Non
ho più niente tra le mani, solo un sogno, potrebbe anche essere un
segno del destino, ma non lo prendo in considerazione perché la
simbologia mi annoia, quel che vedo, è – e il gioco è fatto, inutile interpretare, ché se poi le interpretazioni non collimano coi nostri
desideri, restiamo delusi e io piuttosto mi annuso le mani per capire
se quel niente che è rimasto sia la risultanza di un sogno
o di un incontro realmente avvenuto, di passi realmente compiuti in
un giorno di vento, sospesi sul selciato come i gerridi sull'acqua,
senza affondare nell'illusione di amarsi anche solo per un minuto, ma
di crederlo ogni minuto possibile, a portata di mano.
venerdì 31 marzo 2017
mercoledì 29 marzo 2017
L'amore che
L'amore
che portavo non aveva
la
coscienza del peso
stava
sospeso
tra
la terra e il cielo –
un
aquilone teso
dal
vento che soffiava.
L'amore
che mordevo non aveva
consistenza:
era
come
l'aria o il canto
di
una capinera –
allo
stomaco bastava
la
voce che incantava.
L'amore
che perdevo non aveva
persistenza:
era
come
perdere niente
al
tavolo da gioco
senza
aver puntato niente –
un
amore che non c'era.
L'amore
che fingevo non aveva
l'avvertenza
di esser finto:
si
fingeva vero
per
non darsi per vinto –
era
un amore a metà
tra
finzione e verità.
L'amore che ora basta non aveva
la pazienza: era
un amore che faceva
di sé anche senza –
un amore camminante
principio di sé bastante.
L'amore che ora basta non aveva
la pazienza: era
un amore che faceva
di sé anche senza –
un amore camminante
principio di sé bastante.
Per raccontarci la complessità
«Buongiorno ragazzi. Oggi è venuto a trovarci Roberto Saviano per raccontarci la complessità del reale».
«Professore, ci scusi: ma non ce lo aveva detto anche lei che il Reale è complesso?»
Battute liceali a parte, mi permetto di suggerire al nostro più famoso intellettuale contemporaneo da esportazione (che secondo me si trova ancora a New York), di presentarsi, nelle aule magne dei vari licei o istituti tecnici, con argomenti sempre complessi, ma un po' più definiti, come ad esempio la taglia di reggiseno della modella curvy.
«E se non la sapesse?»
«E che cazzo l'ha intervistata a far?».
lunedì 27 marzo 2017
Tra il web e le nostre relazioni
«Il cinema può insegnare tante cose. Può aiutarci a riflettere, a superare barriere e pregiudizi, a scoprire il valore delle diversità, a riflettere criticamente. Può aiutarci a contrastare quella violenza verbale che circola sempre più velocemente tra il web e le nostre relazioni umane. Quando si diffondono fenomeni come quello, con modalità diffuse di linguaggio violento, non sono sufficienti gli appelli per correggerli. Servono anche linguaggi altrettanto efficaci. Immagini, messaggi che scuotano le coscienze. E che vengano proposti con efficacia, anche con leggerezza.»
Sergio Mattarella, discorso quirinalizio per la presentazione dei candidati ai Premi "David di Donatello" per l'anno 2017.
Un po' per ricordare un grande attore e un po' per non scomodare Stanley Kubrik m'è sembrata la maniera migliore per rispondere, con tutto il rispetto, a un discorso del cazzo.
domenica 26 marzo 2017
Il caveau vaticano
«Il popolo, quando si abitua dir che sei bravo, pure che non fai niente, sei sempre bravo»
Ettore Petrolini, Nerone
Nella contrapposizione scenica tra i Trattati di Roma e la Visita Pastorale del Papa a Milano, m'è parso di sentire una vocina, dai tratti vagamente populisti - non saprei dire se di destra o di sinistra -, che ha detto, giuppersù :
«Mentre il Palazzo pensava ai trattati e alle firme, il Papa pensava alle periferie e ai carcerati».
Bravo.
Grazie.
Orbene, molto ingenuamente (quindi senza entrare in disamine storiche economiche e sociali) domandiamoci: perché il potere politico, compreso nelle sue varie declinazioni (nazionali, comunitarie), non riesce ad avere un seguito e un consenso popolari minimamente analoghi a quello di un'autorità religiosa come quella papale?
Proviamo a rispondere con un'altra domanda: i poveri hanno più bisogno del Papa o il Papa dei poveri? Se tutta quella gente delle case popolari milanesi fosse stata invitata a cena al Quirinale, viaggio compreso, con marito del Lussemburgo (o moglie del Lichtenstein) di accompagnamento al seguito, pensate che sarebbe restata comunque ad “abbracciare” il Papa lungo le transenne o si sarebbe accontentata di fargli ciao ciao con la manina dal treno o dall'aereo?
