Visualizzazione post con etichetta Aleksandr Puškin. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Aleksandr Puškin. Mostra tutti i post

lunedì 6 giugno 2022

Adam Smith però leggeva

Siccome sono filorusso, "putiniano", Z, eccetera, l'Ambasciata russa m'informa che il 6 giugno 1799 nacque Puškin e per questo, tale giorno, è dedicato alla lingua russa che, ahimè, non conosco. Fatto sta che ho aperto l'Eugenio Onegin e, dalle edizioni che ho sott'occhio, estraggo una delle strofe iniziali del capolavoro puskiniano che dedico volentieri al ministro degli affari esteri in carica del governo italiano affinché comprenda.

[*]
Della stessa strofa, ecco la versione di Giovanni Giudici:

VII

Gran passione non sentiva
A tormentarsi per dei suoni,
Tra giambo e trocheo non riusciva
A stabilire distinzioni.
Teocrito e Omero derideva,
Ma Adam Smith però leggeva,
Era un profondo economista;
Come uno stato si arricchisca
Sapeva giudicare infine
E di che viva e anche perché
Necessario l'oro non è
Se vi sian materie prime.
Suo padre non lo comprendeva
E nuove ipoteche accendeva.

d

lunedì 20 maggio 2013

Sopravvivere ai desideri

Sono sopravvissuto ai desideri,
Ho disamato i propri sogni;
Sole mi restano le pene,
Che vengono di cuore vuoto.

Alle bufere di crudele sorte
Avvizzì la fiorente mia corona;
Io vivo triste, solitario,
E aspetto: verrà la mia fine?

Così, da tardo gelo colta,
Della bufera all'invernale fischio,
Sola sul ramo dispogliato
Palpita un'attardata foglia.

Aleksandr Puškin, 1821, in Poemi e liriche, Einaudi, Torino 1960 (traduzione di Tommaso Landolfi)

Io no, difficilmente, sopravviverò ai miei desideri, stante così le cose. Io, infatti, desidero forsennatamente, ma non so esattamente cosa, mi sento perso per questo, mi guardo intorno alla ricerca disperante di modelli degni di essere imitati e, cazzo!, non ne trovo alcuno.
I media pullulano di merdosi lacchè che indorano le supposte del potere per renderle più gradevoli alla plebe. Anche i tribuni della stessa sono penosi e più li guardo e più me ne allontano. 
Cosa mi resta allora da desiderare, a parte quelle due o tre piccole pulsioni che si dibattono tra mente e sesso e che soddisfo alla meno peggio? Niente che valga la pena per cui mettersi in gioco nell'arena dei desideri dati. Saltare di classe, come un parvenu qualsiasi, tipo quelli russi che si sono trovati con le azioni buone delle aziende statali post comuniste e sono stati bravi a leccare il culo della causa nazionalista giusta, trovarmi in uno yacht pieno di fighe e di caviale, mentre uno stronzetto di rockstar mi strimpella una canzonetta per il mio gusto, forse è questo che potrei desiderare? O forse potrei desiderare un pompino a ventosa della Santanchè? Ti piacerebbe. Non mi piacerebbe. Dipende dalle circostanze. È più facile che un cammello me lo faccia un pompino. Una cammella, meglio. 
Resto immobile. Non sono abbastanza intelligente, volitivo meno, le mie doti sono limitate come quelle di una foglia. Palpito, m'attardo e resto solo, dispogliato, e prima o poi mi depilo il pube per vedere l'effetto che fa. Chissà se poi mi ritorneranno i riccioli. Sennò piangerò.

mercoledì 11 gennaio 2012

I migliori diritti



Io do poca importanza a quei celebrati diritti
che hanno per alcuni il fascino delle altezze vertiginose;
io non mi cruccio perché gli dèi rifiutano
di lasciarmi lottare per le rendite,
o di sventare le guerre dei re; e a me
non interessa se la stampa è libera
di gabbare poveri sciocchi o se i censori intralciano
le attuali fantasie di certe birbe scribacchianti.
Queste sono parole, parole, parole. Il mio spirito lotta
per una libertà più profonda, per diritti migliori.
Chi dobbiamo servire - il popolo o lo Stato?
Non importa al poeta - lasciamoli aspettare!
Non dover render conto, essere di se stesso
il vassallo e il signore, piacere solo a sé,
non piegare la schiena, né gli schemi interiori,
o la coscienza per ottener qualcosa che può sembrar
potere ma è casacca di buffone; passeggiare
sulla scia di se stessi, ammirando le divine
beltà della natura e sentire la propria anima
fondersi nell'ardore dell'ispirato disegno dell'uomo
- questa è la vera gioia, questi sono i diritti!

Una breve poesia di Puškin tradotta in inglese da Nabokov tradotta in italiano da Ettore Capriolo.
In Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura russa, Garzanti, Milano 1987

domenica 4 dicembre 2011

Putin, un'attardata foglia



Sono sopravvissuto ai desideri,
Ho disarmato i propri sogni;
Sole mi restano le pene,
Che vengono di cuore vuoto.

Alle bufere di crudele sorte
Avvizzì la fiorente mia corona:
Io vivo triste, solitario,
E aspetto: verrà la mia fine?

Così, da tardo gelo colta,
Della bufera all'invernale fischio,
Sola sul ramo dispogliato
Palpita un'attardata foglia.

1821.

Aleksandr Puškin, Poemi e liriche, Einaudi, Torino 1960, traduzione di Tommaso Landolfi.


Certo che se dopo Ben Alì, Mubarack, Gheddafi e Berlusconi, anche Putin cominciasse a scricchiolare non sarebbe affatto male. Sarà difficile, lo so, ma lasciamo aperto un varco alla speranza (GP2 dixit). La Russia, in fondo, la sua storia tormentata, l'eccellenza del pensiero di alcuni suoi grandi scrittori, il patimento di tanti oppressi, meritano un po' di respiro, uno scioglimento dalle maglie dittatoriali paragonabile a quello dei ghiacci artici. Una Russia libera, finalmente.