giovedì 6 ottobre 2022

Un bambino che cerca il latte

Il brano che segue è tratto da La filosofia della libertà (1894), di Rudolf Steiner 
(traduzione di Dante Vigevani)

“ In una lettera dell’ottobre o del novembre 1674, Spinoza scrive: 
«Io chiamo libera una cosa che esiste e agisce per semplice 
volontà della sua natura, e forzata quella che viene invece determinata
all’esi­stenza e all’azione, in modo preciso e fisso, da qual-
cos’altro. Così, per esempio, Dio esiste liberamente, benché
necessariamente, perché sussiste soltanto per la necessità della
sua propria natura. E così Dio conosce liberamente se stesso
ed ogni altra cosa, poiché soltanto dalla necessità della sua
natura consegue che egli tutto conosca. Voi vedete dunque che
io faccio consistere la libertà non in una libera decisione, ma
in una libera necessità.
«Scendiamo ora alle cose create, che vengono tutte deter­-
minate all’esistenza e all’azione, in modo fisso e preciso, da cau-
se esterne. Per comprendere più chiaramente, consideriamo un
caso semplicissimo. Per esempio, una pietra, cui venga comuni-
cata da una spinta esterna una certa quantità di moto, continua
necessariamente nel moto, dopo che la spinta della causa esterna
sia cessata. La persistenza della pietra nel suo moto è quindi
forzata, e non necessaria, perché deve essere definita dalla spin-
ta di una causa esterna. Quello che qui vale per la pietra, vale per
qualsiasi altra singola cosa, per quanto complessa possa essere:
ogni cosa, cioè, viene necessariamente determinata ad esistere e
ad agire, in modo fisso e preciso, da una causa esterna.
«Immaginate ora voi, per favore, che la pietra, mentre si
muove, pensi e sappia che sta sforzandosi, per quanto può, a
perseverare nel suo movimento. Questa pietra, ora cosciente
del suo sforzo e per nulla indifferente nel suo comportamento,
crederà di essere completamente libera, e di persistere nel suo
movimento per nessun’ altra causa se non perché lo vuole. Ma
questa è quella libertà umana che tutti ritengono di possedere,
e che consiste solo in questo: che gli uomini sono coscienti dei
propri desideri, ma non conoscono le cause da cui essi vengo­
no determinati. Così il bambino crede di desiderare libera-
mente il latte, il ragazzo irato crede di desiderare liberamente
la vendetta, il timido la fuga. Così l’ubriaco crede di dire per
sua libera volontà quelle parole che, tornato in sé, vorrebbe
non aver dette; e poiché tale pregiudizio è innato in tutti gli uo-
mini, riesce molto difficile disfarsene. Infatti, se anche l’espe-
rienza insegna sufficientemente che nulla gli uomini sanno do-
minare così poco come i propri desideri e che, mossi da opposte
passioni, essi vedono il meglio ma seguono il peggio, pur tutta-
via si ritengono liberi; e proprio per questo: che vi sono cose che
essi desiderano di meno, e che certi desideri si possono facilmen-
te domare per mezzo del ricordo di altri, a cui si pensa spesso».

[fin qui Spinoza. Ora riprende Steiner]

Poiché abbiamo qui davanti a noi una concezione chiara e
chiaramente espressa, ci sarà anche facile scoprire l’errore fon-
damentale che in essa si nasconde. Come è necessario che la
pietra compia un determinato movimento in seguito ad una spin-
ta, cosi dovrebbe essere necessario che l’uomo compia una certa
azione, quando vi è spinto da una qualche causa.
E soltanto perché l’uomo ha coscienza della sua azione,
egli si riter­rebbe libero autore dell’azione stessa; trascurerebbe
però di vedere che vi è una causa che lo spinge, a cui egli deve
incondizionatamente assoggettarsi. L’errore di questo ragiona-
mento è presto trovato. Spinoza, e tutti quelli che pensano co-
me lui, dimenticano di notare che l’uomo non ha soltanto co-
scienza della propria azione, ma può aver coscienza anche
delle cause dalle quali è guidato all’azione. Nessuno contesta
che il bambino non è libero nel desiderare il latte, come non è
libero l’ubriaco, quando dice cose di cui più tardi si pentirà.
Entrambi ignorano completamente le cause che sono attive nel-
le profondità del loro organismo e sotto la cui incontrastabile
costrizione essi si trovano. Ma è giustificato mettere in un fa-
scio azioni di tal genere con azioni nelle quali l’uomo non sol-
tanto é cosciente del proprio agire, ma anche delle cause che ve
lo spingono? Sono forse le azioni degli uomini tutte di un unico
genere? L’azione del guerriero sul campo di battaglia, quella
dello studioso nel laboratorio scientifico, e quella dell’uomo
di stato nelle più intricate circostanze diplomatiche, possono
seriamente essere messe allo stesso livello con l’azione del
bambino che cerca il latte? 

[Zelenschi!]

È ben vero che un problema si risolve tanto più facilmente 
quanto più semplice è il caso di cui si tratta. 
Ma è anche vero che già molte volte l’incapacità di di-
scernimento ha portato ad una confusione senza fine. Ed è una
differenza assai profonda quella che corre fra il caso in cui so
perché faccio una cosa e il caso in cui non lo so. A tutta prima
questa sembra essere una verità evidente. Eppure gli opposito-
ri della libertà non si chiedono mai se un motivo della mia
azione, che io riconosca e compenetri, rappresenti per me una
coercizione nello stesso senso in cui per il bambino è coercizio-
ne il processo organico che lo fa gridare per il latte.

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