Ma soprattutto: sei i rapporti, le relazioni di riproduzione sociale delle genti superassero la fase storica del capitalismo per accedere a una dimensione altra, inedita, di tempo liberato (e ritrovato), di lavoro non più schiavo del soggetto automatico (il capitale) che cerca soltanto la propria valorizzazione (non certo quella delle umane genti); una dimensione in cui i rapporti di classe scomparissero e le relazioni sociali non fossero più preda della classica dinamica padrone-schiavo, pensate che la società, la gente, avrebbe ancora bisogno dei guardiani (della politica) e dei sacerdoti (della religione)?
sabato 25 marzo 2017
Chiattona curvy magna gelato
1.
«Frasi shock di De Luca: chiama chiattona la consigliera M5s».
È
un mio difetto: ma quando leggo “shock”, qualunque cosa sia stata
detta o epiteto attribuito, mi sciocca meno della
parola shock.
2.
«Roberto Saviano incontra la modella curvy più famosa del mondo».
Sono scioccato dall'abbigliamento, soprattutto dal copricapo, del
nostro intellettuale contemporaneo da esportazione: sembra diventato un uomo
immagine di Zalando. A margine, mi sia consentito rivolgergli un paio di
innocenti domande: innanzitutto, vorrei sapé se alla bella chiattona
'mmericana je legge 'a robba sua o 'na poesia de la Szymborska per
farla ammorbì come un involtino burro e salvia; e 'nfine vorrei sapé: a' Savià,
quanno sterzi, curvy?
3.
«Colore, gusto, prezzo: 7 mosse per riconoscere il gelato di
qualità».
Pensavo
bastassero una coppetta o un cono.
venerdì 24 marzo 2017
L'airbag di Davide
Chissà se al buio dei recenti tentativi di strage compiuti a Londra e ad Anversa, le case automobilistiche inizieranno a progettare per i veicoli dei dispositivi anti attentatori suicidi di matrice islamica isissiana, alqaediana e salcazziana; dispositivi che, appena tali tristi figuri saliranno in auto carichi di odio e anfetamine e pronunceranno qualcosa sul loro Dio unico con in testa la prospettiva del paradiso con delle vergini ad attenderli, gli esploderanno in faccia una specie airbag carico di bromuro in quantità sufficiente da impedirgli erezioni persino nell'aldilà.
***
Pare che una cospicua parte degli ebrei residenti in Francia, in particolare della zona di Tolosa, si sia trasferita in Israele, perché non si sente (credo a ragione) più sicura di vivere intorno a tanta gente che ritiene un martire e un eroe quella merdina secca che compì una strage in una scuola ebraica della città. Probabilmente avrei fatto lo stesso, se fossi ebreo (anche se tendenzialmente lo sono pur non essendolo, dato che tanta parte di me si è abbeverata da fonti ebraiche).
Alla luce di questo fenomeno, mi sono chiesto: ma se tutti gli ebrei della diaspora volessero emigrare in Israele, ci sarebbe posto per tutti? Quanti sono gli ebrei sparsi nel mondo (senza contare quelli nello spazio)? Una quindicina di milioni. Forse non ci starebbero tutti (anche a grattare altra terra). Forse non sarebbe male per Israele avviare o rinforzare una politica di sostegno alle varie comunità ebraiche sparse per il mondo (salvo la statunitense, già forte di per sé).
Infine, in qualità di potenziale ebreo agnostico, mi si conceda un suggerimento irriverente per i tribunali rabbinici: offrire una conversione all'ebraismo in automatico a tutti i lettori di... scegliete voi quale autore, da Kafka in giù: credo che vi sarebbe in un considerevole aumento demografico senza le complicazioni della gravidanza.
mercoledì 22 marzo 2017
Somebody's In Love
C'è
stato un giorno, non mi ricordo quale, forse era autunno ma potrei
anche sbagliarmi, in cui percorrendo il tratto consueto lavoro casa,
in auto, ascoltando chissà quale canzone, per me inedita, canzone
che toccò qualche corda del simpatico tra petto ascella e
cartilagine auricolare, che ebbi la netta sensazione di innamorarmi
di qualcuno senza sapere chi fosse, uomo donna cane, era tutto
incerto, finché convenni che si trattasse di una aspirante
veterinaria, in procinto di sostenere una tesi sugli equini e il loro
standard riproduttivo. Era bella, lo sentivo, anche se non l'avevo
mai vista di persona, soltanto letta, tra le righe di un commento a
una mia vecchia poesia che mai avrebbe sperato, la poesia, di farsi
apprezzare da una studiosa di genetica equestre.
