Ero lì, anche se non ero lì, bensì davanti alla televisione a gridare, con la folla, «Vuoi pure queste, Bettino, vuoi pure queste...», anch'io con cento lire in mano, pronto a lanciarle contro il nemico.
Non ho scusanti: credevo veramente che Bettino Craxi, con tutta la classe politica italiana, a parte qualche eccezione (la "Sinistra"!... che coglione), fosse da mettere in carcere, da spazzare via.
Il discorso che poi Craxi fece in Parlamento, riletto oggi forse
il discorso parlamentare magistralmente più elevato della storia repubblicana, e il silenzio assordante che ne seguì da parte degli altri partiti, ex comunisti compresi, avrebbero dovuto farmi subito capire che aveva ragione lui e non chi tentava di approfittare della caduta della cosiddetta “prima repubblica” (Occhetto di spalla compreso, ancora vivo, ma più morto di Craxi da un po').
Il ventennio berlusconiano che seguì, con le parentesi peggiori (ma che, stoltamente, in quei frangenti, mi facevano respirare, come le canne di Nanni Moretti) del centrosinistra vigliacco e infame che ha posto le basi, più del Centrodestra, dello sfacelo odierno (D'Alema e il bombardamento su Belgrado fu la pagina più vergognosa), mi hanno tenuto a mollo nella credenza che il giochino democratico potesse valere ancora qualcosa. Questo, almeno, sino alla comparsa di Monti, dopodiché, per quanto mi riguarda e, ripeto, in modo assai tardivo, sono cadute tutte le maschere del Potere, sino a sperimentarne la presa ferina delle disposizioni governative urgenti relative alla comparsa del coronavirus, periodo durante il quale, in particolare con l'arrivo del sacro siero e con l'accanimento persecutorio non solo e non tanto disposto dal governo, ma della folla - sobillata dai media, i quali hanno creato appositamente, per nutrirsene, il clima infame della caccia al capro espiatorio - ho percepito in buona misura come ci si sente a essere colpiti dalle cento lire.
E riporto uno stralcio del discorso su rammentato, nel quale Craxi descrive qualcosa su cui si augurava fortemente una riflessione:
«Contro un demone di questa natura allora tutto era possibile, tutto giustificato, tutto lecito.
Può capitare nel corso della storia che la violenza nell’uso di un potere sia necessaria ed inevitabile ma è necessario allora che essa sia chiamata con il suo nome, sia riconosciuta ed esaltata come tale e non mistificata e proclamata in nome delle leggi o degli ordinamenti in vigore. In questo caso sapremo senza possibilità di equivoci di essere di fronte ad una nuova forza, ad una nuova legge e ad un nuovo potere. Una “rivoluzione”: così sono stati definiti e così molti concepiscono gli avvenimenti di casa nostra. Può darsi. Però allora è bene essere consapevoli che una rivoluzione è di per sé sempre una grande incognita ed una grande avventura, ma soprattutto che una rivoluzione senza un ceto organico di rivoluzionari è destinata solo a distruggere ed a preparare un fallimento certo. C’è stata violenza nell’uso del potere giudiziario, nell’uso dei sempre più potenti mezzi di comunicazione, c’è stato un eccesso di violenza nella polemica politica, nella critica, nel linguaggio, nei comportamenti.
E la violenza non può far altro che generare violenza, nei giudizi, nei sentimenti, nelle passioni, negli animi. In quale democrazia del mondo, a memoria del secolo, inchieste giudiziarie, ed il clima esasperato che attorno ad esse è stato creato, hanno potuto provocare tanti suicidi, tentati suicidi e morti improvvise. In quale Paese civile e libero del mondo si sono celebrati in piazza tanti processi sommari, si è assistito a tanti pubblici linciaggi e si sono consacrate tante sentenze di condanna prima ancora che sia stato pronunciato un rinvio a giudizio? Tutto questo non può non far riflettere. Doveva far riflettere, mi auguro che faccia riflettere.