromboni dei liberali hanno vinto e noi, poveri socialisti riformisti, non contiamo un cazzo? Anche e soprattutto da un punto di vista accademico? Per esempio: invece di stare a trippa all'aria in una baita vista lago sul Monte Pélerin, con tutti i servizi liberali del caso, tocca accontentarci di una finestra che vede il monte in lontananza, con un golfino sulle spalle perché il vento alpino fa venire la cervicale.
Povero Gallino che ancora crede di metter le redini a quel cavallo pazzo del soggetto automatico. Leggiamo insieme come chiama in causa Gramsci:
«Se uno potesse chiedere a Gramsci come mai le sinistre europee comunque denominate, a cominciare da quelle italiane, sono state travolte senza opporre resistenza dall’offensiva egemonica del neoliberismo partita nel 1947 dal Mont Pélerin, forse risponderebbe «perché non li avete saputi imitare». Al fiume di pubblicazioni volte ad affermare l’idea dei mercati efficienti non avete saputo opporre niente di simile per dimostrare con solidi argomenti che i modelli con cui si vorrebbe comprovare tale idea si fondano su presupposti del tutto inconsistenti.

Inoltre, proseguirebbe Gramsci, dove sono i vostri articoli e libri che rivolgendosi sia agli esperti che ai politici e al largo pubblico si cimentano a provare ogni giorno, con solidi argomenti, la superiorità tecnica, economica, civile, morale della sanità pubblica su quella privata; delle pensioni pubbliche su quelle private, a fronte degli attacchi quotidiani alle prime dei media e dei politici, basati in genere su dati scorretti; dello Stato sulle imprese private per produrre innovazione e sviluppo, oggi come in tutta la seconda metà del Novecento; dell’importanza economica e politica dei beni comuni sull’assurdità delle privatizzazioni?»
Ora, lasciamo perdere il fatto che, in quanto ad articoli e libri gli intellettuali di sinistra non sono certo stati meno prodighi rispetto a quelli neoliberali. Anzi. Il problema della sinistra riformista - e quanto sopra riportato ne è una dimostrazione - è non capire le ragioni del perché il neoliberismo ha vinto. Innanzitutto, perché sono stati più capaci e intuitivi nell'assecondare la natura capitalista, dopo la fine degli anni d'oro del dopoguerra caratterizzati da tassi di crescita che, visti oggi, danno il capogiro. Dipoi perché nell'affrontare le varie crisi e depressioni susseguitesi da allora, i liberisti hanno escogitato delle soluzioni che risolvono temporaneamente il problema centrale del capitalismo, «cioè la sempre minore capacità del capitale di assorbire nella misura necessaria lavoro che crei valore»¹. Quali soluzioni? La creazione senza limiti di capitale fittizio composto dall'aumento esponenziale e dei titoli azionari e dal pozzo senza fondo dei vari debiti pubblici statali.

La situazione di crisi si è spinta così avanti che alcun “solido argomento” riformista potrà invertire la tendenza inesorabile del capitalismo a sbattere la testa contro i propri limiti.

__________
¹ Ernst Lohoff, Fughe in avanti. Crisi e sviluppo del capitale, (2000), in Lohoff-Trenkle, La discarica del capitale, Mimesis 2014.

venerdì 24 luglio 2015

Un fatto attuale

C'è in giro tanta voglia di no-euro e tutti professori e allievi della prima o della seconda o della terza ora che dicevano dicono diranno io ve lo avevo detto che l'euro era una merda e adesso sghignazzano soddisfatti di aver avuto ragione e dicono suvvia usciamo dalla costrizione della moneta unica ritorniamo alla lira datemi retta per bene e vedrete come le cose si riassestano come tutto ritorna in ordine per benino e l'Italia riparte riproduce rivende rimpingua le casse dello Stato e lo Stato dopo non avrà alibi per non spendere e restituire alla cittadinanza secondo i dettami della giustizia e dell'equità ma che bravi ma che bravi sono un fronte unico che va da quelli della Lega a quelli di Sinistra Ecologia e Ilarità da casa paunde a casa cazzo nel senso di grillo insomma sono tutti quelli che un po' alla volta sono andati da Santoro e dalla Santorina la biondina con la voce a soffocone uno su tutti colui che da anni predica italiaviadalleuro (x3) quello che per cognome ha un passato remoto che fa venire voglia di asciugarsi i piedi messi a mollo per tagliarsi meglio le unghie.

Precisazione: l'euro così com'è è un'assurdità e quanto scritto non è difesa del dogma della moneta unica. Mi limito a osservare che quello della moneta, a mio avviso, è solo un problema di superficie e non va alla radice della questione. Io, cioè, scusate, noi...

«Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto attuale.
L'operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza e estensione. L'operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci. Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini. Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore come una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere». 
Karl Marx, Manoscritti economico filosofici (XXII).

giovedì 23 luglio 2015

Araldica

Amore, com'è ferito
il secolo, e come siamo soli
- tu, io - nel grigiore
che non ha nome. Finito
è il tempo dell'usignolo
e del leone. Il blasone
è infranto. Il liocorno
ormai non ha lasciato
sul suolo: l'Ombra, è in cuore.

(1968)

Giorgio Caproni, Il muro della terra, Garzanti, Milano 1975

____________
La Ferrari sarà quotata in borsa a Wall Street. O meglio: il 10% della quota azionaria di Ferrari posseduta da FCA sarà messa in vendita con un'offerta pubblica di acquisto. Hanno bisogno di soldi cash ammericani in casa FCA. L'araldo ha detto addirittura che Ferrari vale non meno di 10 milardi di euro. Quindi, dall'operazione, egli si aspetta d'incassare all'incirca un miliardo di euro.
Spero che un buon 5% lo compri Jeff Bezos, non si mai che un domani si possa trovare un dodici cilindri a V di Maranello in vendita su Amazon.

mercoledì 22 luglio 2015

Un reddito da fare Bifo

In buona parte della cosiddetta sinistra italiana, qualunque cosa voglia dire sinistra italiana, ha preso piede (o altra estremità corporea) l'idea del reddito minimo di cittadinanza.
In pratica: riscuotere (con la q) un obolo senza assolvere ad altro compito se non quello di essere cittadini. Presumo bravi. Per esempio: gli dèi non possono essere cittadini perché non sono bravi. Torna l'assunto? In cielo forse no.
In linea di massima, anzi: senza linea e senza massima, sarei contento fosse preso simile provvedimento; e che fosse sostanzioso (permettesse cioè di sostentarsi senza stenti) e che fosse esteso a chiunque ne facesse richiesta, anche a coloro che rifiutano per principio di vendere la propria forza e abilità lavorativa; in altri termini: andrebbe erogato non solo a coloro che sono disoccupati.