Fui
incuriosito dai suoi apprezzamenti. Scrisse che i miei versi
trottavano e galoppavano insieme. Io ci credetti e le detti briglia, tanto che intavolammo un discorso via chat che in pochi giorni ci fece
raccontare tutto di noi, persino del vestito che indossavamo per la
cresima. Lei era vestita con una tonaca bianca, da suorina, mi disse, mentre io avevo un
giubbino di velluto e una faccia emaciata tale che sembrava mi
stessero per dare le stimmate. Lei rise e mi chiese della Verna, di
San Francesco e se c'ero mai stato a Sasso Spicco. Io le dissi di
sì, con la prima fidanzata, quella vera, quella che mi fece
sentire la profondità dell'essere, per capirsi, allusioni poco
raffinate, lo ammetto, ma non potevo fare altrimenti, in qualche modo
dovetti accennarle che io e la mia ragazza, al tempo, facevamo l'amore spesso, in auto, defilati nel parcheggio del Santuario, i finestrini appannati, tanto che se un
frate ci avesse bussato per sapere se eravamo vivi, la mia ragazza –
ricordai – era pronta a disegnarle un fallo, il mio, come una
madonnara dionisiaca. «E anche tu avresti disegnato
qualcosa?», mi chiese la laureanda in veterinaria. E io, per darmi
un tono, le scrissi: «Sì, il suo sorriso. Post coitum». Peccato
non sapesse il latino, o non se lo ricordasse, o la sua educazione
rigida imposta dal padre federmaresciallo delle poste le impedisse di
credere che esisteva qualcosa che si chiamasse godimento svincolato
dalla riproduzione. Comunque proseguimmo il discorso, prima sui
massimi sistemi, io credevo ancora nel centrosinistra, mentre
lei era una genericamente antisistema, un po' destrorsa forse, chissà. Puttanate. Ma cosa non si ascolta, cosa non si
scrive per amore o presunto tale. Ci si adatta, si fanno digressioni,
si parla persino della raccolta differenziata. Ora che ci penso, un
nesso c'era se attaccai bottone sulla raccolta differenziata. Dato che non la vedevo - non voleva usare la videocamera - io immaginavo la laureanda avente lo stesso colore degli
occhi e la stessa intensità della responsabile dell'azienda di
raccolta rifiuti della mia città, che ebbi modo di conoscere a un
convegno dove eravamo entrambi relatori, lei per ovvi motivi, io
perché mi fu commissionato di scrivere una poesia sull'inquinamento
e la difesa dell'ambiente, una poesia inutile, che però fece ridere
gli astanti e conquistarmi la grazia dello sguardo di topazio della
responsabile, avrei potuto restare a guardarla per un'ora, glielo
dissi, lei me ne concesse mezza, fu come toccare la metà del
cielo. E così immaginavo la mia interlocutrice di tal fatta, e mi domando soltanto adesso quale esercizio di immaginazione lei facesse per immaginare me. Per la verità le inviai una foto, una specie di selfie fatto con una reflex giapponese, in cui abbracciavo la statua di Charlie Chaplin, e lei rise dicendomi che non si capiva quale dei due fosse veramente Charlot. Non ricordo se ne fui lusingato, credo di no, ma pazienza, non potevo certo risponderle che in quel momento ce l'avevo più duro della statua, non mi avrebbe creduto, figuriamoci, poi una che aveva a che fare con l'apparato genitale equino, quale equivoco, quale amore avrei mai potuto aspettarmi, fu meglio abbandonare subito la partita, non che fosse un gioco, o un sollazzo, era soltanto un altro modo per capire che innamorarsi, anche per un minuto, anche per illudersi di riprovare la medesima sensazione della prima volta in cui lo siamo stati, non è mai un gioco a somma zero.
lunedì 20 marzo 2017
Come Penelope
In
tempi recenti
ho disfatto i miei sogni
più
in fretta di quanto potessi
sognare
di averti
ancora una volta
dentro quei sogni
a
raccontarmi la storia
di me che sognava
rapirti¹
lasciandoti andare.
All'alba io disfo i miei sogni
come
Penelope la tela
perché la sera ritorni
a ricomporre
il puzzle di corpi
che sembrano morti
e sparsi
sotto lenzuola sudate
di parole e respiri
riarsi.
Quei corpi sognati -
che non si danno mai pace
perché lo sono.
(Dei corpi in viaggio
lontani
era perduta la voce
rimaste soltanto
le mani).
__________
¹ Le «salmastre parole» erano già prese.
__________
¹ Le «salmastre parole» erano già prese.
domenica 19 marzo 2017
La pagliuzza dei voucher
Dato che difficilmente sarò mai invitato nel salotto della Gruber a dire «ma che cazzo dite, stronzi» agli altri ospiti, oste compresa, stamani, da marxiano dilettante che ogni tanto risfoglia pagine del libro che lo hanno fatto diventare tale, mi cimento a dir qualcosa sulla questione dei voucher; più in generale: sulla questione del lavoro precario, sottopagato, sfruttato, a tratti schiavizzato... Questione che, a me pare, sia dialetticamente malposta perché pone il lavoro sempre come servo (schiavo) del capitale.
Mi spiego.
È incontestabile che, nel corso degli anni, la produttività del lavoro è aumentata in modo esponenziale, conseguentemente all'accrescimento smisurato del capitale fisso (lavoro morto): infatti, se cento anni fa per produrre una merce occorrevano dieci ore di lavoro vivo, oggi invece occorrono dieci minuti (o anche meno). In pratica, la costante, ineluttabile, ricerca della produttività, pena l'estinzione nella competizione capitalistica, ha spinto il lavoro vivo sempre più ai margini della produzione.
