mercoledì 4 maggio 2011

Lorenzi Noi

Che ne dite, attraverso una sana, eclettica, carriera di blogger, avremo un domani qualche chances di diventare Direttori Generali della Rai?
(Certo che Noi, benedetti da Oltretevere non lo siamo mica tanto. Però non abbiamo soltanto letto la Certosa in francese, ma anche Incisa, Calenzano, Barberino...)

Un ottimo corredo funebre

Nutro il forte sospetto che questo artista sarà ben presto chiamato a Villa San Martino, ad Arcore, per una esposizione permanente dei suoi lavori all'interno del Mausoleo.

Il mondo è come appare



El mundo es como aparece
ante mis cinco sentidos,
y ante los tuyos que son
las orillas de los míos.
El mundo de los demás
no es el nuestro: no es el mismo.
Lecho de agua que soy,
tú, los dos, somos el río
donde cuando más profundo
se ve más despacio y límpido.
Imágenes de la vida:
a la vez que recibimos,
nos reciben entregadas
más unidamente a un ritmo.
Pero las cosas se forman
con nuestros propios delirios.
El aire tiene el tamaño
del corazón que respiro
y el sol es como la luz
con que yo le desafío.
Ciegos para los demás,
oscuros, siempre remisos,
miramos siempre hacia adentro,
vemos desde lo más íntimo.
Trabajo y amor me cuesta
conmigo así, ver contigo;
aparecer, como el agua
con la arena, siempre unidos.
Nadie me verá del todo
ni es nadie como lo miro.
Somos algo más que vemos,
algo menos que inquirimos.
Algún suceso de todos
pasa desapercibido.
Nadie nos ha visto. A nadie
ciegos de ver, hemos visto.
 

(Cancionero y romancero de ausencias) 

                 Il mondo è come appare
                 dinanzi ai miei cinque sensi,
                 e dinanzi a i tuoi che sono
                 come l'approdo dei miei.
                 Nostro non è il mondo
                 degli altri: non è lo stesso.
                 Letto dell'acqua ch'io sono,
                 tu, noi due, siamo il fiume
                 che laddove è più profondo
                 più lento e limpido appare.
                 Immagini della vita:
                 via via che le riceviamo,
                 ci accolgono consegnate
                 più strettamente a un ritmo.
                 Ma le cose si formano
                 coi nostri stessi delirî.
                 L'aria ha la dimensione
                 del cuore che io respiro
                 e il sole è come la luce
                 con la quale io lo sfido.
                Agli occhi degli altri, ciechi,
                oscuri, sempre deboli,
                guardiamo all'interno sempre,
                vediamo dal più intimo.
                Fatica e amore mi costa
                così con me, con te vedere;
                apparire, come l'acqua
                con la sabbia, sempre uniti.
                Nessuno mi vedrà intero,
                nessuno è come lo guardo.
                Siamo più di ciò che vediamo,
                meno di ciò che indaghiamo.
                Qualche vicenda di tutti
                inavvertita trascorre.
                Nessuno ci ha veduti.
                Ciechi di tanto vedere,
                nessuno abbiamo veduto
Miguel Hernández, Poesie, Feltrinelli, Milano 1962 (a cura di Dario Puccini)

È normale che dopo l'evento della uccisione di bin Laden sorgano mille e uno pensieri cospirazionisti.
Ma aldilà delle ragioni degli uni e dei torti degli altri, se il mondo cominciasse per tutti a essere solo ciò che appare? Se l'apparenza fosse la realtà unica e definitiva? Suvvia, un po' di sano riduzionismo. Non complichiamoci la vita con molteplici versioni del reale. «Nessuno mi vedrà intero, / nessuno è come lo guardo. / Siamo più di ciò che vediamo, / meno di ciò che indaghiamo». 

martedì 3 maggio 2011

Un post inutile


Non so perché, ma da quando ho pubblicato questo post, mi sembra ci sia nel blog una specie di gingle fastidioso, che si mette in moto solo a schermata piena di www.alterlucas.com (non quando uno apre un post singolo, anche solo quello in oggetto). 
Per ora lo tengo, ma se perdura tolgo il post, sperando che poi sia lì il file audio nascosto.
Intatto ne approfitto per postare un profilo che basta chiudere gli occhi per trovare dove mettere al riparo i propri pensieri stanchi.

