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sabato 7 dicembre 2019

Il nipote di Keynes

«Sono molto contento di essere Qui, come disse un nipote di Paperone». Anche le formiche, nel loro piccolo...
«We shall do more things for ourselves than is usual with the rich today, only too glad to have small duties and tasks and routines. But beyond this, we shall endeavour to spread the bread thin on the butter-to make what work there is still to be done to be as widely shared as possible. Three-hour shifts or a fifteen-hour week may put off the problem for a great while. For three hours a day is quite enough to satisfy the old Adam in most of us!
There are changes in other spheres too which we must expect to come. When the accumulation of wealth is no longer of high social importance, there will be great changes in the code of morals. We shall be able to rid ourselves of many of the pseudo-moral principles which have hag-ridden us for two hundred years, by which we have exalted some of the most distasteful of human qualities into the position of the highest virtues. We shall be able to afford to dare to assess the money-motive at its true value. The love of money as a possession -as distinguished from the love of money as a means to the enjoyments and realities of life -will be recognised for what it is, a somewhat disgusting morbidity, one of those semicriminal, semi-pathological propensities which one hands over with a shudder to the specialists in mental disease. All kinds of social customs and economic practices, affecting the distribution of wealth and of economic rewards and penalties, which we now maintain at all costs, however distasteful and unjust they may be in themselves, because they are tremendously useful in promoting the accumulation of capital, we shall then be free, at last, to discard.
John Maynard Keynes, “Economic Possibilities for our Grandchildren (1930),” in Essays in Persuasion (New York: Harcourt Brace, 1932), 358-373 (file pdf, pag. 4) 

Che belle, sante parole. Purtroppo però, per il vecchio Adamo, questi cambiamenti non saranno realizzati con le riforme, ma con qualcos'altro che ora non sto a dire, un po' per non abusare di una parola che è facile immaginare quale, e un po' perché ancora non abbiamo una diffusa contezza di vivere un'epoca di rivoluzione sociale, per cui non mi rimane che rimandare alla Prefazione di Per la critica dell'economia politica di Marx, dove si legge: 
«Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche e filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo».
Ecco, tali forme ideologiche, oggi, ahinoi, non consentono affatto agli uomini di concepire alcun conflitto e di combattere per la liberazione, per l'affrancamento (tre ore di lavoro al giorno porcaputtana! quindici ore a settimana come immaginava anche Keynes!) dalla oggettiva schiavitù del capitale, del valore e del lavoro. Quindi, non resta altro che sperare che le forme ideologiche non riescano più a coprire il giochino D-D' (formula alla quale si riduce la produzione e schiavizza le umane genti e fotte l'intero pianeta) e che, dato lo sviluppo delle forze produttive, nella società si creino le condizioni materiali di rottura dell'attuale sciaguratissimo dominio di classe borghese di merda e si possa finalmente concludere «la preistoria della società umana». 
E se non sarà per noi, che sia almeno - e per davvero - per i nostri nipoti.

lunedì 21 aprile 2014

Per il bimbo che è il pubblico

«Per gli statisti moderni è metodo corrente dire tutte le sciocchezze che il pubblico vuole e metterne in pratica tante da giustificare quello che hanno detto, nella fiducia che quelle sciocchezze, tradotte in pratica, si manifestino per quello che sono, fornendo così l'occasione per ritornare alla saggezza: è il sistema Montessori per il bimbo che è il pubblico. Chi contraddicesse il bimbo dovrebbe lasciare subito il posto ad altri pedagoghi. Elogiare, quindi, la bellezza del fuoco che il bimbo vuole toccare, la musica del giocattolo che va in frantumi; sollecitare, anzi, il bambino a cimentarsi. Ma vigilare, premurosi, in attesa del momento giusto per trarlo dal pericolo, mentre da euforico si fa attento: così devono comportarsi i saggi e benevoli salvatori della società.
[…]
In tutti i casi, il singolo cittadino non ha lo stesso obbligo di un ministro in carica di sacrificare la verità al bene pubblico. Al singolo è concessa la soddisfazione di parlare e di scrivere liberamente. Il che può anche perfino portare un contributo alla congerie di cose che la magia degli statisti riesce ad armonizzare, in modo così meraviglioso, per il nostro bene ultimo.»
John Maynard Keynes, “Il mutamento dell'opinione pubblica” (1921), in Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968.