Paradossalmente, a fronte di questo, la durata media della giornata lavorativa è invariata e la forza lavoro continua a essere sfruttata al massimo, mediante moderne e merdose modalità contrattuali [inaugurate in Italia dal pacchetto Treu, proseguite con la legge Biagi, e concluse (?) con il Jobs Act renziano], perché è soltanto l'estorsione del pluslavoro a determinare il plusvalore. Il capitalista serio sa bene che senza sfruttamento non c'è reale arricchimento. C'è quello fittizio creato dalla finanziarizzazione (che, prima o poi, provocherà sul pianeta una esplosione e un cratere più grosso di quello del meteorite che, pare, dette l'avvio all'estinzione dei dinosauri).
Eppure, nonostante le nuove tecniche di sfruttamento, la valorizzazione reale del capitale non ottiene i risultati sperati: dalla forza lavoro spremuta dai voucher, dai contratti atipici, dalle partite iva e dai tempi determinati, si ottiene poco succo, qualche goccia sparsa di profitto¹ per far contenti i gonzi e i soliti squali.
Lavori superflui, improduttivi, inutili, faticosi, stressanti, tempo sprecato, alienazione pura.
Dove sta la contraddizione? Proviamo a leggere da Il Capitale, Libro I, cap. 15, par. 4
Intensità
e forza produttiva del lavoro in aumento e contemporaneo
abbreviamento della giornata lavorativa:
«L’aumento
della forza produttiva del lavoro e la sua crescente intensità
agiscono uniformemente in una direzione. Entrambi aumentano la massa
dei prodotti ottenuta in ciascun periodo di tempo. Entrambi
accorciano quindi quella parte della giornata lavorativa di cui
l’operaio abbisogna per la produzione dei propri mezzi di
sussistenza o del loro equivalente. Il limite minimo assoluto
della giornata lavorativa è in genere formato da questa sua parte
costitutiva necessaria ma contrattile. Se tutta la
giornata lavorativa si riducesse a quella parte, il pluslavoro
scomparirebbe, il che è impossibile sotto il regime del capitale.
L’eliminazione della forma di produzione capitalistica
permette[rebbe] di limitare la giornata lavorativa al
lavoro necessario. Tuttavia quest’ultimo, invariate rimanendo
le altre circostanze, estenderebbe la sua parte: da un lato, perché
le condizioni di vita dell’operaio si farebbero più ricche e le
esigenze della sua vita maggiori. Dall’altro lato, una parte
dell’attuale pluslavoro rientrerebbe allora nel lavoro necessario,
cioè nel lavoro necessario per ottenere un fondo sociale di riserva
e di accumulazione.
Quanto
più cresce la forza produttiva del lavoro, tanto più può essere
abbreviata la giornata lavorativa, e quanto più viene abbreviata la
giornata lavorativa, tanto più potrà crescere l’intensità del
lavoro. Da un punto di vista sociale la produttività del lavoro
cresce anche con la sua economia. Quest’ultima comprende non
soltanto il risparmio nei mezzi di produzione, ma l’esclusione di
ogni lavoro senza utilità. Mentre il modo di produzione
capitalistico impone risparmio in ogni azienda individuale, il suo
anarchico sistema della concorrenza determina lo sperpero più
smisurato dei mezzi di produzione sociali e delle forze-lavoro
sociali oltre a un numero stragrande di funzioni attualmente
indispensabili, ma in sé e per sé superflue.
Date
l’intensità e la forza produttiva del lavoro, la parte della
giornata lavorativa sociale necessaria per la produzione materiale
sarà tanto più breve, e la parte di tempo conquistata per la libera
attività mentale e sociale degli individui sarà quindi tanto
maggiore, quanto più il lavoro sarà distribuito proporzionalmente
su tutti i membri della società capaci di lavorare, e quanto meno
uno strato della società potrà allontanare da sé la necessità
naturale del lavoro e addossarla ad un altro strato. Il limite
assoluto dell’abbreviamento della giornata lavorativa è sotto
questo aspetto l’obbligo generale del lavoro. Nella società
capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la
trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle
masse.»
Leggetelo due o tre volte, con attenzione.
_____________________
Leggetelo due o tre volte, con attenzione.
