«Così come il
migliore degli astronomi, nonostante il suo sapere copernicano,
soggiace comunque alla sensazione del “sorgere” del sole, la più
decisa analisi marxista dello Stato capitalistico non potrà mai
sopprimere la sua realtà empirica. E neppure lo deve. La conoscenza
marxista deve far sì che il proletariato assuma un atteggiamento
spirituale nel quale lo Stato capitalistico si presenti, nel momento
in cui viene osservato, come un elemento dello sviluppo storico. Esso
non costituisce perciò “il” mondo circostante “naturale”
dell'uomo, ma soltanto un reale dato di fatto, del cui potere
effettivo occorre tener conto, ma che non può di per se stesso
pretendere di determinare le nostre azioni. La validità dello Stato
e del diritto deve quindi essere trattata come un fatto meramente
empirico. Nello stesso modo un aliante deve adeguarsi alla direzione
del vento, non perché sia esso a determinare la sua rotta, ma al
contrario per attenersi alle mète originariamente fissate,
utilizzando il vento ed a suo malgrado. Eppure, questa
spregiudicatezza che l'uomo ha acquisito a poco a poco di fronte agli
avversi poteri della natura nel corso di un lungo sviluppo storico,
manca ampiamente ancora oggi al proletariato di fronte ai fenomeni
della vita sociale. E con ciò è ben comprensibile. Infatti, benché
nei casi particolari le regole coercitive della società siano tanto
duramente e brutalmente materiali, tuttavia il potere di ogni società
è essenzialmente un potere spirituale, e da esso ci può liberare
soltanto la conoscenza: non certo la conoscenza astratta, puramente
cerebrale che è propria anche di molti “socialisti”, ma una
conoscenza che sia divenuta carne e sangue, una “attività
critico-pratica” secondo le parole di Marx.
L'attualità della
crisi del capitalismo rende una simile conoscenza tanto possibile
quanto necessaria. Essa diventa possibile per il fatto che, a causa
della crisi, la vita stessa fa apparire visibilmente ed in modo
direttamente esperibile la problematicità del mondo circostante
sociale abituale. Ma essa diventa decisiva e quindi necessaria per la
rivoluzione perché il potere effettivo della società capitalistica
viene scosso al punto che essa non è più in grado di imporsi con la
violenza, nel momento in cui il proletariato contrappone
coscientemente e decisamente il proprio potere al suo. È un elemento
di natura ideologica che impedisce un simile agire. Ancora durante la
crisi mortale del capitalismo, le larghe masse del proletariato
sentono lo Stato, il diritto e l'economia della borghesia come
l'unico mondo circostante possibile della loro esistenza, nel quale
indubbiamente molte cose debbono essere migliorate (“organizzazione
della produzione”), ma che forma tuttavia la base “naturale”
della società.»
György Lukács, Storia e coscienza di classe, ("Legalità ed illegalità", II).