Ma.

Ho letto questo articolo di un signore che su Wikipedia viene così succintamente definito: «scrittore, filosofo, agitatore culturale italiano». Dio (che) bestia. Agitatore culturale e ancora non ha usufruito del diritto di rettifica.
Per avendo una rima baciata facile, scorriamo veloci su quanto scrive il Bifo:
«C’è qualcuno che possa spiegarmi secondo le regole della logica aristotelica il mistero secondo cui per curare la disoccupazione dilagante occorre perseguitare crudelmente i vecchi che lavorano costringendoli a boccheggiare sul bagnasciuga di una pensione che non arriva mai? Nessuno che sia sano di mente mi risponde, perché la risposta non si trova nelle regole della logica aristotelica, ma solo nelle regole della logica finanziaria che con la logica non c’entra niente ma c’entra moltissimo con la crudeltà.
Se la logica finanziaria contraddice la logica punto e basta, cosa farebbe una persona dotata di senso comune? Riformerebbe la logica finanziaria per piegarla alla logica, no? Invece Giavazzi dice che la logica vada a farsi fottere perché noi siamo moderni (mica greci).»
Io sono ignorante perché ignoravo l'agitatore e la sua agitazione logica, tuttavia, a scorrerne la biografia uno s'immagina che, dio agitato, qualche cazzo di pagina di Marx, anche rimasticata da qualche altro bovino, uno così, vista l'epoca in cui ebbe vent'anni, aridio agitato, insomma, l'avesse letta. Invece. Invece uno così fa i discorsi a cazzo anche perché la logica aristotelica era sostanziata essa stessa dalla schiavitù. O no? E poi: parlare soltanto di logica finanziaria presuppone illogicamente che il sistema economico e produttivo capitalista provochi, ad esempio la disoccupazione dilagante per motivi di crudeltà; in altri termini, se non fosse a causa dei lupi della finanza, il capitale sarebbe una pecora buona e cara capace di dare il latte a tutti gli agnelli bisognosi. Tradotto: reddito di cittadinanza.

Mi agito.

Mi agito perché un'idea giusta non è sufficiente proclamarla affinché si realizzi. Occorre provare a tradurla in prassi, magari anche suggerendo ipotesi di "lavoro" ai limiti dell'utopia. Invece niente:

«Milioni di persone non hanno un salario e milioni perderanno il lavoro nei prossimi anni per una ragione molto semplice: di lavoro non ce n’è più bisogno. Informatica, intelligenza artificiale, robotica rendono possibile la produzione di quel che ci serve con l’impiego di una quantità sempre più piccola di lavoro umano. Questo fatto è evidente a chiunque ragioni e legga le statistiche, ma nessuno può dirlo: è il tabù più tabù che ci sia, perché l’intero edificio della società in cui viviamo si fonda sulla premessa che chi non lavora non mangia. Una premessa imbecille, una superstizione, un’abitudine culturale dalla quale occorrerebbe liberarsi.»

E dicci come, Bifo, su. Come? Come potrebbe uno Stato, poniamo l'Italia, erogare il reddito minimo di cittadinanza senza aumentare la spesa pubblica, senza aumentare il debito, o le tasse di chi già le paga? In breve: dove li prende i soldi? Nessun suggerimento? Neanche uno copiato, chessò, dai Cinquestelle? Niente.
«Il Foreign Office nel suo Report dell’anno scorso diceva che il 45% dei lavori con cui oggi la gente si guadagna da vivere potrebbe scomparire domattina perché non ce n’è più bisogno. Caro Renzi qui si tratta di cose serie, lascia fare ai grandi e torna a giocare con i video game: occorre immediatamente un reddito di cittadinanza che liberi la gente dall’ossessione idiota del lavoro.»
Che sogno sarebbe liberarsi da tale ossessione, che sogno. Ma dicci come... 
«La situazione infatti è tanto grave e tanto imprevista, che occorre un’invenzione scientifica che non è alla portata degli economisti.»
Degli agitatori culturali invece sì? Mettersi a descrivere fenomeni senza fare un menomo accenno sulle cause e poi pretendere di dare giudizi è veramente da agit prop: de che? De stocazzo.
E poi ci fa anche la lezioncina su cosa sia scienza e cosa no. Continuando a riferirsi a Renzi, Bifo scrive:

«Ti sei mai chiesto cosa sia una scienza? Diciamo per non farla troppo lunga che è una forma di conoscenza libera da ogni dogma, capace di estrapolare leggi generali dall’osservazione di fenomeni empirici, capace di prevedere quello che accadrà sulla base dell’esperienza del passato, e per finire capace di comprendere fenomeni così radicalmente innovativi da mutare gli stessi paradigmi su cui la stessa scienza si fonda. Direi allora che l’economia non ha niente a che fare con la scienza. Gli economisti sono ossessionati da nozioni dogmatiche come crescita competizione e prodotto nazionale lordo. Dicono che la realtà è in crisi ogni qualvolta non corrisponde ai loro dogmi, e sono incapaci di prevedere quel che accadrà domani, come ha dimostrato l’esperienza delle crisi degli ultimi cento anni. Gli economisti per giunta sono incapaci di ricavare leggi dall’osservazione della realtà in quanto preferiscono che la realtà sia in armonia con i loro dogmi, e incapaci di riconoscere quando mutamenti della realtà richiedono un cambiamento di paradigma. Lungi dall’essere una scienza, l’economia è una tecnica la cui funzione è piegare la realtà multiforme agli interessi di chi paga lo stipendio degli economisti.»