_____________________
¹ Come scrive Olympe de Gouges: «profitto e plusvalore non sono la stessa cosa».
venerdì 17 marzo 2017
Ha detto inclusiva
Il superministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaüble, in occasione del prossimo G20 a guida tedesca, ha scritto un discorso solenne che, in alcuni passaggi, manifesta un malcelato spirito imperialista. Innanzitutto difende, con inguaribile protervia, la bontà del rigore e dell'austerità tracciati dalla politica economica europea riassunta nei parametri di Maastrich:
«C’è ancora lavoro da fare per aumentare la resilienza dell’economia globale agli shock improvvisi. Perciò una delle priorità del G20 di quest’anno sarà impedire che scoppino altre crisi finanziarie ed economiche come quelle del 2008-2009, che sono state provocate da un modello di crescita miope, basato sul debito». Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/P9ivGZ
Successivamente, dato che l'orizzonte politico del G20 non è delimitato dai confini europei, Wolfgang Schaüble, da bravo mercantilista, osserva come, in prospettiva, il continente africano, nei prossimi decenni, possa garantire nuove forze alla infiacchita globalizzazione (che legge sempre al servizio delle imprese tedesche e del conseguente bisogno di export). In quale maniera? Presto detto:
«Il G20, sotto la presidenza tedesca, sta lavorando per intensificare la cooperazione con l’Africa. Un pilastro centrale in questo senso è il Compact with Africa che fornisce un quadro per sostenere gli investimenti privati, anche infrastrutturali. Noi proponiamo che, con il sostegno politico del G20, i governi africani, le organizzazioni internazionali e i partner bilaterali approntino dei piani di investimento a misura di ogni Paese per promuovere gli investimenti nel settore privato. Ogni Paese deve adottare un pacchetto di misure ad hoc per ridurre i rischi d’investimento. Il Compact with Africa è un’iniziativa che contribuirà alla concretizzazione del piano per lo sviluppo economico dell’Agenda 2063 promossa dall’Unione africana. L’Agenda dell’Unione africana fornisce le linee guida per migliorare il quadro macroeconomico, commerciale e finanziario del Continente.»
Orbene, alla luce di tali dichiarazioni d'intenti, se le nazioni africane dovessero avallare il [Fiscal?] Compact with Africa, temo che esse si troveranno, nel volgere di pochi anni, nelle medesime condizioni finanziarie della Grecia. E senza neanche il Pireo come pegno.
giovedì 16 marzo 2017
Giovani turchi
Com'era facilmente prevedibile...
Adesso c'è da chiedersi se nel 2018 Matteo Orfini, tramite il governo Gentiloni, riuscirà a convincere Erdogan di farsi mandare qualche ministro turco da rispedire indietro alla frontiera.
mercoledì 15 marzo 2017
Il peccato del lavoro
"Ognuno deve poter vivere del proprio lavoro: questo è il principio enunciato. Da questo discende che la condizione per poter vivere è il lavoro, e che non esiste il diritto di vivere se non si adempie a tale condizione".
Johann Gottlieb Fichte, Fondamenti del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza, 1797 [via]
Ha detto Papa Francesco che
«Chi per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari chiude fabbriche, chiude imprendimenti lavorativi e toglie il lavoro agli uomini, fa un peccato gravissimo.»
e molti potrebbero pensare che questo sia un discorso di sinistra, addirittura comunista e tra quelli più duri e accesi ultimamente pronunciati da pubblica autorità. Ebbene, sappiate, o molti che potreste così pensare, che così pensereste male, ché il discorso del papa è analogo pari pari a quelli che ha fatto Trump per essere eletto, a Putin per essere amato, e a tutte le altre Potestà e gli altri Principati che si prodigano di dare lavoro agli uomini purché non abbiano a lavorare loro.
Il Papa e gli altri non sanno o fingono di non sapere che gli «imprendimenti lavorativi» il lavoro lo tolgono di già agli uomini che lavorano, estraendone il succo principale e lasciando a essi la ridotta capacità di sussistenza. Gli uomini sono costretti a lavorare per vivere, ché altrimenti, a pari condizioni, col cazzo che si metterebbero a lavorare per le fabbriche che producono questo e quello sempre e comunque a beneficio non del lavoro, ma del capitale e di coloro che ne rivestono i panni.
Se le fabbriche chiudono è perché la produzione, nel sistema capitalistico, ha un unico fine: accrescere la quantità di capitale investito nella produzione stessa; in caso contrario, quando la produzione risulta improduttiva è naturale che le fabbriche chiudano o siano allocate altrove per ottenere dal pluslavoro il plusvalore di cui il capitale si appropria al fine della sua (e non del lavoratore) valorizzazione.
Ma questa è una lunga storia che rimanda a un grande vecchio morto lo ieri di 134 anni fa.
martedì 14 marzo 2017
Outfit
«Se si scrivesse sempre soltanto quello che quindici anni dopo sarebbe opportuno aver scritto, è probabile che non si scriverebbe niente del tutto».
Gottfried Benn, Pietra, verso, flauto, Adelphi, Milano 1990
È probabile. Altamente. Ma bassamente si continua a indulgere in questo vizio, scrivere. Soprattutto nei momenti in cui non si capisce se si ha realmente qualcosa da dire o se, invece, ci si attarda con le parole in attesa che esse possano dire qualcosa al posto nostro, come se esse contenessero l'espressione esatta dei nostri pensieri, come se riuscissero a deporre quel che realmente vorremmo essere capaci di deporre agli atti della vita che scorre.
