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«In una sorta d'entusiasmo e di stanchezza tipici della disperazione, comincio questo progetto. Dovrei quindi andare in Danimarca per scrivere qualcosa, dovrei guadagnare un milione. Tre giorni e tre notti di panico e di stitichezza spirituale e corporale. Poi ci ho rinunciato. C'è infatti un punto determinato, in cui l'autodisciplina, che è qualcosa di buono, si trasforma nell'autocostrizione, che è maledettamente dannosa. Ci ho rinunciato, dopo aver scritto due pagine e aver inghiottito una scatola di lassativi...»
Ingmar Bergman, (appunti del 1962), in Immagini, Garzanti, Milano 1992
Se il nostro poeta - già biologo, adesso in pensione - fosse inciampato in questo passo bergmaniano, probabilmente non avrebbe più fatto confusione tra autodisciplina e autocostrizione, e alle perette di camomilla tiepida, avrebbe preferito la dolce euchessina.
Invece niente. Dalla mattina al tramonto, fatto salvo una brevissima pausa per il pranzo, si rintanava nel suo studio, seduto alla scrivania o affacciato alla finestra, e pensava, pensava a quello che doveva scrivere, ombre che gli passavano davanti agli occhi ma che faticosamente riusciva a trasformare in versi.
Per sua fortuna, l'ex assistente, ora compagna, era lontana in quei giorni - l'aveva convinta, abbastanza facilmente, seppur a prezzo di un ulteriore sacrificio economico, a trovare una sistemazione per lei e la bambina, un piccolo monolocale adibito a casa vacanza nei i mesi estivi (adesso libero), giù nel centro del villaggio.
Solo, dunque. La casa intera a disposizione. Silenzio. Un momento ideale per iniziare l'opera.
Un giorno di tardo autunno, dopo aver trascorso ore e ore intento a fissare una moltitudine di vermi spiaggiati sul lastricato di porfido, il Nostro protagonista - al quale ancora dobbiamo dare un nome, ma lasciamola in sospeso la questione per il momento - aveva buttato giù alcuni versi che - immaginava - avrebbero potuto essere il mottetto di apertura della sua prima raccolta. Certo, ancora di molto labor limae abbisognavano; nondimeno, era moderatamente soddisfatto:
Per ammazzare il tempo
un lombrico ammazzo,
l'amico che un giorno
del mio corpo farà scempio.
Una vendetta anticipata
servita su un piatto ancora caldo.
Lo guardo il lombrico sezionato:
una parte spiaccicata sul selciato
da un passo disattento:
non un lamento, non un grido:
che nobile portamento.
Mentre sillabava i versi davanti alla nudità di un salice fradicio di pioggia, sentì un rumore di pneumatici avvicinarsi verso casa. Era un giovane messo notificatore inviato dal comune, che gli portava il certificato elettorale.