E tu, Bifo, che cosa hai estrapolato? A parte qualche fonte accessoria (citi Larry Page che dice qualcosa sull'inarrestabile utilizzo dei robot), questo ti basta per dire che il reddito di cittadinanza è il toccasana per risolvere il problema della morte del lavoro salariato? Sai di cosa parli? Sai donde nasce il valore in questo tipo di sistema produttivo? Lo cacano le macchine? Tu dici che l'economia (borghese) non ha niente a che fare con la scienza. Dici una cazzata: se non fosse per questo tipo di scienza economica, per quanto scienza interessata, il capitalismo sarebbe già trippa all'aria, giacché è proprio grazie all'invenzione della finanza e della creazione smisurata di capitale fittizio (sai di cosa parlo?) che hanno potuto (e possono) tenere a galla la baracca (ovvero per non far precipitare la caduta tendenziale del saggio del profitto). E a Wall Street, nelle banche centrali e altrove, per quanto pezzi di merda siano, sono pagati per questo. Sono pagati per i modi astuti con cui ritardano il crollo fottendo sempre più i lavoratori e la popolazione che non partecipa al banchetto del capitale. Tu, per contro, visto che li degradi a semplici tecnici, prova a fornirci, se ti aggrada, un approccio scientifico al problema del lavoro e della sua fine. Un compito che mette agitazione, nevvero?

lunedì 20 luglio 2015

Un mondo di debiti

«Dal 2007 [...] il debito globale mondiale è cresciuto di altri 57mila miliardi di dollari facendo salire il rapporto tra debito e Pil (sempre a livello globale) di 17 punti percentuali. A fine 2014, sette dopo la più grave crisi dal Dopoguerra, il mondo ha cumulato un debito complessivo di 199mila miliardi di dollari, quasi tre volte il valore del Pil globale [...].
A spingere le economie mondiali ad aumentare la leva finanziaria sono state proprie le politiche monetarie ultra-espansive e i tassi tendenti a zero con cui le Banche centrali hanno evitato il crash finanziario del sistema bancario mondiale. Una cura di iniezioni massive di liquidità che hanno sorretto il mondo sul ciglio del burrone tra il 2008 e il 2009, ma che hanno finito come effetto collaterale a spingere famiglie, imprese e Governi a indebitarsi sempre più. Il costo dei soldi a prestito è talmente infimo che induce a investire a debito. Un circolo virtuoso che ha permesso alle economie mondiali di non collassare, ma che ha in sé i germi della follia finanziaria. Tutto quel debito, più di quello che ha fatto da miccia al deflagrare della crisi, è oggi ancora lì. Una montagna di denaro che andrà restituito. È proprio qui il punto chiave per il futuro. Scampato il crac, le economie si sono riprese, ma a un passo di marcia assai più blando degli anni Novanta-Duemila. Un mondo che cresce piano rispetto al passato ma che ha più debiti di prima, dato che il fardello è aumentato di ben 57mila miliardi, l'intero Pil mondiale dell'anno scorso.»

Quindi, manifestamente, viviamo in un mondo a debito. In pratica, tutte le nazioni della Terra sono indebitate (non soltanto le nazioni). Se distinzione ha da farsi è tra gli Stati che sono insolventi, tipo la Grecia e gli Stati che invece dichiarano che saranno solvibili quandunque, al limite anche con qualche bomba atomica. Insomma: quel che conta è la credibilità. O la credulità. O la fede. Misteri della Fede. 
Annunciamo la tua morte, o capitalismo, foss'anche tra qualche secolo (cit. ma non ricordo autore e luogo).

Da buon ultimo, mi sembra di aver imparato una cosa: dare la colpa alla finanza della situazione è travisare la sostanza delle cose. La finanza non ha fatto altro, non fa altro che procrastinare il presumibile fallimento di un sistema produttivo che oramai fa soltanto conto su di essa per superare i propri limiti, dato che il capitale “concreto” non riesce a valorizzarsi senza l'aiuto del capitale “fittizio”. E dato che lo scopo della produzione capitalistica non è nient'altro che ottenere più denaro di quanto è stato anticipato non resta che affidarsi alla speculazione, ché la cosiddetta economia reale non ce la fa più a garantire gli attesi profitti.
«Se la speculazione, verso la fine di un determinato periodo commerciale, entra in scena per precorrere il crollo, non si dovrebbe dimenticare che la speculazione stessa è stata generata nelle fasi precedenti di quel periodo, e perciò ne è un risultato e un aspetto esteriore, e non ne rappresenta la causa ultima e l'essenza. Gli economisti politici, i quali affermano di poter spiegare le convulsioni regolari dell'industria e del commercio con la speculazione, assomigliano a quella scuola, ora estinta, di filosofi della natura che consideravano la febbre come la vera causa di tutte le malattie.» Karl Marx, 1857, citazione trovata in E. Lohoff - N. Trenkle,  Crisi: nella discarica del capitale, Mimesis, Milano-Udine 2014
Purtroppo, la scuola riformista (quale che sia la corrente: keynesiana, austriaca, eccetera) non è ancora estinta.

domenica 12 luglio 2015

Lotta continua domani

Avevo detto: «Continua domani». Come continuo? La cosa migliore sarebbe mettersi qui e riscrivere per intero (ricalcare) il capitolo primo del Libro primo del Capitale, La merce, alla maniera di Pierre Menard con il Quijote.
A riassumere i capolavori, di solito, si rischia di tradirli. Ricopiarli è l'unico modo per rendere omaggio: il corpo del Capitale, il suo valore d'uso «si realizza soltanto nell'uso, ossia nel consumo». Consumare Il Capitale, quindi, nella speranza di assimilarlo.

