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domenica 2 dicembre 2012

Monopolismi intellettuali

È ammirevole il professor Panebianco quando spiega, con parole semplici e sintassi piana, cosa sia la politica, nella fattispecie odierna la politica di sinistra.
«Sinistra, in Italia, è un termine che ha sempre avuto un significato diverso da quello che ha nei Paesi che non hanno conosciuto la presenza - per quasi mezzo secolo di vita democratica - di un grande partito comunista, radicato in tanti gangli vitali della società:» 
Tanti gangli, sì, tranne quelli della produzione (cooperative a parte, più brave nella distribuzione che nella produzione).
«un partito che, grazie anche al suo rapporto quasi monopolistico con i ceti intellettuali, era il solo legittimo giudice di cosa fosse o non fosse “sinistra”».
Può essere ma, nonostante fosse egemone, la sinistra italiana dell'epoca era molto frammentata: tanti i movimenti, diversi anche i partiti, e non certo succubi del Pci. Tuttavia, la questione è: perché la sinistra italiana nel suo complesso aveva un «rapporto quasi monopolistico con i ceti intellettuali»?
Perché gli intellettuali, anche lei Panebianco, non contano molto, sono come le divisioni del papa: contava, ripeto, e conta ancora oggi il controllo dei mezzi di produzione, il controllo dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario,  il controllo dell'esercito (servizi segreti, forze dell'ordine compresi), il controllo dei mezzi di comunicazione. E tali poteri il Pci - salvo la iattura del compromesso storico che lo portò a compromettersi - non li ha mai pienamente controllati; e per un partito che raccoglieva i voti di un terzo (a volte abbondante) dell'elettorato, la frustrazione di non essere al potere veniva compensata con il predominio intellettuale che - i borghesi lo sapevano (e lo sanno) bene - produce, più che la rivoluzione, molte seghe mentali sfogate nelle case editrici e nelle università, nelle conferenze uggiose alle case del popolo o nei concerti di musica popolare ai festival dell'Unità, oppure, conseguenza estrema delle seghe, nei vari movimenti minoritari di rivolta rivoluzionaria, alcuni dei quali, poi, passarono all'azione terrorista e omicida.

Comunque, per tornare alla domanda del perché la sinistra aveva un rapporto “quasi” monopolistico coi ceti intellettuali (quel “quasi” è per fare spazio al suo nome, professore?) quello che vorrei chiedere a Panebianco è: egli si è mai chiesto cosa abbia impedito agli intellettuali non di sinistra di diventare dominanti in Italia? Una mera questione di numero? Io ho una mezza idea, tratta da questo post; ne estraggo una frase:
«È a [Benedetto Croce] che dobbiamo il liberalismo meno liberale dEuropa, un liberalismo tutto metafisico, politicamente inerte, perfino un po codino». 
Forse, se anziché Croce avesse avuto più seguito (più successo) Salvemini, l'Italia avrebbe avuto il liberalismo più liberale d'Europa - ma per il Vaticano sarebbe stato intollerabile, e quindi...

sabato 17 dicembre 2011

Il Cardinale twitta

Su Twitter il Cardinal Ravasi ha riportato una citazione, senza virgolette, di Benedetto Croce:


Ebbene, mi domando come possa un cristiano, perdipiù cattolico come Ravasi, accogliere e “twittare” tale frase di Croce senza rendersi conto di stare bestemmiando contro la Croce, dato che il cristianesimo stesso si fonda su un atto di violenza creatrice. Se Gesù Cristo non fosse stato crocifisso, quali altri panni vestirebbe Ravasi oggi? Certo, nel corso della storia, la violenza ha perso, a poco a poco, il suo carattere “vivificante”, in quanto, con la secolarizzazione e l'alfabetizzazione di massa, con il progresso scientifico e il graduale (faticoso) accantonamento della superstizione, è difficile - nella società contemporanea - che la violenza riesca a ricompattare la comunità in modo unanime intorno a una vittima espiatoria sulla quale scaricare tutte le colpe. Per cui, la frase di Croce andrebbe rivista. Vediamo come:
«La violenza non è forza ma debolezza»
Vallo a dire agli americani.
«né mai può essere creatrice»
Forse non può ora, e speriamo neanche domani. Ma, primo: lo è stata in passato, diciamo - per stare in campo biblico - dalla morte di Abele al sangue versato sulla Croce; secondo: non possiamo sapere se la violenza sarà necessaria per creare le condizioni di un ordine nuovo, ovvero per liberare una comunità oppressa dai suoi oppressori. Per capirsi, secondo Croce, e quindi secondo Ravasi, la Resistenza è soltanto distruttiva? E dunque, per non essere deboli, occorre tenerci i malvagi puzzoni?
Infine, come fa il cardinal Ravasi a conciliare una frase del genere con la Parabola della zizzania?
« Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del diavolo, e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda! »   (Matteo 13,37-42)
Che cosa sono, in fondo, i falciatori finali se non dei meri creativi?