Quali sono i pensieri dominanti l'attuale mio presente? E ché devo scriverne e quindi denudarmi? Smascherarmi? Le parole possono realmente smascherare? O forse sono i migliori abiti per andare in giro con un certo decoro urbano, il nostro outfit quotidiano.
domenica 12 marzo 2017
Wilma dammi la clava
Se ho capito bene, i ministri turchi sono (erano) in tournée all'estero per promuovere ai turchi residenti in Europa, nella fattispecie in Olanda, la riforma costituzionale in senso presidenziale voluta da Erdogan. Il primo ministro olandese in carica ha rifiutato l'ingresso ai due ministri, non tanto perché se ne frega realmente della deriva autoritaria turca, bensì perché tra poco in Olanda ci saranno le elezioni politiche e tale mossa, infatti, pare gli sia servita a modificare le intenzioni di voto di quei cittadini che si dicevano intenzionati a votare il leader islamofobo Geert Wilders.
Insomma, tutto il puttanaio diplomatico turco-olandese è stato scatenato per mere ragioni di politica interna. Secondo me, da un punto di vista liberale, il governo olandese avrebbe potuto evitare tutto questo casino consentendo sì ai due ministri turchi di tenere il loro comizio, ma - allo stesso tempo - avrebbe dovuto invitare, anzi: promuovere (sia pure indirettamente) la posizione politica avversa al governo turco, dando visibilità e voce a quei cittadini che lottano ad armi impari contro l'autoritarismo e la controriforma costituzionale di Erdogan.
Ennesima prova che troppo spesso i popoli sono governati da ragazzini che si fanno dispetti e ripicche sulle spalle dei popoli stessi, che li usano, li sobillano, li indirizzano negli odî e rancori verso altri popoli, agitando missili e bandiere come sempre nella corsa folle a chi ce l'ha più lungo, il missile, e più tesa, la bandiera.
L'essenza delle nazioni (e delle religioni, comprese quelle laiche del liberalismo alla cazzo di cane) dimostra che dall'unità clanica alla stessa nazione il passo evolutivo compiuto dall'umanità è mezzopasso: indietro.
sabato 11 marzo 2017
Scadenze capitali
via Internazionale |
Davvero apprezzabile lo scrupolo farmacologico dei giustizieri dell'Arkansas.
E tuttavia, nell'improvvido caso che a un condannato a morte sia somministrato midazolam scaduto, per quale tipo di delitto potrebbe essere perseguito ed eventualmente condannato il boia?
_________________
A parte.
In un angolo della credenza, ho controllato quale sarà la data di scadenza delle aspirine, il 30 aprile. Per quella data, dovrò farmi venire un malditesta.
Saio Napoletano
Per gli uomini di fede, il ritiro spirituale, a volte, è una necessità.
Chissà se nelle prossime settimane il direttore sentirà l'urgenza di recarsi in una celletta francescana a purgarsi l'anima e se, in tal caso, l'attuale Padre Guardiano della Verna gli sorriderà.
giovedì 9 marzo 2017
Se mio nonno
A mio nonno Giovanni
Se
mio nonno fosse stato poeta
e
io ferroviere
condurrei
probabilmente un frecciarossa
e
quasi ogni giorno
sarei
a Napoli a vedere
in
fondo a un angolo di mare
perché
della felicità
faccio
ritenzione
la
trattengo ché se la esprimo
scendono
lacrime.
Se
mio nonno fosse stato poeta
avrei
trovato le ragioni per fuggirla
la
felicità
per
dimenticarmene
oppure
più semplicemente
per
non contemplarla tra le possibili
eventualità
della vita –
l'avrei
lasciata nei ricordi
dei
suoi versi pubblicati in ciclostile
nei
quali raccontava l'emozione
rimbaudiana
di
camminare a fianco di una donna
di
sentirne la sincronia nei passi
mentre
il racconto proseguiva.
Se
mio nonno fosse stato poeta
mi
sarei fatto meno illusioni
circa le beatitudini terrestri
mi
sarei accontentato di barricare
il
cuore dentro la consuetudine
come
fosse scudo a difesa
delle
frecciate maldestre
del
dio-amore.
Avrei
letto di mio nonno i lamenti
sciolti
dentro un metro che misura
quanti
passi sono necessari
per
fingere che non manca niente
che
tutto ma proprio tutto il meglio
è
racchiuso dentro quello sguardo
che
nell'attimo in cui si riproduce
si
fa subito ricordo – e luce.
Se
mio nonno fosse stato poeta
e
avesse letto questi versi improvvisati
si
sarebbe pentito di non essere
stato
un ferroviere.
