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sabato 21 febbraio 2015

Divertitevi

via Avvenire
Ci manca solo che diventino musulmani e poi siamo a cavallo.

Lo so, lo so che in questo senso convertirsi significa riconoscere i propri peccati, pentirsi sinceramente, fare ammenda, cospargersi il capo di cenere e cercare, per quanto possibile, di espiare il male perpetrato. So anche che, prima di Francesco, Giovanni Paolo II disse ai mafiosi la stessa cosa e con un tono molto più irato e severo (minacciando altresì il giudizio divino).

E tuttavia, da un mero punto di vista formale, i mafiosi, gli 'ndranghetisti, i camorristi, i santisti (si chiamano così gli affiliati alla Sacra Corona Unita?) sono tutti cattolici in regola coi sacramenti, dal battesimo alla sacra unzione. Anzi: molti di loro si raccomandano in continuazione non solo alla Santissima Trinità e alla Madonna, ma anche a un folto numero di santi verso i quali nutrono profonda devozione.

Dunque, se fossi il Papa, ai mafiosi chiederei di pentirsi e di mettersi sulla retta via, con fermezza sì, ma senza tanto insistere da farli impermalire, soprattutto in questa fase storica in cui feroci jihadisti, che si trovano a sud di Roma, hanno più volte dichiarato che son pronti a profanare, baionetta in canna, il soglio di Pietro. In buona sostanza, per l'economia del cattolicesimo, conviene più che i cristi e le madonne in processione facciano l'inchino alle finestre dei boss trattenuti in casa dagli arresti domiciliari, anziché rischiare di vedere i boss inchinarsi loro in direzione della Mecca.

domenica 26 ottobre 2014

La Borsa e (o è) la Mafia?

Da alcune settimane, su Sky, rimandano in onda Gomorra, la serie di sceneggiati per la tv nata da un'idea di Roberto Saviano. Mi sembra fatta bene. E se ha come scopo quello di "impressionare" lo spettatore (nel senso di lasciare un'impressione di quello che la malavita organizzata è), beh, con me ci riesce. Prova ne sia che mi porto le suggestioni dell'episodio trasmesso per un po' di tempo dopo la fine. Ogni volta penso alla frase della poesia di Primo Levi: «Considerate se questo è un uomo [...] che muore per un sì o per un no».

Peggio ancora della fiction è certamente la realtà: per esempio quello che accade in Messico da alcuni anni a questa parte, Messico diventato la centrale mondiale del narcotraffico. Messico divenuto nei fatti «la faccia tragica dell'America» - e vedere, leggere ciò che vi accade, provare a portarsi là con l'immaginazione e patire, compatire, disperarsi (poveri studenti, povera Maria, donna meravigliosa).

Ma tutto questo perché accade?

Oggi Beppe Grillo, durante un comizio, ha detto certe cose.
Ha torto? Non ha del tutto torto. È un dato di fatto che lo scopo dei capitalisti e dei mafiosi è il medesimo: fare profitto. La differenza è che i primi operano nel rispetto delle regole giuridiche che uno o più stati si sono dati; mentre la criminalità organizzata agisce contravvenendo alle leggi di proposito, principalmente perché il prodotto che porta sul mercato è fuorilegge.
Grillo, con una frase a effetto del cazzo, sostiene che la mafia dovrebbe essere quotata in borsa, dimenticando di dire che la mafia in borsa investe già da decenni.
Come dichiarò il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa:
«La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fato grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancor di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere.»*
La cosiddetta accumulazione primitiva ha (e avrà) ancora luogo fintanto che vi saranno merci la cui commercializzazione sarà proibita. Merci che hanno un'alta richiesta, come la droga o la prostituzione: valori d'uso assai ricercati che le mafie offrono a cattivo mercato. Per le mafie tali valori d'uso non sono altro che meri valori di scambio da portare sul mercato per la realizzazione del profitto, un po' come lo sono la Cinquecento o la Giuletta per Marchionne, o le Tod's o le Hogan per Della Valle (a proposito di De Valle: con la sua personale accumulazione originaria da calzolaio che cazzo ci ha fatto? La Fiorentina ai saldi, Italo, il Corriere della Sera, i braccialetti e poi?).
Per trasformare definitivamente le mafie in S.p.A. occorre quindi legalizzare tutte le merci che esse producono, distribuiscono e vendono. Non c'è altra soluzione per costringere le mafie alla legalità dell'ordine costituito.