martedì 9 agosto 2011

La Voce di un nuovo Governo

Stamani sono stato in una delle mie biblioteche preferite.
Ho preso la suddetta antologia de La Voce 1908/1916, pubblicata da Luciano Landi editore, S.Giovanni Valdarno/Roma, 1961.
Che soddisfazione trovare e prendere libri così. Avere un libro di cinquant'anni nelle mani. Lo apro a caso, dato che il caso è l'unica guida del mio eclettismo pseudo intellettuale (ah, ah). Non è vero, non a caso. Vado a cercare quel che viene pubblicato de La Voce del 1911. Cento anni fa. Ecco, ora sfoglio a caso. Ma no, non ancora. M'intriga il titolo di un articolo, La morte del socialismo, e il nome dell'autore, Falea di Calcedonia, uno pseudonimo, tipo un blogger ante-litteram, dietro il quale pare si nascondesse Benedetto Croce (tale articolo in forma di dialogo fu letto anche da Gramsci, e poi Calcedonia è anche il nome di una sorgente ove spesso vado a prendere l'acqua, anche se Croce si riferiva a questo Falea).
Ne riporto un passo.
«Marx fu come tanti altri della sua generazione, e più vivamente di altri, colpito dallo spettacolo grandioso della rivoluzione francese e dalla trasformazione sociale che essa produsse non solo in Francia, ma in gran parte dell'Europa. Il secolare feudalismo spazzato via; una nuova classe, la borghesia, padrona della ricchezza sociale e dello stato: idee, sentimenti, religione, profondamente mutati. E gli parve che la borghesia avesse creato al tempo stesso, altrettanti e più problemi che non ne aveva risoluto, come comprovavano le grandi crisi periodiche, la necessità di una sovrapopolazione, tutta l'anarchia morale, economica e sociale del liberismo, che si nutriva del sopralavoro o sopravalore e, continuamente squilibrantesi, si rimetteva in equilibrio solo mercé immani distruzioni di ricchezza*. Gli parve vedere, uscente dal seno medesimo della borghesia, qualcosa di analogo a ciò che la borghesia era stata rispetto al feudalesimo, un elemento di corrosione e di sostituzione: il proletariato o la classe operaia. E gli parve altresì che la vita della società moderna si fosse fatta, per opera della borghesia industriale, oltremodo rapida e intensa; sicché quel processo di dissoluzione e ricomposizione sociale, che aveva occupato secoli nel periodo feudale e semifeudale, si sarebbe dovuto ora svolgere con intensità e rapidità assai maggiore: e che perciò il proletariato avrebbe sostituito in un tempo ben prossimo la borghesia nella direzione della vita sociale, creando una nuova società, la società lavoratrice, nella quale l'altra si sarebbe sciolta».
Croce vide la morte del socialismo nel fatto che esso perdeva la sua carica rivoluzionaria in favore di un sindacalismo riformista. E questo prima che la prima Rivoluzione socialista russa avesse luogo. Vale a dire: nelle società "occidentali", Croce percepiva già qual era l'unica strada del socialismo: il riformismo. Perché? Perché non poteva darsi una contrapposizione tra borghese e operaio analoga a quella che c'era tra nobile e borghese e servo. La Rivoluzione ebbe luogo in Russia dove al potere non c'erano i borghesi ma un potere feudale (se sto dicendo delle cazzate ditemelo).
Al galoppo ad oggi. Finite le tensioni "rivoluzionarie" occidentali del terrorismo brigatista o del pacifismo alla un altro mondo è possibile, dato che - a parte le eccezioni: "morti di fame" e "morti di fama" - tutte le classi sociali si sono sciolte in borghesia (è la mia impressione, insomma), come uscire da questo ciclico ripetersi delle crisi provocate dal capitale? Non ci siamo rotti i coglioni insomma? Sì, ce li siamo rotti, ma non sappiamo bene con chi prendercela, con quali strumenti porre rimedio; non abbiamo insomma un'idea alternativa, un sogno utopico diverso dall'essere dei miseri borghesi. Ci siamo arenati di fronte ai nostri teleschermi, ai nostri piccoli godimenti, ferie comprese.
La colpa è tutta dei politici! Ma le avete viste quelle facce? Non sono in tutto e per tutto simili alle nostre? Siamo sicuri di essere più capaci di Calderoli? 
Sì, ne siamo sicuri. 
Ok, era facile.
Ma con quale forza cambiare le facce? Al grido di quale slogan? Magari in giro c'è qualcuno che aspetta ancora un duce. Eia, eia, mavalà! 
Ammesso e non concesso che i Break Brok non siano eterodiretti.
Ammesso e non concesso che l'Esercito e la Polizia vadano a occupare viale Mazzini e Cologno Monzese.
Ammesso e non concesso che si possa riuscire in un colpo di mano.
Proviamo a fare un toto governo?
Sì.
Presidente del Consiglio? Malvino.
Agli esteri? Formamentis (glielo avevo promesso).
Agli interni? Leonardo.
All'economia? Phastidio.
Al welfare? Olympe de Gouges.
All'istruzione? Galatea.
Alla giustizia? Metilparaben.
Alla cultura? Sempre un po' a disagio (entrambi i tenutari).
Alla difesa? Giovanni Fontana.
Alle pari opportunità? Lalli & Regalzi.
Alle politiche europee? Nonunacosaseria.
Allo sviluppo economico? Tooby.
Alle infrastrutture e trasporti? Popinga.
Alla sanità? Federica Sgaggio.
All'ambiente? Leucophaea
All'agricoltura? Ocasapiens.
Al turismo? Fabristol.
All'innovazione? Luca De Biase.
Alla gioventù? Arturo Smeriglia.
Alle riforme per il federalismo? Galassia Malinconica.
Ai rapporti col Parlamento? Giglioli.
Alla pubblica amministrazione? Wildestwoman.
Ai rapporti con le regioni? Chiara di Notte.
All'attuazione del programma di governo? Sono Gians.
Alla semplificazione? Giulio Mozzi.

Tutti gli altri blogger del mio reader e altri ancora che non sono entrati in lista saranno, ovviamente, sottosegretari. A scelta loro di quale ministero.
E io? 
Io voglio essere governato e guardarli lavorare. E leggermi l'Antologia della Voce.

*Grassetto mio