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sabato 6 luglio 2013

Quello che si può


Sono contento che Walter Siti abbia vinto il Premio Strega.
Sono contento, altresì, che Resistere non serve a niente sia stato il mio primo romanzo in formato elettronico che ho letto anno scorso, non appena comprai il Kindle.
A proposito: chi lo vinse anno scorso il Premio Strega?

A partissima:
Mi dispiace tanto non poter scrivere tutto quello che vorrei, anche se m'impegno molto a raccontarne una parte. Cosa mi trattiene? Pudore? Paura di ferire chicchessia, me compreso? Mettermi alla berlina. Ma ho già una berlina, pur se piccola.
Compito delle prossime settimane: pensare a fondo a quel che vorrei veramente scrivere ma non posso.
Come dissi all'analista la seconda e ultima volta che ci andai (a gratis): «Dottore io non ce la faccio a fare questo e quello, non posso». E lui: «Dica pure: non voglio».
Aggiungere al compito: discernere tra cosa veramente potrei ma non voglio (tipo raccontare qualcosa che ho in punta di tastiera ma mi trattengo dal farlo) e cosa vorrei ma realmente non posso (tipo pagarmi 80/100 euro di psicoanalista alla setttimana).


venerdì 20 luglio 2012

Mutazioni mafiose d'occidente

«Per i mercati, resistere ora alla penetrazione criminale sarebbe come resistere alla cannula dell'ossigeno». Walter Siti, Resistere non serve a niente, Rizzoli, Milano 2012.

A margine di questo post di Fabio Brotto, alcune considerazioni laterali.
La mafia (ovvero tutto quel fenomeno di criminalità organizzata che, per semplificazione estrema, è riconducibile a tale nome) ha vinto perché, in Occidente, in Italia anche, non ha più bisogno - necessariamente - di uccidere, di fare stragi (salvo alcune efferate eccezioni, s'intende).
Inoltre, la mafia ha indiscutibilmente immesso nei mercati la sua ingente mole di denaro e non poteva essere diversamente, dacché a) pecunia non olet; b) il denaro, se resta fermo, ammuffisce; deve entrare in  circolazione per mantenersi in vita ed accrescere. Ed è entrato in circolazione nelle vene del debito: grandi, spaventosamente grandi quantità di denaro ripulito tengono per le palle gli stati molto più della lupara.
Dall'arresto dei Riina e dei Provenzano tutta una serie di giovani rampanti, beneducati e laureati nelle migliori università, ha preso le redini del capitale criminale e l'ha riversato nei mercati contribuendo, col suo sporco gioco al rialzo e al ribasso, alla fottitura delle economie nazionali.
Per la mafia tutto questo è stato facile perché, anche se essa ha mutato la sua natura belluina, ha mantenuto una “costituzione” dirigistica e gerarchica, conservando, altresì, una organizzazione, una determinazione e una unità d'intenti che nessuno stato ha, nemmeno gli stati autocratici. 

La mafia continua a vivere e prosperare perché nel ripetersi costante (dannatamente costante) del dilemma del prigioniero, adotta sempre la strategia migliore per ridurre i danni al minimo. Lo stato non può permetterselo, soprattutto uno stato di diritto.
Che fare? Avvelenare i pozzi in cui i mafiosi si dissetano. Alcune soluzioni:
a) legalizzare le droghe (soluzione temporanea);
b) sovvertire il sistema capitalistico (ma non per diventare dei corrotti comunisti cinesi o cubani, cazzo).

venerdì 13 luglio 2012

La verità, dipende

«La verità dipende dalle condizioni al contesto, dagli assiomi che uno accetta all'inizio». Walter Siti, Resistere non serve a niente, Einaudi, Torino 2012