« Ognuno sa, anche se non sa nient'altro, che le merci posseggono una forma di valore, che contrasta in maniera spiccatissima con le variopinte forme naturali dei loro valori d'uso, e comune a tutte: la forma di denaro. Ma qui si tratta di compiere un'impresa che non è neppure stata tentata dall'economia politica borghese: cioè di dimostrare la genesi di questa forma di denaro, dunque di perseguire lo svolgimento dell'espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci, dalla sua figura più semplice e inappariscente, fino all'abbagliante forma di denaro. Con ciò scomparirà anche l'enigma del denaro. »

Ecco, Marx svolge una vera e propria impresa alla fine della quale non solo l'«enigma del denaro» viene risolto, ma, più ancora a monte, viene svelato l'arcano della merce, della forma che assume e del valore che essa contiene.


Per ritornare a quanto ieri abbozzato. 
Capire come funziona la produzione di merci in un regime capitalistico è il primo passo per accorgersi che esso non è un sistema produttivo naturale dato una volta per tutte, il solo e unico possibile, il garante della cosiddetta libertà civile e democratica e del pieno sviluppo della dignità umana (col cazzo). Bensì: il capitalismo è una prassi produttiva che deve essere superata - come non lo so, devo studiare, devo immaginare - perché:
a) l'umanità rischia di collassare per la sovrapproduzione e non per la carestia (anche se la carestia presente nel mondo è dovuta agli squilibri da sovrapproduzione).
b) è assolutamente insensato che la ricchezza prodotta rimpozzi soltanto e sempre nelle stesse cloache (qualcuno li chiama caveau - tengo al singolare per la nota storia che i vocaboli stranieri non si declinano)
c) la schiavitù del lavoro: chiunque per vivere (sussistere) è costretto a lavorare (a vendere la propria capacità o forza lavorativa per uno scopo che non gli appartiene, ovvero che appartiene ad altri che ne spremono plusvalore) è uno schiavo... del lavoro.
d) è domenica di luglio, vado a prendere il sole.

Un'aria diversa da quella

« Mi si ordinò di entrare nella casa di un contadino. Lentamente, dondolando il capo, riassettandomi le bretelle, mi misi in cammino sotto lo sguardo tagliente di quei signori. Avevo ancora la fiducia che una mia parola sarebbe bastata a liberarmi, io, il cittadino, a trarmi da quella folla di contadini, e anzi con onore. Ma quando ebbi oltrepassato la soglia della stanza, il giudice, che mi era balzato innanzi e già mi aspettava, disse: «Costui fa pena». Era evidente che egli non alludeva alla mia condizione presente, ma a quel che accadrebbe di me. La camera somigliava più a una cella carceraria che alla stanza di una casa rustica. Grandi pietre disquadrate, pareti scure e nude, in un punto un anello di ferro ribadito al muro, in mezzo qualcosa che stava tra la branda e il letto operatorio.
Saprei ancora respirare un'aria diversa da quella delle carceri? Ecco il gran quesito, o meglio ecco quel che sarebbe il gran quesito se avessi ancora la speranza di venir rilasciato. »

Franz Kafka, “Il colpo contro il portone”, in Il messaggio dell'imperatore, Adelphi, Milano 1981, vol. 2.

Due pensieri a margine di un post di Olympe de Gouges: è difficile immaginare un mondo diverso perché, come sosteneva Günther Anders, esiste una discrepanza tra quello che l'uomo riesce a produrre e quello che è in grado di immaginare. In altri termini: se fosse fatto un buon uso delle immense possibilità della produzione, tutti al mondo al mondo potremmo vivere bene. Cosa vuol dire fare buon uso della produzione? Risolvere una volta per tutte la contraddizione fondamentale che è in nuce nel concetto di merce e cioè: nella società capitalistica si producono merci non tanto per soddisfare bisogni, quanto – ed è questo lo scopo primario – per valorizzare il capitale anticipato per la produzione della merce stessa. In poche parole: il fine della produzione è esterno alla merce, la merce è soltanto il mezzo per avere indietro più di quanto è stato investito. La merce è prodotta per valorizzare il capitale...

[continuo domani]

venerdì 10 luglio 2015

Futuro senza lavoro?

Art City


Ma tu guarda. Se ne stanno accorgendo anche dalle parti di Washington che c'è qualcosa che non va.

«If we can develop the economic structures necessary to distribute the prosperity we are creating, most people will no longer have to work to sustain themselves. They will be free to pursue other creative endeavors. The problem, however, is that without jobs, they will not have the dignity, social engagement, and sense of fulfillment that comes from work. The life, liberty and pursuit of happiness that the constitution entitles us to won’t be through labor, it will have to be through other means.»

Quali altri mezzi? I genitali? Temo non saranno sufficienti a far sussistere tutti gli sfigati che non riusciranno più a vendere la loro forza-lavoro (nonostante l'ottimo Siffredi presto provvederà a insegnare a usarli al meglio a coloro che vorranno iscriversi alla sua Accademia).
Onestamente, il professor Vivek Wadhwa ammette

«We will surely create a few intellectually-challenging jobs, but we won’t be able to retrain the workers who lose today’s jobs They will experience the same unemployment and despair that their forefathers did. It is they who we need to worry about.»

