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mercoledì 24 agosto 2022

L'atrofia progressiva dell'esperienza

 “ La rigida esclusione dell'informazione dall'esperienza dipende anche dal fatto che essa non entra nella «tradizione». I giornali [le news in tv o sul web] appaiono in forti tirature. Nessun lettore ha più facilmente qualcosa da poter raccontare all'altro. C'è una specie di concorrenza storica fra le varie forme di comunicazione. Nel sostituirsi dell'informazione alla più antica relazione, e della «sensazione» all'informazione, si rispecchia l'atrofia progressiva dell'esperienza. Tutte queste forme si distaccano, a loro volta, dalla narrazione, che è una delle forme più antiche di comunicazione. Essa non mira, come l'informazione, a comunicare il puro in-sé dell'accaduto, ma lo cala nella vita del relatore, per farne dono agli ascoltatori come esperienza. Così vi resta il segno del narratore, come quello della mano del vasaio sulla coppa d'argilla. 

Walter Benjamin, “Di alcuni motivi in Baudelaire”, in Angelus Novus, Einaudi. 

Storicamente, è un peccato che nelle sedi di partito non ci siano più discussioni con gli iscritti, forse perché sono pochi, forse perché tutti sono allineati. È un peccato ché non ci siano più i congressi dove molti delegati prendevano la parola e tutto sia affidato all'informazione, al comunicato, al tweet, al post, all'intervista lampo concessa ai microfoni dei tg 24 h dello stracazzo. E tutto ciò è un peccato perché, sono convinto, che - seppur nella sua vacuità - avremo il godimento di assistere a qualcuno che manda a fare in culo quegli stronzi dei segretari o presidenti di partito o di movimento o di associazione. Qualcuno che dica le cose come stanno - e le cose stanno male, assai, per quella che un tempo qualcuno chiamava politica.

giovedì 20 luglio 2017

Angelus Novus

Luisella camminava con aria inflessibile; gli occhi, puntati come fendinebbia, illuminavano i piedi e i polpacci delle persone che la precedevano. Dietro sentiva, distante, un respiro affannoso seguirla, di qualcuno che cercava di non farsi accorgere, appunto, che la stava seguendo. Seguendo per cosa? Per il vestito attillato che modellava il suo corpo perfetto da ogni punto di vista? [Ognuno scelga e immagini il suo punto di vista]. Lo sapeva perfettamente che avrebbe dato nell'occhio con quel vestito. «L'importante è non dare alla mano», si era detta, persuadendosi che un po' di sguardi addosso avrebbero confortato la sua autostima. Ne aveva bisogno. La sera precedente Massimiliano le aveva detto che non avrebbe fatto in tempo a tornare per quel fine settimana e che, dunque, la due giorni alle Terme Benessere sarebbe saltata. Fosse stato per lavoro, avrebbe capito e accettato. Invece lo sapeva che lui le avrebbe preferito la mamma. Già, la mamma: la chiamava così, lei, anche se non lo era, perché tecnicamente era la matrigna, colei che aveva risposato il padre, rimasto vedovo da poco tempo e neanche dopo un anno riaccompagnato a questa, «L'ha fatto per i soldi, lo sai benissimo», gli aveva sempre detto e non era la sola a dirlo e a pensarlo, ma tutto l'entourage di mogli e fidanzate dei fratelli Tamarroni.

Arrivata a destinazione in anticipo, Luisella decise di aspettare l'ora esatta prima di entrare dall'estetista, concedendosi qualche minuto di vetrine. D'improvviso, mentre stava per varcare la soglia della speranza in un negozio di polacchine marchigiane, un signore - «Sicuramente lo stesso che mi stava seguendo», ebbe subitanea l'impressione - con un tesserino affisso alla polo verderame e taccuino e penna in mano, presentandosi come giornalista di cronaca del locale quotidiano, si rivolse a lei in questi termini:
«Mi scusi signora, sarebbe così gentile da lasciare una dichiarazione in merito ai saldi stagionali?»
Luisella, aggiustandosi con nonchalance il top che rischiava di scendere oltre misura, rispose:
«Non ho niente da dire, soltanto da mostrare [W. Benjamin]. E se tocca, meno».

mercoledì 15 febbraio 2017

Il messo (24)