Le
mani nere di lignite
sono
più vere
di
quelle grigie di grafite.
mercoledì 8 marzo 2017
Eclittica per dilettanti
C'è un punto dell'orizzonte sulla Terra dove il Sole tramonta tutti i giorni, anche se il cielo è nuvoloso e non si vede tramontare. Il bello (?) è che tutti i giorni quel punto cambia. O almeno: ogni giorno, quel punto, è un punto diverso che, tuttavia, si ripresenta due volte all'anno, tranne che nei giorni di solstizio, che sono punti unici per la declinazione massima (solstizio d'estate) o minima (solstizio d'inverno) del Sole. Naturalmente, questo fenomeno accade dappertutto sulla Terra salvo che all'Equatore, luogo in cui la monotonia delle quasi¹ dodici ore di luce e dodici ore di notte non provoca, nelle genti che lo abitano, alcuno sbattimento eclittico.
E dato che tutti i giorni, al tramonto, il Sole cade in punto dell'orizzonte diverso, io stesso tramonto diversamente, anche se, ugualmente, due volte all'anno mi ripeto. E pure ho i miei punti di massima o minima declinazione. Tutte faccende terrestri che, da un punto di vista esistenziale, sembrano non c'entrare una sega nulla con la vita e, invece, penso, forse presuntuosamente, che la disposizione al tramonto sia un'ottima propedeutica al tempo che passa e finisce nella notte, in quella sola parte di cielo dove si possono guardare le inutili stelle. E il naufragar... eccetera.
¹ «Lungo la linea immaginaria equatoriale il Sole sorge ogni giorno appena prima delle 6:00 e tramonta appena dopo le 18:00 (escludendo l'orario esatto per ogni posto dettato sempre dalla longitudine all'interno del fuso orario ed eventualmente dall'applicazione dell'ora legale durante tutto l'anno); quindi il dì tecnicamente dura impercettibilmente più di dodici ore. Ciò a causa della curvatura della Terra e della presenza dell'atmosfera, difatti in ogni luogo del Mondo il Sole deve raggiungere una declinazione negativa all'orizzonte per tramontarne totalmente dietro. Questa declinazione per il diametro apparente del disco solare assieme alla presenza dell'atmosfera che diffonde la luce equivale mediamente a −0,833 gradi.» Wikipedia
martedì 7 marzo 2017
Italia First o Fisting?
«Si stima che circa 25 mila addetti [dei call-center] tra Romania, Albania, Polonia, Croazia, Tunisia, Marocco lavorino per l'Italia. Il governo punta a cancellare l'80% di queste commesse e dunque a creare qui 20 mila nuovi posti di lavoro.» [via]
Una delle proposte politiche-stereotipo più in voga (usata, mi pare, un po' da tutti, da Renzi a Grillo, da Salvini a Meloni) per lottare, fintamente, contro il fenomeno dell'immigrazione, è creare le condizioni affinché le genti, disposte a tutto per emigrare, trovino opzioni di riproduzione della propria vita nel proprio paese d'origine.
Supponiamo adesso che il governo italiano riuscisse a far cancellare dalle aziende che operano nel mercato italiano (non solo italiane, perché, per es., Sky e Vodafone non sono italiane) posti di lavoro (e che lavoro) esteri per ricreare dei posti di lavoro (e che lavoro) nostrani.
Orbene, se una buona parte dei quei futuri ventimila licenziati (rumeni, albanesi, polacchi, croati, tunisini, marocchini) venissero poi a cercare lavoro, anche irregolare, in Italia, non sarebbe un po' da figli di puttana lamentarsi?
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O.T. (ma mica poi tanto)
Il comunismo è farla finita, una volta per tutte, con il lavoro salariato, è liberare l'uomo dalla schiavitù del lavoro come necessità e svendita di sé per la produzione di merci o servizi che non gli appartengono, che lo precipitano in una inevitabile condizione di alienazione.
E se nessun terrestre fosse più disposto a farlo quel mestiere di merda? E se i terrestri non fossero più disposti a vendere la propria forza lavoro? Ok, bisogna trovare prima il modo per sussistere, magari non prendendoci a brani.
lunedì 6 marzo 2017
Facciamo un po' di letteratura
Vittore Carpaccio, Ritratto di dama [con un libro in mano] |
«Non gli era mai venuto in mente fino allora di pensare alla letteratura come al miglior giocattolo che si fosse inventato per burlarsi della gente». G.G. Márquez, Cent'anni di solitudine.
La letteratura è un'arma di difesa. Per averla, occorre un porto d'armi. Si potrebbe usarla anche senza, ma, in tal caso, inevitabilmente, è facile sparare parole a cazzo di cane, orinandole ai vari angoli del mondo per marcare inutilmente il territorio di intenzioni.
Chi rilascia il porto d'armi? La necessità dell'epoca. Dato che la letteratura non ha sofferto, come altre opere d'arte, il problema della sua riproducibilità tecnica, se non nella produzione inflazionistica di letteratura che non lo sarà mai (perché, naturalmente, a decidere che cosa è letteratura e cosa no, lo stabilisce il tempo), l'autorità che concede il permesso di possedere l'arma è quella che si richiama alla scuola borgesiana di Pierre Menard, autore del Quijote.