Più avanti, addirittura, propone... ma sfruttiamo il lavoro robotico di Google Traduttore

«Con i progressi nel campo dell'intelligenza artificiale, qualsiasi lavoro che richiede l'analisi delle informazioni può essere fatta meglio dai computer. Ciò include i lavori di medici, avvocati, commercialisti e agenti di borsa. Avremo ancora bisogno di alcuni esseri umani di interagire con quelli che preferiscono il contatto umano, ma il lavoro sporco scomparirà. Le macchine avranno bisogno di molto pochi umani per aiutarli.
Questo futuro senza lavoro provocherà sicuramente problemi sociali - ma potrebbe essere l'occasione per l'umanità per elevare se stessa. Perché abbiamo bisogno di lavorare 40, 50, o 60 ore a settimana, dopo tutto? Proprio come stavamo meglio lasciando i posti di lavoro dell'agricoltura e delle terribilmente dure fabbriche del passato, potremo stare meglio senza il lavoro senza cervello in ufficio. Che cosa accadrebbe se potessimo lavorare soltanto 10 o 15 ore a settimana in qualunque settore e avere il tempo rimanente per il tempo libero, il lavoro sociale, o il raggiungimento della conoscenza?
Sì, ci sarà un settore del turismo e la ricreazione in forte espansione e saranno creati nuovi posti di lavoro in questi settori - per alcune persone (!).
Ci sono molte cose di cui essere entusiasti e molte cose da temere. Se siamo abbastanza intelligenti per sviluppare tecnologie che risolvono i problemi della malattia, la fame, l'energia e l'istruzione, potremo - e certamente accadrà (!) - sviluppare soluzioni ai nostri problemi sociali. Ma abbiamo bisogno di cominciare capire dove stiamo andando e prepararsi per i cambiamenti. Abbiamo bisogno di andare oltre le affermazioni di una fallacia luddista - per una discussione sul nuovo futuro.»

Ok, proviamo a discutere per veder sino a che punto i padroni del vapore staranno alla discussione o scateneranno la lotta per sacrificare belluinamente tanta parte d'umanità.

martedì 7 luglio 2015

Il problema d'un mendicante

« Io mi domando perché la realtà dev'esser semplice. La mia esperienza mi ha insegnato che, al contrario, non lo è quasi mai e che quando v'è qualcosa che sembra straordinariamente chiaro, un'azione che apparentemente obbedisce a una causa semplice, quasi sempre al di sotto vi sono i moti più complessi. Un esempio d'ogni giorno: la gente che fa l'elemosina; in generale, si ritiene che è più generosa e migliore di chi non la fa. Mi permetto di trattare col maggior disdegno una teoria così semplicistica. Chiunque sa che non si risolve il problema d'un mendicante (d'un mendicante autentico) con dieci centavos o un pezzo di pane: si risolve soltanto il problema psicologico del signore che in tal modo compra, per quasi nulla, la sua tranquillità spirituale e il suo titolo di generoso. Si giudichi sino a che punto possa essere meschina questa gente che non si decide a spender più di dieci centesimi al giorno per assicurare la propria tranquillità spirituale e l'idea riconfortante e vanitosa della propria bontà. Quanta maggior purezza di spirito e quanto maggior valore si richiede per sopportare l'esistenza della miseria umana senza questa ipocrita (e usuraia) operazione! »

Ernesto Sábato, Il tunnel, Buenos Aires 1961, edizione italiana Feltrinelli, Milano 1967 (traduzione di Paolo Vita-Finzi)

Chiunque sa che non si risolve il problema d'uno Stato (d'uno Stato debitore) con qualche miliardo di euro o un pezzo di pane: si compra soltanto del tempo, tempo per fare riforme strutturali  (ed è notorio quali strutture saranno riformate) e per far di nuovo alzare gli indici (indici? A me sembrano medi) borsistici che, per un certo periodo, daranno l'illusione che la tempesta è passata, che la strada intrapresa è quella giusta - e invece cresce la disoccupazione, la miseria si diffonde e la ricchezza si concentra in poche mani.
Rifiutare di capire che la crisi attuale (in corso da anni) non è una crisi economica (e politica) temporanea e/o ciclica, bensì è una crisi perdurante e definitiva, è la crisi strutturale del sistema economico e produttivo capitalista [*] - rifiutare questo dato oggettivo è coltivare l'illusione che questo sistema economico di rapina valoriale e collasso ambientale possa essere emendabile con delle riforme strutturali - e prima o dopo la sola riforma politica da praticare sarà la guerra. 

Marginale curiosità: vedasi la Siria. Dopo anni di conflitto, di devastazione, c'è qualcuno che sta alzando il ditino sul debito pubblico siriano delle parti¹ in lotta? In breve: per bombardare, i soldi si trovano sempre?

Sì.
via²

________________
¹Io spero vivamente vinca Assad.
² Notizia dello scorso marzo 2014.

giovedì 2 luglio 2015

Capitale costante vs Capitale variabile

Time

The Guardian
Luca De Biase, da cui ho appreso la notizia, scrive:
Già, ma di chi è la colpa? Un robot che normalmente dovrebbe essere tenuto alla larga dagli umani ha ucciso un collaboratore della Volkswagen che stava lavorando vicino alla macchina. Errore umano? Certamente. Ma errore di quale umano? Gli inquirenti che lo stabiliranno apriranno una nuova strada per il diritto.
Più che per il diritto, io presumo si apra una nuova strada per il rovescio (non solo del medaglione Volkswagen). E cioè: se i robot, un giorno, facessero fuori tutti i lavoratori, sparirebbe il lavoro o sparirebbero gli umani, ovvero agli umani non resterebbe altro destino che quello di essere confinati dentro i baccelli per fornire energia alle macchine, come narra la vicenda di Matrix?
O meglio: senza andare troppo in là con l'immaginazione: data l'insuperabile analisi marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto, il lavoro morto (i robot) ce la farà a sotterrare il lavoro vivo (il lavoratore) e a ottenere, esso solo, quello che è l'unico scopo sotteso al modo di produzione capitalistico, e cioè il valore?
No.

lunedì 29 giugno 2015

Gli Dei sanno le cose che saranno

Versione di Guido Ceronetti, in Come un talismano, Adelphi, Milano 1986
La gente non ode niente perché non crede più agli Dei. Ci credesse, date le oggettive condizioni, dopo averli bestemmiati, non sarebbe sbagliato perseguirli, non dico ucciderli ché essi, in quanto dèi, hanno il difetto di risorgere. No: di appiccicarli al muro, sì. Nel senso di: richiamarli alle loro oggettive responsabilità. 
Pallade Angela, che zampetti sovrana tra un vertice e l'altro, sai dirci quello che accadrà, o meglio: sapresti prenderti in carico per bene e definitivamente tutta l'intricata vicenda per darci un taglio una volta per tutte? Ho capito che la Grecia non è la DDR - ma insomma, tira il carro dei buoi che presiedi, trascina gli altri porcoddii che ti frullano intorno pendenti dalle tue labbra di frisona tedesca, dài una strizzata di palle al lussemburghese e via, tutti in vacanza sull'Olimpo, paga Krauss-Maffei Wegmann, e non se ne parli più.