Intermezzo

« “Una delle caratteristiche più notevoli dell'animo umano, – scrive Lotze, – è, fra tanto egoismo nei particolari, la generale mancanza di invidia del presente verso il proprio futuro”. La riflessione porta a concludere che l'idea di felicità che possiamo coltivare è tutta tinta del tempo a cui ci ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Una gioia che potrebbe suscitare la nostra invidia, è solo nell'aria che abbiamo respirato, fra persone a cui avremmo potuto rivolgerci, con donne che avrebbero potuto farci dono di sé. Nell'idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente l'idea di redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C'è un'intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare facilmente. Il materialista storico lo sa. »

Walter Benjamin, Angelus Novus, “Tesi di filosofia della storia”, n. 3, Edizione Einaudi.


domenica 20 luglio 2014

Uomini di Sinistra

Spigolando qua e là nella sinistra in rete, ho trovato il brano seguente:

«Secondo Bankitalia, nel 2012 il 10% della popolazione più ricca possedeva quasi la metà della ricchezza nazionale (il 46,6%), mentre il 10% delle famiglie più povere percepisce solo il 2,4% del totale dei redditi.
In Italia dieci persone possiedono 75 miliardi di euro, pari al reddito di 500 mila famiglie operaie. Solo duemila persone possiedono un patrimonio superiore a 169 miliardi di euro, proprietà immobiliari a parte.
I soldi dunque esistono, ma sono stati dirottati verso l’alto della piramide sociale, mentre in basso dilaga la povertà, la deprivazione anche alimentare, la precarietà del lavoro che sfuma verso la zona grigia del lavoro povero e dell’inoccupazione. Giunti al sesto anno della crisi, aggravata dalle politiche dell’austerità ispirate al rigore fiscale, ai tagli alla spesa pubblica e all’aumento delle tasse adottate anche dai governi italiani, sono cresciute le diseguaglianze sociali, mentre i salari vengono compressi. Nel 2013, sono cresciuti in Italia solo del 3,69%, negli Stati Uniti sono invece aumentati del 36,34%, in Francia del 32,85%, in Germania del 28,53%.
Si lavora come sempre tanto, ma si viene pagati sempre di meno, e non si risparmia nulla. In questa cornice è esplosa la povertà. Tra il 2007 e il 2012 coloro che vivono in povertà assoluta sono passati da 2 milioni e 400 mila a 4 milioni e 800 mila, pari all’8% della popolazione. Secondo i dati Istat, analizzati nel rapporto, i poveri relativi sono il 15,8% della popolazione: 9 milioni 563 mila persone. La disoccupazione generale è, al momento, al 12,6%; quella giovanile (15–24 anni) è al 43%. Dall’inizio della grande recessione, oltre 980 mila persone hanno perso il loro posto di lavoro. Solo tra il 2012 e il 2013 sono evaporati 424 mila posti di lavoro. Peggio dell’Italia, ci sono solo Grecia, Croazia e Spagna.»

E pensavo, dato che, come scrisse Leonardo Sciascia:
«L'unica distinzione tra destra e sinistra possibile è oggi questa: il continuare a pensare, il tentare di continuare a pensare. Uomo di sinistra è colui che pensa. La sinistra che ancora esiste è quella soltanto fatta di uomini che pensano». Epoca, marzo 1979
...pensavo agli elettori che si stimano di sinistra pur votando e approvando la politica del Partito Democratico, e vorrei loro domandare: tutto bene? Renzi: e basta la parola? C'è gusto a governare, o meglio: a osservare al governo il segretario del vostro partito? Gonfie vele? Niente tristezza? Ferie senza pensieri? L'autunno è lontano? Le riforme attuate (?) e quelle promesse (!) vi soddisfano? Se ci fossero le elezioni domani, ora, subito, un click e via, tipo cinquestelle, votereste ancora come avete votato? Dite che non c'è alternativa, dato che più a sinistra di voi... Tsipras? (Un soffio 'sto Tsipras, convengo). Inoltre, credete nella ripresa e nella crescita, allo zero virgola, promesse? Basta piangersi addosso - suggerite - e iniziare invece ad avere fiducia nell'Italia? Lexotan
Capisco. Vi prego una cosa, una cosa soltanto: casomai vi prendesse l'uzzolo di incazzarvi un pochino, non andate a gonfiare le vele dei cosiddetti radicali di sinistra:
«Questi intellettuali (di sinistra) hanno poco a che fare con il movimento operaio. Sono invece un fenomeno di disgregazione borghese, che fa da contrappunto a quella mimetizzazione feudale che l’impero ha ammirato nell’ufficiale in congedo. I pubblicisti del tipo di Kästner, Mehring o Tucholsky [Giglioli?], i radicali di sinistra sono la mimetizzazione proletaria della borghesia in sfacelo. La loro funzione è quella di creare, dal punto di vista politico, non partiti ma cricche, da quello letterario non scuole ma mode, da quello economico non produttori ma agenti. Agenti o routiniers che fanno grande sfoggio della loro povertà e si rallegrano del vuoto che si spalanca davanti a loro» 
W. BenjaminAvanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura, tr. it di A. Marietti Solmi, Einaudi, Torino 1973, p. 210 (preso qui)
...ma leggete Marx. E pure Engels. 