Dunque, mi sono presentato all'esame, e ho scritto:
«Non mi era mai venuto in mente fino a oggi di pensare alla letteratura come al miglior giocattolo che si fosse inventato per burlarmi della gente».
Sono stato bocciato.
Continuerò comunque a scrivere: a cazzo di cane.
Continuerò comunque a scrivere: a cazzo di cane.
sabato 4 marzo 2017
Ideologia Internazionale
Data l'inutilità giornalistica di settimanali come Panorama e L'Espresso (e affini) - i quali, oltre a essere diffusori di un opinionismo futile e melenso a contorno di inchieste che, generalmente, scoprono l'acqua calda e la rivendono per tiepida, sono ridotti, oramai da anni, o forse da sempre, a meri contenitori di consigli per gli acquisti di merci o servizi -, Internazionale (che, altresì, a pubblicità non scherza, seppur di merci equosolidali vendute dalla catena Natura Forse) si è meritatamente ritagliato una posizione di prestigio tra la categoria degli inutili, soprattutto in virtù della specificità e del respiro, appunto, internazionale, tanto che, nel volgere di pochi anni, la rivista è divenuta un riferimento culturale per tanti lettori che si richiamano al liberalismo e al progressismo politicamente corretto di sinistra (o scorretto, al massimo, a livelli di uno Slavoj Zizek che recensisce La la land facendone un film di impronta leninista).
Internazionale, insomma, dal taglio degli articoli proposti, si è data lo scopo di fornire una sorta di guida ideologica non soltanto ai suoi lettori ma, altresì, a quella parte politica che vive nell'imbarazzo di non sapere che cazzo far.
E suggerisce. Anvedi in Portogallo che succede.
Te lo mostro con un servizio di un giornalista spagnolo progressista che, deluso che dalla sua patria (Podemos un cazzo), è andato a vedere se a Lisbona invece cazzo sì. E cazzo sì, le sinistre stanno insieme, governano e fanno cose. Sapessi quante. Urca, pare una rivoluzione dei gambi non di garofano, ma dei carciofi. Buoni. Due fotografie con deputati, uno maschio fricchettone coi capelli lunghi e la camicia a quadri aperta e l'altra una giovane deputata che dimostra che si può unire intelligenza ed eleganza alla faccia della Boldrini. In breve: «per la prima volta da anni il deficit pubblico è diminuito, il tasso di disoccupazione è sceso al 10,5% e la crescita economica è ripartita, nonostante [o in virtù?] un enorme debito pubblico, superiore al 133% del pil». Il problema è che, in concreto, il servizio non spiega come è avvenuta tale riduzione del deficit; anzi: parla di una promessa di alzare il salario minimo e della ripresa degli investimenti pubblici: e come investe il pubblico, cioè lo Stato, coi soldi di chi? E ancora: libri di testo gratuiti, creazione di borse di studio e riduzione delle tasse universitarie; la riduzione al 13% dell'iva sui servizi di ristorazione e il blocco delle privatizzazioni dei trasporti pubblici, compresa quella della compagnia aerea. Bravi portoghesi. Ma donde trae lo Stato le risorse per ciò? Misteri.
Ora non voglio passare per venale: in fatto a riforme, il governo portoghese ha avallato la possibilità per le coppie omosessuali di accedere all'adozione ed è stato tolto il ticket e lo psicologo per chi vuole abortire... Tutte cose buone e giuste, ma in sostanza non vedo niente di concreto se non la possibilità, concessa dall'eurogruppo, forse per timore di ripetere o diffondere il caos greco, di non forzare la mano e accettare una sorta di dilazionamento e/o ristrutturazione del debito.
In che misura tale esperimento di successo potrebbe essere traslato in Italia?
giovedì 2 marzo 2017
Sì
Da quando il governo Gentiloni governa, finalmente c'è un governo che governa senza che nessuno se ne accorga, un governo che sbriga gli affari correnti, che tanto correnti non sono, dato l'andamento, assai lento, degli affari. Un governo di scopo alla missionaria: chi sta supino s'addormenta e chi, invece, sta prono sopra il supino, si muove senza un perché, facendosi altre fantasie per mantenere salda la missione. L'unica in fermento è la Madia che si agita sul pezzo, il suo compito di domare il pubblico impiego la euforizza, lo si nota da un leggero pronunciamento dei globi oculari che escono impercettibilmente dall'orbita.
Indubbiamente il governo Gentiloni è un governo cortese, affabile, pacato. Riguardo al terzo aggettivo mi sa che ho sbagliato la consonante esplosiva labiale, ma lo vedremo dai frutti (primaverili, estivi, autunnali, quelli che produrrà finché resterà in carica).
A scanso di equivoci: un governo, anche se inutile, ci vuole, dacché la cosa pubblica è una cosa che va gestita, anche se la gestione comporta sempre più oneri a carico di governati e sempre meno onori a carico di chi ci governa. In fondo, senza governo, senza parlamento, senza istituzioni sarebbe realmente possibile vivere - e vivere meglio oggi in Italia?
Sì.
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