domenica 28 giugno 2015

Fila al bancomat

Mettersi in fila al bancomat per prendere denaro e quindi mettersi in fila ai supermercati per comprare merce, immagino in primis derrate alimentari e ricariche telefoniche, chissà. Denaro, merce. Ma aspetta. Le signore e i signori che fanno la fila al bancomat in che maniera hanno ottenuto quel denaro depositato nelle banche? Presumibilmente, per la maggior parte di loro, il saldo del conto corrente è dovuto alla vendita della loro ‘capacità lavorativa’, cioè: dalla fila di ore giornaliere (di solito otto per il settore privato e - credo anche per la Grecia - un po' meno per il settore pubblico) dedicate al lavoro.
In breve: fila al bancomat, fila al supermercato, fila di ore lavorative. Che palle. 
Gran parte della vita consumata per il denaro e per la merce.
Vivere per avere denaro che consente di acquistare merce; acquistare merce per vivere.
Considerare questo meccanismo come cosa naturale, acquisita dall'umanità una volta per tutte e amen. Che condanna.

Eppure c'è una classe di persone, non molte, anzi poche, le quali sono al di fuori di questo vincolo, no, mi sbaglio: non ne sono fuori, ma, come dice Marx, trovano in esso un «appagamento assoluto» a scapito invece di coloro, la maggioranza delle persone, che lo vivono come «processo di riduzione in schiavitù»¹.

Io sono schiavo del mio fottuto stipendio (e devo ritenermi fortunato per averlo). Fottuto stipendio che mi serve per a per b per c per e - e, se fossi greco, per fare la fila al bancomat, al supermercato, per andare a votare un referendum a cazzo ritto (Syriza).

O santi dèi dell'Olimpo: dopo l'arco e la freccia e il sacro fuoco perché non regalate qualcosa ai comuni mortali per prenderlo in culo diversamente, magari godendo un po' di tanto in tanto?
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¹ Il Capitale, Capitolo VI inedito, [“Processo di valorizzazione del capitale, processo di alienazione del lavoro”].

domenica 14 giugno 2015

Il coraggio di essere cani

«Questi sono i problemi della nostra epoca, migrazioni dovute a guerre, estremismo, miseria, fame e cambiamenti climatici. Non possiamo pensare di arrenderci o soccombere ma nemmeno di nascondere il problema o scaricarlo sul vicino, bisogna avere il coraggio di essere adulti, chiamare tutti alle responsabilità e chiamare le cose con il loro nome. Costruire percorsi virtuosi (di accoglienza, studio, rispetto delle regole per chi ha i requisiti) e insieme meccanismi di rimpatrio e di aiuto ai Paesi da cui partono, ma evitare di voltare la testa dall’altra parte regalando migliaia di disperati al lavoro nero e alla criminalità organizzata. » Mario Calabresi, La Stampa, domenica14 giugno 2015.

«Bisogna avere il coraggio di essere adulti, chiamare tutti alle responsabilità e chiamare le cose con il loro nome».
Non riescono a chiamare le cose con il loro nome perché le cose hanno un nome che impedisce di essere pronunciato, perché se pronunci il nome di come stanno le cose veramente col cazzo che ti fanno essere direttore di un giornale a tiratura nazionale, col cazzo che ti danno la prima pagina e ti fanno fare il compitino domenicale per metterti in pace la coscienza.
Parlano, scrivono, intervengono dai loro piedistallo suggerendo lo stato d'animo giusto per affrontare le emergenze del giorno. Hanno un obiettivo: coinvolgere, responsabilizzare il pubblico riguardo agli accadimenti, ma non attivando il senso critico, piuttosto agendo sul lato emotivo, occorre guidare la massa là dove vuole il desiderio dei padroni del vapore. Due le opzioni possibili riguardo al problema del momento: la compassione (il salotto del pensiero buono: la Repubblica, La Stampa, il Corriere della sera...) o il linciaggio (il tinello del pensiero cattivo Il Giornale, Libero, Il Tempo...)
Che compito ingrato formare la pubblica opinione, quando la pubblica opinione non ha più alcuna voglia di essere formata. È una pubblica opinione riottosa, poco diligente, incapace di ascolto, stanca di ricevere i soliti messaggi bipolari: «si dovrebbe fare questo; no, si dovrebbe fare quello; intraprendere percorsi virtuosi; affondare i barconi».
Il capolavoro è quando gli opinion maker effettuano una chiamata di correo: bisogna «evitare di voltare la testa dall'altra parte». «Noi vogliamo restare umani»¹. Spalle al muro, col torcicollo e le mani sulle palle, quella buonanima del lettore cerca una soluzione, magari anche adeguandosi a quelle proposte dai priori dell'informazione. Ma che può, lui, in concreto, se non constatare che non è la sua testa o la sua umanità a determinare le sorti di migliaia di disperati? Di più: come non accorgersi che il lavoro nero e la criminalità organizzata non sono altro che modalità economiche collaterali, scimmiottamenti, altamente redditizi, del sistema produttivo capitalista? In buona sostanza - rivolgendomi soprattutto a Sofri che, suppongo, certe pagine le avrà lette - come mai gli umani emigrano così “sconsideratamente”?