mercoledì 30 ottobre 2013

La comunicabilità dell'esperienza


[La] natura della vera narrazione [...] implica, apertamente o meno, un utile, un vantaggio. Tale utile può consistere una volta in una morale, un'altra in un'istruzione di carattere pratico, una terza in un proverbio o in una norma di vita: in ogni caso il narratore è persona di “consiglio” per chi lo ascolta. Che se oggi questa espressione ci sembra antiquata, ciò dipende dal fatto che diminuisce la comunicabilità dell'esperienza. Per cui non abbiamo consiglio né per noi né per altri. “Consiglio”, infatti, è meno la risposta a una domanda che la proposta relativa alla continuazione di una storia (che è in atto di svolgersi). Per riceverlo, bisogna anzitutto saperla raccontare. (A prescindere dal fatto che un uomo si apre a un consiglio solo nella misura in cui sa far parlare la propria situazione). Consiglio, cucito nella stoffa della vita vissuta, è saggezza. L'arte di narrare volge al tramonto perché il alto epico della verità, la saggezza, vien meno. Ma si tratta di un processo che viene di lontano. E nulla potrebbe essere più sciocco che vedere in esso solo un “fenomeno di decadenza”, per non dire un fenomeno “moderno”; mentre è solo un accompagnamento di forze produttive storiche, secolari, che ha espulso a poco a poco la narrazione dall'ambito del parlare vivo e manifesta insieme, in ciò che svanisce, una nuova bellezza.»
Walter Benjamin,“Considerazioni sull'opera di Nicola Leskov”, Angelus NovusEinaudi, Torino 1962 (a cura di Renato Solmi), pag. 250-251 edizione Einaudi Tascabili, 1995.

Per ritornare a quanto di confuso ho scritto ieri, evidenzio questa frase: «un uomo si apre a un consiglio solo nella misura in cui sa far parlare la propria situazione». Sarà per questo che, della mia situazione, io ne parlo in maniera sì confusa? Perché non voglio aprirmi a un consiglio e passare a un'altra situazione? Semplicemente perché ho la presunzione che il mio parlare, il mio narrare, sia cosa viva, gratuita, apotropaica.
In altri termini, io tento di filtrare in narrazione i miei vissuti (pensieri, parole opere e omissioni  e la colpa la faccio morire vergine), non tanto per aprirmi ai consigli altrui, quanto per trarre un vantaggio immediato dal raccontarli. È chiaro che da ciò io tragga un utilenon sono mica un discepolo di Sacher Masoch. E tuttavia, di tale vantaggio, di tale utile, io non faccio un vanto, e non do consigli agli altri, perché la mia arte crepuscolare (datemi uno schiaffo), non è certo latrice di saggezza, ma solo di concupiscenza. Io scrivo perché concupisco: la scrittura ha per me una funzione erettile e un fine orgasmico. È anche per tale ragione* che, vicino alla tastiera, tengo sempre un pacchetto di fazzolettini. 

*Le altre due ragioni sono: per piangere; e per sputare, come se davanti avessi facce (non importa elenchi quali).

lunedì 9 aprile 2012

Lunedì dell'Angelus Novus

Paul Klee, Angelus Novus, 1910
«C'è un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.»
Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1962

Buongiorno Angelo, buon lunedì. Sole, monti spruzzati di neve, freddino. Colazione calma. Sfoglio Il Sole 24 Ore di ieri, leggo il fondo di Guido Rossi, mi stupisco:
Pur non essendo finora stata presa alcuna decisione per garantire la difesa dei diritti e delle democrazie costituzionali occidentali, da più parti ci si interroga finalmente su quale sia la vera funzione degli istituti di credito ed in modo particolare delle banche, prime protagoniste del capitalismo finanziario. Verrebbe qui d'istinto il desiderio di citare testualmente una frase di circa un secolo fa: «Ma, a mano a mano che le banche si sviluppano, e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industriali, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di Paesi». La frase è di Lenin in "L'imperialismo, fase suprema del capitalismo" (capitolo secondo).
Mi stupisco, cioè, come sia possibile che il giornale della Confindustria, organo di riferimento del padronato e del capitale finanziario italiano, possa ospitare una frase di Lenin (citazione che fa da supporto a Rossi per attaccare una politica assolutamente prona nei confronti dei mercati internazionali).