lunedì 1 luglio 2013

Nell'area andreottiana da sempre

«Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale» [pag. 80-81]
«Cerchiamo di immaginarlo questo mafioso, divenuto capitano d'industria. Ricco, sicuro di potere disporre di una quantità di denaro che non ha dovuto prendere a prestito e che quindi non deve restituire, si adopera per creare, nel suo settore di attività, una situazione di monopolio, basata sull'intimidazione e la violenza» [pag. 129]
«Si sente ripetere sui giornali che il riciclaggio passa attraverso le finanziarie di Milano. Ma quante ne sono state identificate? Pochissime. Si dice da più parti che i riciclatori si servono delle operazioni di Borsa. Quante operazioni di questo tipo abbiamo scoperto? Nessuna, che io sappia. Affermazioni avventate di tal fatta possono influire in modo non irrilevante sul mercato legale. A volte il semplice fatto che la stampa additi alcuni settori finanziari come privilegiati dal riciclaggio basta a dirottare l'investimento con le intuibili conseguenze negative. Per dirla coi banchieri, il denaro ha “zampe di lepre e cuore di coniglio”» [pag. 139]
Giovanni Falcone, in collaborazione con Michelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991.

«A me mi hanno fatto arrestare Bernardo Provenzano e Ciancimino e non come dicono i carabinieri»
«Lei mi ci vede a confezionare la bomba di Falcone?». «Brusca non ha fatto tutto da solo. Lì c’era la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l’agenda del giudice Paolo Borsellino. Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa e non si fanno dire a chi ha consegnato l’agenda? In via D’Amelio c’entrano i servizi che si trovano a Castello Utveggio e che dopo cinque minuti dall’attentato sono scomparsi, ma subito si sono andati a prendere la borsa».
«La vera mafia in Italia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra loro e scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine assumendosi tutte le responsabilità. Io sto bene, mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura»
«Appuntato, lei mi vede a baciare Andreotti? Le posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato dell’area andreottiana da sempre». Totò Riina, Rivelazioni a un agente carcerario”.

venerdì 20 luglio 2012

Mutazioni mafiose d'occidente

«Per i mercati, resistere ora alla penetrazione criminale sarebbe come resistere alla cannula dell'ossigeno». Walter Siti, Resistere non serve a niente, Rizzoli, Milano 2012.

A margine di questo post di Fabio Brotto, alcune considerazioni laterali.
La mafia (ovvero tutto quel fenomeno di criminalità organizzata che, per semplificazione estrema, è riconducibile a tale nome) ha vinto perché, in Occidente, in Italia anche, non ha più bisogno - necessariamente - di uccidere, di fare stragi (salvo alcune efferate eccezioni, s'intende).
Inoltre, la mafia ha indiscutibilmente immesso nei mercati la sua ingente mole di denaro e non poteva essere diversamente, dacché a) pecunia non olet; b) il denaro, se resta fermo, ammuffisce; deve entrare in  circolazione per mantenersi in vita ed accrescere. Ed è entrato in circolazione nelle vene del debito: grandi, spaventosamente grandi quantità di denaro ripulito tengono per le palle gli stati molto più della lupara.
Dall'arresto dei Riina e dei Provenzano tutta una serie di giovani rampanti, beneducati e laureati nelle migliori università, ha preso le redini del capitale criminale e l'ha riversato nei mercati contribuendo, col suo sporco gioco al rialzo e al ribasso, alla fottitura delle economie nazionali.
Per la mafia tutto questo è stato facile perché, anche se essa ha mutato la sua natura belluina, ha mantenuto una “costituzione” dirigistica e gerarchica, conservando, altresì, una organizzazione, una determinazione e una unità d'intenti che nessuno stato ha, nemmeno gli stati autocratici. 

La mafia continua a vivere e prosperare perché nel ripetersi costante (dannatamente costante) del dilemma del prigioniero, adotta sempre la strategia migliore per ridurre i danni al minimo. Lo stato non può permetterselo, soprattutto uno stato di diritto.
Che fare? Avvelenare i pozzi in cui i mafiosi si dissetano. Alcune soluzioni:
a) legalizzare le droghe (soluzione temporanea);
b) sovvertire il sistema capitalistico (ma non per diventare dei corrotti comunisti cinesi o cubani, cazzo).