domenica 1 maggio 2011

Una faccia, un padre


«Colpito dalla rigorosità dei racconti biblici, consapevole della mia incapacità di osservare tutti e dieci i comandamenti di Dio, nato con il marchio del peccato originale, tormentato dal catechismo che mi dimostra in ogni pagina che sono un peccatore, che la mia caduta è ineluttabile e che sono destinato all'inferno, mi abbandono ai miei romanzi come mi abbandono ai pensieri peccaminosi che non posso scacciare e che tuttavia, misurati con le severe leggi draconiane del giudizio universale, sono meno peccaminosi delle azioni e dei comportamenti. Traggo dai romanzi i mari, le terre, i cieli, gli amori. Oh, vita, mondo, libertà! Oh, padre mio!»
Danilo Kiš, Giardino, cenere, Adelphi, Milano 1986, pag. 179 (traduzione di Lionello Costantini)

Lo so, non ci crederete, ma io, quando morì Karol Wojtyla, piansi.
Gli ultimi anni del pontificato, quelli del decadimento fisico, me lo rendevano vicino, fratello e padre. Ecco: Wojtyla mi ricordava mio padre, stesso volto, stessa sofferenza, stessa stanchezza, stesso desiderio di lasciarsi andare. 
Nonostante non concordassi quasi niente con lui in materia di fede e detestassi il suo integralismo e il suo sostegno a personaggi vergognosi, Karol Wojtyla mi piaceva perché non era un santo, ma un uomo; un uomo capace, a volte, di chiedere scusa, di domandare perdono, di chinare la testa di fronte al male commesso nel nome di Cristo; inoltre, egli era l'esposizione di un corpo che soffre, un corpo che moriva in diretta, un corpo che mostrava la sua impotenza di fronte allo scorrere del tempo, un corpo che faceva della sua fragilità un'autentica forza. 
Mi sbaglierò, ma io credo che nel suo intimo disapproverebbe questa santificazione forzata, questo processo di superstizione, questo mercimonio, questo culto spropositato. O forse no. Forse dentro sé sarebbe felice, dato che egli stesso fu artefice di numerosissime santificazioni.
Non lo so, so solo che mi sarebbe piaciuto stringergli la mano (non baciarla), e forse anche di più abbracciarlo, come si abbraccia un padre.

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