«Al principio era il Pensiero? o al principio era la Azione? Il pensiero è il feto dell'Azione o piuttosto l'azione ormai giovane. Non introduciamo un terzo termine, il Verbo: perché il Verbo non è che il Pensiero percepito, sia da colui che esso abita, sia dai passanti dell'esteriorizzato. Ma notiamolo tuttavia: perché fatto il Verbo il Pensiero è irrigidito in uno dei suoi attimi, ha una forma - in quanto percepito - dunque non è più embrione - embrione dell'azione. - Bisogna che al principio l'Azione sia, per lo svolgersi degli atti del presente e del passato. Essa era, è, sarà nei minuti della durata, mediante l'indefinito discontinuo. - Al principio il Pensiero non era, perché È fuori del tempo: esso secerne il tempo con la sua testa, il suo cuore e i suoi piedi di Passato, di Presente e di Futuro. È in sé e per sé, e scende verso la morte scendendo verso la Durata.»
Alfred Jarry, Essere e vivere, Adelphi, Milano 1969 (traduzione a cura di C. Rugafiori e H.J. Maxwell)
Ci pensavo oggi a tutto questo. Mica vero. È un pensiero scorretto il mio. Analisi: oggi cosa ho pensato? Diverse cose, come tutti. Ne ricordo una, scaturita dopo una conversazione sul mercato immobiliare con dei colleghi immobili.
Gli immobili sono fermi. Ma anche i prezzi. O meglio scendono pochino pochino. Gli interessi dei mutui, invece, sono alti. Dici: cento metri quadrati in condominio ti costano più di trent'anni di galera di mutuo. Sì, ma sono cose fuori del tempo, il mutuo, la casa, il Passato, il Presente, il Futuro. Mi sovviene
Malvino di qualche mese fa che scrisse qualcosa di ineccepibile sul perché in Italia esista una siffatta politica immobiliare, che abbia spinto la maggioranza della popolazione a
sacrificarsi per la casa - per impiccarli economicamente e politicamente e dar loro l'illusione di essere proprietari.
«La rincorsa al modello della casa di proprietà ha portato una gran parte degli italiani alla dipendenza dal blocco di potere bancario, con quanto ne deriva sul piano del condizionamento della vita economica, sociale e politica.»
Piccoli proprietari siamo noi. Dei padroni delle nostre mura. Di cemento che tende a sgretolarsi. Occorre concepire un pensiero. Oppure - forse meglio - trovare qualcuno che ne abbia concepito uno al riguardo. Comunque la pensiate, ammesso che non siate in quell'un per cento della popolazione che pensa come
Piero Ottone, penso che Marx ed Engels abbiano pensato e scritto le cose giuste in un capitolo del Manifesto del Partito Comunista, dal titolo
Proletari e comunisti. Ne riporto un estratto, usufruendo, per comodità, della traduzione (datata) che offre
Wikipedia:
Rimproverano, a noi comunisti, di volere abolire la proprietà personale acquistata col lavoro, la proprietà che è garanzia di tutte le libertà, dell’attività e dell’indipendenza.
Per proprietà acquistata col lavoro intendono la proprietà del contadino, del piccolo borghese, anteriore alla proprietà borghese? questa noi non abbiamo ad abolirla; il progresso dell’industria l’ha di già abolita, o è dietro ad abolirla.
Oppure vogliono parlare della proprietà privata, della proprietà borghese moderna?
Ma come il proletario col suo lavoro gode della proprietà? In nessun modo; esso crea il capitale, cioè la proprietà, che sfrutta il lavoro salariato, e che non può accrescersi, che a condizione di creare del nuovo lavoro salariato, affine di sfruttarlo ancora.
Nella sua forma presente, la proprietà si muove tra i due termini in antinomia tra loro: capitale e lavoro salariato. Esaminiamo le due parti di questo antagonismo.