Qual è la mia verità? Ne ho una? No, non credo. Mi sono anche perquisito, spalle al muro, ma non è uscito fuori nulla. Sono un tipo pulito, non ho verità da contrabbandare. Infatti, alla domanda: «Ci dica la verità, nient'altro che la verità», mi avvalgo, sovente, della facoltà di non rispondere.
Sarà mica perché, ancora, non ho accettato degli assiomi sui quali fondarla? Forse, chissà. Il fatto è che, poi, non saprei nemmeno dove andare a cercare tali assiomi. Nella storia della propria vita? No, perché, così facendo, dedurrei una verità debole, che si appoggerebbe o su dei rimpianti, o su delle recriminazioni o, peggio, su delle autogiustificazioni. È vero che le condizioni esterne e il contesto, sono determinanti la propria vita. Ma, una volta soddisfatti tutti i bisogni primari che consentono una vita decente, con l'invidia sociale tenuta a freno da un forte senso di autostima - una volta ottenuta insomma una vita buona (secondo i parametri standard occidentali), perché non mi sento affatto dentro una verità che proclami (basterebbe a me stesso): «Ah, come sto bene: guardatemi, imitatemi, ho io nelle tasche il segreto della vita»?
Conosco molte persone che dichiarano, liberamente (e legittimamente), di aver trovato uno scopo, una verità (molte di queste l'hanno trovata nella fede, nella famiglia, nel lavoro, ecc.): a me fanno tutte un po' paura, nonostante ad alcune di loro voglia bene e le stimi, anche. Ma com'è che a me la verità altrui non mi si attacca? Con qualcuna ci ho pure provato, ma ho sempre tenuto un piede fuori il recinto della verità, non mi ci sono mai rinchiuso (almeno lo presumo - chissà che non sia dentro una verità che non conosco).

Attenzione: non voglio fare del mio non avere verità una verità.
Il punto è che, a volte, càpita di pormi fuori di me, di osservarmi, di domandarmi: «Ehi, laggiù, procede tutto bene?» come se il me dentro la vita fosse in grado, adesso, di poter rispondere. Non lo è mai stato, durante tutte le fasi in cui questa domanda gli si è messa in mezzo ai piedi.
I piedi, già. Il camminare, appunto, che non può essere, consustanzialmente, un assioma (chi cammina non sta mai fermo, per definizione). E dunque? E dunque nulla. Si va avanti come se la verità non fosse qualcosa di determinante da trovare. Esistono altri tesori nella vita. Ne ho trovati alcuni.

mercoledì 27 giugno 2012

La digestione dei blogger

Anna Emilia
Scrive Walter Siti nel suo mirabile Resistere non serve a niente, Rizzoli, Milano 2012.
«Se il corpo diventa moneta, che cosa compra esattamente il cliente quando cerca la compagnia di una escort?».
Riformuliamo la frase torcendola - arbitrariamente - ai nostri interessi.
«Se la mente (parte del corpo) diventa pagina, che cosa legge esattamente il lettore quando cerca la compagnia di un/una blogger?».
Rispondiamo (ormai che ci sono, continuo a darmi del “noi” come il divino Otelma).
Il pensiero gratuito. Già. Questo è un punto essenziale, di discrimine, tra chi è blogger e chi no. Ma non nel senso banale che i blog si leggono a gratis. No. Anche molti editoriali di molti quotidiani online e, altresì, molti libri (racconti, romanzi, saggi, poesie), si leggono a gratis.

La chiave interpretativa sta nel cambio arbitrario, da noi operato, della parola moneta con la parola pagina
Il blogger, meglio: la mente del blogger, è al di fuori del sistema merce-denaro-merce (o denaro-merce-denaro).
Il blogger è un anticapitalista per definizione.
Certo, alcuni sono diventati famosi, si sono trasformati - hanno trasformato la loro mente in merce. Scrivono per alcuni quotidiani on line, per riviste; alcuni sono andati anche in televisione o alla radio; alcuni addirittura hanno pubblicato libri con editori importanti. Varie cose, varie opportunità, tutte legittime, che smettono però di essere attività bloggeristica.
Attenzione: non facciamo un discorso sulla purezza dei blogger in rapporto a chi, invece, fa una pratica intellettuale remunerata, che entra cioè nella circolazione delle merci.
Le nostre sono considerazioni personali sul perché ancora noi blogger scriviamo, pubblichiamo cose senza sentirne il peso, senza avvertire - dietro le spalle - la presenza di un padrone quale che sia - anche il proprio  che s'impone all'io per piegarlo all'immagine che di sé vuole dare al mondo.
Perché noi non vogliamo offrire al mondo una particolare immagine di noi? No, dell'immagine non ce ne importa molto: noi vogliamo mangiare il mondo - e i post sono la nostra bocca, i nostri denti, la nostra lingua, il nostro stomaco, il nostro intestino.

N.B.
Siete legittimati a dire che, a volte, facciamo cagare, però - suvvia - non scrivetelo nei commenti. Pensatelo soltanto e mordetevi la lingua.