«Ma se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario della accumulazione ossia dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa sovrappopolazione diventa, viceversa, la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione. Insieme con l’accumulazione e con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ad essa concomitante cresce la forza d’espansione subitanea del capitale non soltanto perché crescono l’elasticità del capitale funzionante e la ricchezza assoluta, di cui il capitale costituisce semplicemente una parte elastica, non soltanto perché il credito mette, ad ogni stimolo particolare, in un batter d’occhio, una parte straordinaria di questa ricchezza in veste di capitale addizionale, a disposizione della produzione. Le condizioni tecniche dello stesso processo di produzione, le macchine, i mezzi di trasporto ecc. consentono, sulla scala più larga, la più rapida trasformazione del plusprodotto in mezzi addizionali di produzione. La massa della ricchezza sociale che con il progredire dell’accumulazione trabocca e diventa trasformabile in capitale addizionale entra impetuosamente e con frenesia in rami vecchi della produzione, il cui mercato improvvisamente si allarga, oppure in rami dischiusi per la prima volta […] la cui necessità sorge dallo sviluppo dei rami vecchi della produzione. In tutti questi casi grandi masse di uomini devono essere spostabili improvvisamente nei punti decisivi, senza pregiudizio della scala di produzione in altre sfere; le fornisce la sovrappopolazione Il ciclo vitale caratteristico dell’industria moderna, la forma di un ciclo decennale di periodi di vivacità media, produzione con pressione massima, crisi e stagnazione, interrotto da piccole oscillazioni, si basa sulla costante formazione, sul maggiore o minore assorbimento e sulla nuova formazione dell’esercito industriale di riserva della sovrappopolazione. Le alterne vicende del ciclo industriale reclutano a loro volta la sovrappopolazione e diventano uno degli agenti più energici della sua riproduzione.» Karl Marx, Il Capitale, Libro I, sez. VII, cap. 23, 3.

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Note
¹ Nel secondo capoverso del suo editoriale, Adriano Sofri scrive: «Abbiamo due punti cardinali, noi. Il primo, la nostra stella, è il comandamento: restare umani». Proseguendo la lettura, confesso, non ho trovato il secondo: sarà stato un satellite.
² Grassetto mio.
³ Il titolo è riferito al «uo oh,  uo oh» della canzone di Marco Mengoni.

domenica 7 giugno 2015

Il TTIP ti tap

Il segreto non aiuta il TTIP. Come se l'opinione pubblica, sapendo e criticando, potesse fermare l'accordo. Tanto se lo vogliono fare, lo fanno. E sarà maiala per tutti.
«La globalizzazione ha bisogno di un controllo politico democratico» che andrebbe messo subito in opera prima che il TTiP prenda l'avvio in quanto nel «futuro non si potranno più cambiare le cose» dice Julian-Nida Rümelin (6' 00"), filosofo etico-politico tedesco. E aggiunge che una struttura all'uopo ci sarebbe ed è la Corte Penale Internazionale; purtroppo gli USA non ne fanno parte. Già. Ecco perché George W. Bush non è giudicato per crimini contro l'umanità per tutto il vespaio che ha sollevato in Iraq.


Comunque, in linea di massima, non sono contro a priori al TTIP: bisognerà pur accelerare il processo verso l'apocalisse.

venerdì 5 giugno 2015

«Il salto politico necessario per porci»

«Non c'è un'istituzione rovinosa che dia fiore, nel mondo, come l'oro. È la rovina degli Stati, caccia via di casa la gente; e poi fa scuola, travolge menti oneste a imprese turpi, insegna le abitudini perverse e a praticare qualunque empietà» Sofocle, Antigone. 

Gente come Giavazzi ciurla nel manico, dice e non dice, accenna, smozzica frasi, oracoleggia, sticazzeggia, peggio della Merkel e delle altre autorità europee competenti che da anni tengono sulla graticola la Grecia. 
Editorialisti economici che riproducono le solite accuse che pure i sassi hanno capito: i greci hanno troppi dipendenti pubblici e pochi dipendenti privati, e tic toc e tic toc: cosa s'ha da fare, Giavazzi? S'hanno ad ammazzare?
Però non dicono che i dipendenti pubblici la Grecia li aveva pure assunti coi prestiti avuti dagli Stati e dalle Banche d'Europa - che per carità hanno sbagliato anche loro!, s'affretta a dire il Giavazzi - in primis Germania e Francia (hanno speso più in insegnanti o in carri armati i Greci? Non sia mai detto, questo, vero Giav'?).

Stringi stringi, Giavazzi dice: i greci non vogliono diminuirsi, cazzi loro, sappiano che se default sarà, merda arriverà. L'Europa più che altro dovrebbe preoccuparsi della Grecia per ragioni geopolitiche, la Turchia vicina, e cip cip. Cioè: se la Grecia fosse incastonata al posto del Liechtenstein non ci sarebbero problemi nel farla fallire.
Bellino Giavazzi quando scrive: i greci «hanno scelto, spero consciamente, di rimanere un Paese con un reddito pro capite modesto». I greci hanno scelto. Lui spera consciamente. Di barbartelo nel culo. Ti piacerebbe, Giavazzi?
Chiacchierino: sempre a parlare di «rendere l'economia più efficiente». Ma che cazzo vuoi efficientare dal punto di vista del capitale, in Grecia, in Europa, nel mondo?
Prova a leggere, per rifiutare, chiaramente, perché le vostre idee efficienti sono deficienti - e ciò accade perché non capite un cazzo di economia. Un cazzo di nulla. O meglio: capite tantissimo, da premi nobel, per far star bene economicamente e rendere prospera solo una classe sociale: quella dei padroni, in ciò espletando perfettamente il vostro compito di servi.

domenica 31 maggio 2015

Lo Stato è...