One Nation Under God


Tutto questo “fare” sotto Dio, questa invocazione continua di benedizione, questo considerare Dio sempre e comunque vestito con bandiera a stelle e strisce, questa vocazione profetica, questo sentimento profondo di essere il nuovo Israele – la sua naturale prosecuzione.
Se Obama, invece di seguire le orme dei precedessori, soprattutto quelle di Bush; se invece di saziare il desiderio popolare di vendetta, avesse imposto, da vero illuminato, il veto all'uccisione di Bin Laden, ovverosia avesse catturato e dato in pasto a dei giudici il Grande Nemico (magari ai terribili magistrati brigatisti stalinisti della Procura di Milano, autori di considerevoli “purghe”) - ecco che allora avrebbe dato all'America un segno oltremondano di distacco dalla sete di sangue della terra. Barack Obama avrebbe messo in crisi la cultura wanted, la cultura della vittima espiatoria che, una volta espulsa, guarisce tutti i mali del mondo. Il mondo senza Osama bin Laden non è, né sarà, migliore o peggiore. Sarà sempre disgraziatamente lo stesso.
Eppure Barack Obama, col suo aplomb, col suo stile, con la sua intelligenza, ha avuto l'opportunità di lasciare un graffio, un segno storico che, di sicuro, si sarebbe impresso sulla Luna al posto del marchio di Caino. Ma Obama, ripeto, è rimasto attaccato alla terra e il suo passo apparentemente leggero di gazzella si è rivelato essere pesante come l'andatura del leone, che ha soddisfatto la sua fame azzannando il corpo della preda. Una preda presa a brani, nell'euforia generale della folla, che, come menadi festanti, ha levato in alto i calici riempiti col sangue ancora caldo della vittima.
Barack Obama ha scelto di nuovo il consueto rituale religioso del sacrificio: la terra americana, irrigata di sangue, prospererà ancora avvolta nell'illusione di essere la nazione eletta di un Dio affamato di Giustizia. Ma un Dio che non processa i suoi nemici non avrà mai vera pace e avrà sempre bisogno di nemici. Mi spiace dirlo, ma in queste occasioni I'm not very American. I'm human being, just a human being.

lunedì 2 maggio 2011

Oh, oh piccolo Kate

[*]

Jesus Blogger Superstar

Merito a Giglioli di queste cronache bloggeristiche vaticane.
Mi ha colpito questo passaggio
François Jeanne-Beylot secondo il quale «Internet è il regno di chi grida più forte e quindi i blog servono ai cattolici per gridare forte almeno quanto gli altri»; poi ha aggiunto che oggi se fosse vivo «Gesù Cristo aprirebbe un blog» per far sentire la sua predicazione.
Innanzitutto, le urla del blogger. Tranne i rari casi di coloro che si esprimono attraverso Youtube et similia (che, secondo me, non sono blogger), avete mai sentito voi qualche blogger gridare dalle sue pagine digitali? La parola scritta non grida, va da sé.
E poi, il Gesù Blogger. Ganzo vero? Dopo aver stracciato Beppe Grillo, Giglioli stesso e altri, chissà come si divertirebbe a interloquire con Malvino, con Dawkins, Harris, ecc. Secondo me li farebbe apostoli, anche se - immagino - essi declinerebbero l'invito. 
E se insieme a Gesù fosse vivo pure Giuda, cosa farebbe questi? Scriverebbe direttamente per Il Foglio?

Catena alimentare

- Americà, che gl(i)e potevate fa 'a barba che nun la diggerisco?

Dubbi semantici


Abbottabad: una botta cattiva (brutta botta) o una botta e via?

P.S.
Un plauso al solerte redattore wikipediano.

La fortuna degli inglesi


Ma ci pensi se avessero preso OBL lo scorso venerdì mattina?

Morto un papa se ne fa un altro

Stamani, ore 7,50 circa. Entro dal mio fornaio di riferimento.
"Massaro, hai sentito? Hanno ammazzato Bin Laden".
"No, davvero?".

Mentre dico così mi porta davanti al suo pc acceso, mi offre un caffè e mi mostra la news.

"Chissà perché avrei preferito un'altra notizia... e chissà se poi non venga qualcuno di peggio. Come ha scritto ieri Saviano a proposito del boss del narcotraffico messicano: non esistono più le buone mafie di una volta".
....
"Già, morto un papa se ne fa un altro", dice lui
"E chissà se a Bin Laden toglieranno almeno un ampolla di sangue", dico io.