Ma è uno stupore di paglia: una soffiata di vento e si disperde. In fondo ieri era Pasqua. In fondo anche il Papa legge il Vangelo e rimane il Papa. Così come in Confidustria si legge un passo di Lenin e si rimane saldamente confindustriali. La conversione non è roba da pantofole. È uno scioglimento di corpi. È rivoluzione.

A proposito di corpo. Sento una rivoluzione. Il bagno è vicino.

domenica 17 luglio 2011

Un'isola di salvezza

«“Nell'apprendimento delle lingue la cosa più importante non è quella che si impara; abbandonare la propria è la cosa decisiva. E solo allora la si comprende veramente”. Gide cita una frase del navigatore Bouganville: “Quando lasciammo l'isola, le demmo il nome di Île du Salut”. E aggiunge la mirabile osservazione: “È solo quando lasciamo una cosa che le diamo un nome”».

Walter Benjamin, “Conversazione con André Gide” (1928), in Opere complete III. Scritti 1928-1929, Einaudi, Torino 2010.

Solo dopo Lucas ha capito che la poteva chiamare amore. Prima no, prima si vergognava, non lo credeva, non lo sapeva, non lo pensava possibile. Ma quando lei partì e lo lasciò lì, solo, a fare a pugni con dei ricordi che via via svanivano, egli capiva tristemente che quel nome, quella sensazione di vita piena e completa non sarebbero state più possibili o solo imitazione - ricercata imitazione - di cosa in quel momento stava vivendo. Ed è inutile che i sogni ogni tanto la facciano riapparire, come se ancora fosse possibile trovare una circostanza che riporti le mani di lei sulle sue reni, mani che lo identificavano, che lo tatuavano ad un altro corpo, ad un altro io...
Ma non è giusto. Non è giusto dare un nome alle cose solo dopo che le abbiamo lasciate. È un difetto questo, non solo linguistico, al quale dobbiamo porre rimedio - pensa ora Lucas e sa perché. Perché la vita stessa, tout court, che fai? la chiami per nome solo dopo che l'hai lasciata? Ti accorgi di vivere solo dopo che sei morto? E quindi no. Gide ha torto marcio. La cosa che è vicina è ciò che scalda e il ricordo è acqua, acqua come nel famoso giochino. Il fuoco della cosa che il bambino cercava. Rituffarsi indietro nel lago del proprio tempo vissuto per nominare le cose, per inzuppare biscotti scipiti e spargere lagrime  e non più sperma, serve solo a credere che qualcosa un tempo avesse senso e che ora il senso non c'è più. Il senso, il sesso, lo stringere un pezzo di carne di un proprio simile qui e ora, vicino. E il bicchiere di vino quello buono è questo che stai bevendo, e vale molto più di quello che bevesti anche se fatichi a crederlo.
- Ma che fa Lucas, beve di mattina? Che è diventato, un alcolista anonimo?
- Era una metafora. La mattina, ora, bevo solo succo di mirtillo.
- Comunque lei si sta sbagliando. Gide intendeva un'altra cosa.
- Sì, ho capito. Gide non ha torto. Sono io che sono marcio. È vero: solo quando sei capace di abbandonare o sei stato abbandonato da una donna o da un'idea, riesci a comprendere, a imparare cosa voglia dire quella donna, quella idea. Vorrei fosse così anche per la vita, ne avessimo (almeno) due, come le donne, come le idee.
- È per questo che non ci stancheremo mai di leggere Dante, vero Lucas?
- Sì, infatti. È consolante sapere che qualcuno ha visitato davvero il mondo dei morti. È consolante sapere che prima di noi hanno vissuto certe persone, certe idee. È consolante sapere che siamo mortali, perché solo i mortali possono dare il nome ad un'isola che non c'è.