... «un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'ordine; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato.»
[...]
«Per mantenere questo potere pubblico sono necessari i contributi dei cittadini: le imposte. Esse erano completamente ignote alla società gentilizia. Ma noi oggi le conosciamo fin troppo bene. Col progredire della civiltà, anche le imposte non bastano più; lo Stato firma cambiali per il futuro, ricorre a prestiti, a debiti pubblici. E anche di questo la vecchia Europa ne sa qualcosa.
In possesso della forza pubblica e del diritto di riscuotere imposte, i funzionari appaiono ora come organi della società al di sopra della società. La libera, volontaria stima che veniva tributata agli organi della costituzione gentilizia non basta loro, anche se potessero riscuoterla; depositari di un potere che li estrania dalla società, essi devono farsi rispettare con leggi eccezionali in forza delle quali godono di uno speciale carattere sacro e inviolabile. Il più misero poliziotto dello Stato dell'epoca civile ha più autorità di tutti gli organi della società gentilizia presi insieme, ma il principe più potente, e il maggiore statista o generale dell'età civile possono invidiare all'ultimo capo gentilizio la stima spontanea e incontestata che gli viene tributata. L'uno sta proprio in mezzo alla società, l'altro è costretto a voler rappresentare qualcosa al di fuori e al di sopra di essa.
Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato dei possessori di schiavi al fine di mantener sottomessi gli schiavi, così lo Stato feudale fu l'organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale. Eccezionalmente tuttavia, vi sono dei periodi in cui le classi in lotta hanno forze pressoché eguali, cosicché il potere statale, in qualità di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di fronte ad entrambe. Così la monarchia assoluta dei secoli XVII e XVIII che mantenne l'equilibrio tra nobiltà e borghesia; così il bonapartismo del primo e specialmente del seconde impero francese che si valse del proletariato contro la borghesia e della borghesia contro il proletariato. »


Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1884

Il presente brano sia la premessa necessaria per capire quel che sta accadendo in Grecia e quel che probabilmente accadrà in Italia. Ne riparliamo.

sabato 30 maggio 2015

Per favorire la mobilità sociale

«Piketty da Trento ha anche dato la 'ricetta' per favorire la mobilità sociale in Europa: investire di più in formazione per i giovani, permettere la meritocrazia, affinché non siano sempre e solo i figli delle élite ad accedere alle università eccellenti, applicare una tassazione forte e uguale in tutta l'eurozona per le multinazionali, evitando di imporre pesi fiscali alle piccole medie imprese, abolire i paradisi fiscali e l'opacità finanziaria che permette a Paesi come la Svizzera di usare le fasce contributive di loro vicini.»

Oggi pomeriggio, munito della ricetta del dottor Piketty, sono andato in farmacia a prendere le medicine «per favorire la mobilità sociale in Europa».
Ne sono uscito con lattulosio, solfato di magnesio e un enteroclisma.

Qualcosa ha cominciato a muoversi, in Europa.

venerdì 29 maggio 2015

Una pigrizia generale

via
La politica che un paese esprime è il riflesso condizionato di quello che esprime il popolo di quel paese. Nella fattispecie, il popolo italiano che cosa esprime? A parte il sempiterno mugugno da malcontento, il desiderio politico degli italiani non è quello di una società più giusta, equa, prospera e solidale, ma è quello di veder soddisfatto il proprio interesse particolare, relegando l'interesse generale ai discorsi ufficiali che le massime autorità dello Stato tengono nelle varie occasioni comandate – e niente è più vacuo, inutile, disatteso di un discorso presidenziale.
Che cosa c'è alla base della nostra attesa politica? Avere una casa, un'auto, in breve: avere accesso ai beni di consumo per avere i quali occorre, per la stragrande maggioranza degli individui, vendere a ore la propria forza lavoro.
Quindi, si lavora principalmente per sussistere.

Se non c'è alcun progetto politico che azzardi a immaginare un tipo di società diversa da quella della sussistenza, è perché fondamentalmente il popolo non ha altra mira, altra ambizione che quella di veder soddisfatti, più o meno decentemente, i propri bisogni primari e, quando è grassa, anche alcuni secondari, per esempio quelli ricreativi, che vedranno domani tante famiglie allegramente andare a trascorrere brevi vacanze repubblicane fuori porta.

Siano giorni lieti per tutti, soprattutto se serviranno per non andare a votare.

« Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi dei prodotti della società, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione.
Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività e prenderebbe piede una pigrizia generale.
Da questo punto di vista, già da molto tempo la società borghese dovrebbe essere andata in rovina per pigrizia, poiché in essa coloro che lavorano, non guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano. Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c'è più capitale non c'è più lavoro salariato.» K.Marx-F.Engels


sabato 23 maggio 2015

La rivoluzione a tavola (senza antipasti)

Alcune sere or sono, in una trasmissione di chiacchiere su La 7, ho sentito il professor Umberto Veronesi affermare che, in un futuro prossimo, essere vegetariani diventerà una necessità per far fronte alla sostenibilità ambientale, in quanto l'aumento demografico e di esseri umani e di animali da allevamento comporterà il problema di come sfamare gli uni e gli altri, dati i limiti intrinseci della produzione agricola possibile sul nostro (nostro?) pianeta.

Il ragionamento, frutto dell'armamentario ideologico borghese, offre l'idea che se la specie umana diventasse vegetariana, la questione alimentare e il rischio ambientale sarebbero presto un ricordo. Ma siamo sicuri che cambiare «tipo di consumo» mantenendo lo stesso «modo di produzione»¹ sia la panacea di tutti i mali che affliggono l'umanità?

A tale proposito, con garbo e dovuto rispetto, vorrei porre al professor Veronesi le seguenti domande:

1. Perché la presenza umana sul pianeta aumenta così considerevolmente e, soprattutto, perché aumenta in certe zone del mondo e non in altre? Detto altrimenti: perché nel terzo mondo figliano come bestie, mentre nel primo v'è una più rarefatta inseminazione?
2. L'agricoltura e l'allevamento, attività del settore primario, hanno come obiettivo il soddisfacimento dei bisogni alimentari dell'intera umanità e a questo sono indirizzate le tecniche produttive, oppure sono anch'esse attività teleologicamente orientate verso il mero profitto? In breve: qual è la ragione sociale delle industrie agro-alimentari, nazionali o multinazionali, del settore?
3. Il cannabalismo (ammazzare un Adinolfi o un Ferrara all'anno) potrebbe essere più risolutivo?

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¹Suggerisco la seguente lettura.