domenica 1 maggio 2011

Lavorare stanca

Me lo ricordo bene: io da grande avrei voluto non lavorare. Pour moi le travail c'est du travail.
Selon Alain Rey1, le mot travail (apparu vers 1130) est un déverbal de travailler, issu (vers 1080) du latin populaire tripaliare, signifiant « tourmenter, torturer avec le trepalium ». Sous l'Antiquité, le terme bas latin trepalium (attesté en 582) est une déformation de tripalium, un instrument formé de trois pieux, deux verticaux et un placé en transversale, auquel on attachait les animaux pour les ferrer ou les soigner, ou les esclaves pour les punir. [W]
Come mai nutrivo (nutro) questo pensiero? Forse perché i miei erano proletari? Il lavoro nobilita l'uomo... mica vero; ovvero: per certuni, forse; per cert'altri no. Io sono fra i cert'altri.
Per me il lavoro è sottrazione di tempo "libero", di tempo "mio", di tempo dedicato all'inazione, al pensiero fermo, alla noia, alla velocità dei cumulonembi. 
Il lavoro secondo me è bello quando uno non si accorge di lavorare; vale a dire quando uno sente di non sprecare il suo tempo, o di svolgere il proprio lavoro senza il peso del dovere: anzi: quando il lavoro è parte del proprio essere (o del proprio dover essere) allora non è lavoro, travaglio, fatica, alienazione, perdita sostanziale di tempo, sottrazione di vita. Ma la percentuale di umani che vive il proprio lavoro secondo questo criterio è tristemente minima. La maggior parte dell'umanità vive il lavoro come obbligo, come necessità. Lavorare stanca

Traversare una strada per scappare di casa 
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira 
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo 
e non scappa di casa.

Il lavoro è travaglio, è pena quando vorresti scappare, essere altrove. In caso contrario non è lavoro, perché la strada che hai attraversato per essere grande ti ha condotto nelle braccia di te stesso, non nelle catene dell'altro.

Travasi intellettuali

Apprendo oggi che, da ieri, Serena Vitale, raffinatissima intellettuale italiana, ha iniziato la sua collaborazione con Il Foglio.
Dato che anch'ella, come molte altre prestigiose firme, collaborava fino a ieri l'altro con la Domenica de Il Sole 24 Ore mi domando e cosa stia succedendo al (fu) più autorevole inserto settimanale culturale italiano; e cosa nasconda questa campagna acquisti di Ferrara.
A quest'ultimo quesito azzardo una risposta: che Ferrara, dopo il fiasco della campagna anti-neopuritana, senta la necessità di ingraziarsi quanti più "intellettuali" possibile per non ritrovarseli poi contro, o - peggio ancora - indifferenti, quando dovrà difendere l'ennesima nefandezza berlusconiana?

E non andare a Rimini


Una faccia, un padre


«Colpito dalla rigorosità dei racconti biblici, consapevole della mia incapacità di osservare tutti e dieci i comandamenti di Dio, nato con il marchio del peccato originale, tormentato dal catechismo che mi dimostra in ogni pagina che sono un peccatore, che la mia caduta è ineluttabile e che sono destinato all'inferno, mi abbandono ai miei romanzi come mi abbandono ai pensieri peccaminosi che non posso scacciare e che tuttavia, misurati con le severe leggi draconiane del giudizio universale, sono meno peccaminosi delle azioni e dei comportamenti. Traggo dai romanzi i mari, le terre, i cieli, gli amori. Oh, vita, mondo, libertà! Oh, padre mio!»
Danilo Kiš, Giardino, cenere, Adelphi, Milano 1986, pag. 179 (traduzione di Lionello Costantini)

Lo so, non ci crederete, ma io, quando morì Karol Wojtyla, piansi.
Gli ultimi anni del pontificato, quelli del decadimento fisico, me lo rendevano vicino, fratello e padre. Ecco: Wojtyla mi ricordava mio padre, stesso volto, stessa sofferenza, stessa stanchezza, stesso desiderio di lasciarsi andare. 
Nonostante non concordassi quasi niente con lui in materia di fede e detestassi il suo integralismo e il suo sostegno a personaggi vergognosi, Karol Wojtyla mi piaceva perché non era un santo, ma un uomo; un uomo capace, a volte, di chiedere scusa, di domandare perdono, di chinare la testa di fronte al male commesso nel nome di Cristo; inoltre, egli era l'esposizione di un corpo che soffre, un corpo che moriva in diretta, un corpo che mostrava la sua impotenza di fronte allo scorrere del tempo, un corpo che faceva della sua fragilità un'autentica forza. 
Mi sbaglierò, ma io credo che nel suo intimo disapproverebbe questa santificazione forzata, questo processo di superstizione, questo mercimonio, questo culto spropositato. O forse no. Forse dentro sé sarebbe felice, dato che egli stesso fu artefice di numerosissime santificazioni.
Non lo so, so solo che mi sarebbe piaciuto stringergli la mano (non baciarla), e forse anche di più abbracciarlo, come si abbraccia un padre.