Ho il sospetto che Keynes, meglio di Nostradamus, prefigurasse Matteo Renzi. Ma anche Mario Seminerio, un singolo al quale «è concessa la soddisfazione di parlare e di scrivere liberamente»*.

*Tuttavia, la critica phastidiosa, pur acuta e preziosa, resta una critica che non lede i principi cardine del sistema economico e produttivo dominante e del correlato politico che lo serve più o meno secondo necessità. In pratica, anche qualora i suggerimenti, gli accorgimenti di Seminerio - e altri economisti di calibro come lui - venissero accolti e recepiti in toto dal governo, i mali del capitalismo resterebbero tali.

sabato 19 aprile 2014

Il problema economico


L' 8 novembre 1931, nella Prefazione al suo Essays in Persuasion, John Maynard Keynes scriveva:

« L'autore guarda ad un futuro più lontano e medita su questioni che, per realizzarsi, abbisognano di una lenta evoluzione. Può concedersi la libertà di perdere tempo e di filosofeggiare. E qui emerge, con maggiore chiarezza, quella che in sostanza è la sua tesi costante: la profonda convinzione che il “problema economico”, come possiamo definirlo per brevità, il problema del bisogno e della miseria, e la lotta economica fra classi e paesi, non è che un terribile pasticcio, un pasticcio contingente e non necessario. Infatti, il mondo occidentale dispone già delle risorse, ove sapesse creare l'organizzazione per utilizzarle, capaci di relegare in una posizione di secondaria importanza il “problema economico” che assorbe oggi le nostre energie morali e materiali.
Pertanto, l'autore di questi saggi, dopo tutte le sue nere previsioni, spera ancora e crede che non sia lontano il giorno in cui il “problema economico” occuperà quel posto di ultima fila che gli spetta, mentre nell'arena dei sentimenti e delle idee saranno, o saranno di nuovo, protagonisti i nostri problemi reali: i problemi della vita e dei rapporti umani, della creazione, del comportamento, della religione. E si dà il caso che esista una sottile ragione, tratta dall'analisi economica, per la quale la mia fede possa essere ben riposta. Se, infatti, persistiamo nell'operare coerentemente secondo ipotesi pessimistiche, rischiamo di chiuderci per sempre nel pozzo del bisogno. »
J. M. Keynes, Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968 (traduzione di Silvia Boba).

Da allora, dal 1931 (anno di nascita di mia madre) sono trascorsi ottantatre anni. Una guerra mondiale nel mezzo e tutto il resto di Storia verificatosi sino ad oggi. Abbiamo scoperto che il problema economico non è un pasticcio contingente, bensì permanente e necessario «che assorbe [ancor] oggi le nostre energie morali e materiali».
È forse questo che impedisce o rende aleatorio occuparsi di quelli che Keynes chiama «i nostri problemi reali», giacché essi sono in primo luogo problemi di natura economica. Per superare questa impasse in cui, oggettivamente, l'umanità si trova bisogna recuperare, a mio avviso, una certa contezza, ovverosia che il sistema economico che domina il pianeta e al quale, oramai, quasi tutte le società si sono votate (o sacrificate), non è l'unico possibile e immaginabile, soprattutto: non è un sistema imposto dalla necessità, ma da determinati rapporti di classe tra chi domina e chi è dominato.
Chi oggi può serenamente occuparsi della vita, dei rapporti umani, della creazione (!), del comportamento, della religione (aggiungiamo: della cultura) prescindendo dal fatto che l'umanità è nettamente divisa tra una ristretta cerchia di pezzi di merda che vivono al pari di semidèi e una sterminata massa di diseredatati che più o meno vivicchiano o sopravvivono a servizio e gloria del capitale?
Almeno una volta gli dèi si potevano bestemmiare, o beffare; e se scendevano dal cielo talvolta capitava che qualche terrestre osasse metter loro le mani addosso. Oggi niente di tutto questo. Ogni critica, meglio e soprattutto: la critica all'economia politica è considerata tal quale un'eresia e bruciata sul rogo dell'inattualità.*

*Inattuale un cazzo. L'unico modo per resistere oggi è rileggere Marx e tenere duro, perché mi sembra l'unica maniera per resistere razionalmente e non farsi prendere per il culo.