Essere capitalista significa non soltanto occupare una posizione personale, ma ancora una posizione sociale nel sistema della produzione. Il capitale è un prodotto collettivo; esso non può essere messo in movimento che con gli sforzi combinati di una massa d’individui: in ultimo luogo esso esige per il suo funzionamento gli sforzi combinati di tutti gl’individui della società.
Arriviamo al lavoro salariato.
Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario, cioè la somma dei mezzi d’esistenza, di cui l’operaio ha bisogno per vivere da operaio. Per conseguenza ciò che l’operaio salariato s’appropria colla sua attività, è giusto ciò che gli è necessario a mantenere la sua esistenza. Noi non vogliamo in alcun, modo, abolire quest’appropriazione personale dei prodotti del lavoro indispensabile al mantenimento dell’esistenza quest’appropriazione non lascia dietro di sé alcun profitto netto, che dia del potere sul lavoro degli altri. Ciò che noi vogliamo è, sopprimere le miserie di quest’appropriazione, che fanno sì che l’operaio non vive, che per accrescere il capitale, e nei limiti voluti dagl’interessi della classe dominante.
Nella società borghese, il lavoro vivente non è che un mezzo d’accrescere il lavoro accumulato. Nella società comunista, il lavoro accumulato non sarà che un mezzo di allargare e di abbellire l’esistenza dei lavoratori.
Nella società borghese, il passato domina il presente; nella società comunista, è il presente che dominerà il passato. Nella società borghese, il capitale è indipendente e personale, mentre l’individuo, che agisce, è dipendente e privo di personalità.
Ed è l’abolizione di un simile stato di cose che la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà. In questo essa non ha torto. Poiché si tratta effettivamente dell’abolizione dell’individualità, dell’indipendenza, e della libertà borghese.
Per libertà, nelle condizioni attuali della produzione borghese, s’intende la libertà del commercio, il libero scambio.
Ma abolite il traffico, e voi abolirete nel medesimo tempo il traffico libero.
Del resto, tutte le belle frasi sul libero scambio, come pure tutte le furfanterie liberali dei nostri borghesi, non hanno un senso che per opposizione al commercio impedito, al borghese asservito del medio evo; esse non ne hanno alcuno, allorché si tratta dell’abolizione del traffico, dell’abolizione dei rapporti della produzione borghese e della borghesia stessa.
Voi siete spaventati perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale, la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri. Ed è precisamente perché essa non esiste per nove decimi, che esiste per voi..
Voi ci rimproverate dunque, di volere abolire una proprietà, che non può costituirsi senza privare l’immensa maggioranza della società d’oggi proprietà.
In una parola, voi ci accusate di volere abolire la vostra proprietà. Diffatti è ben questa la nostra intenzione.
Dal momento che il lavoro non può più essere trasformato in capitale, in moneta, in proprietà fondiaria, in potere sociale capace di essere monopolizzato; cioè dal momento che la proprietà può più essere convertita in proprietà borghese, voi vi affrettate di dichiarare che l’individualità è soppressa.
Voi confessate dunque, che allorché parlate dell’individuo, voi non intendete parlare che del borghese. E questo individuo, è vero, noi vogliamo sopprimerlo.*
Il comunismo non toglie a nessuno potere d’appropriarsi la sua parte dei prodotti sociali, esso non toglie che il potere di assoggettare coll’aiuto di quest’appropriazione, il lavoro degli altri.
Voi pretendete ancora che coll’abolizione della proprietà privata, cesserebbe ogni attività, che una poltroneria generale s’impadronirebbe del mondo. Se ciò fosse possibile sarebbe molto tempo che la società borghese sarebbe morta di pigrizia, poiché coloro che lavorano non guadagnano, e coloro che guadagnano non lavorano. Tutta l’obbiezione si riduce a questa tautologia: che non vi è lavoro salariato, dove non è capitale.
Le accuse mosse contro il sistema comunista di produzione e d’appropriazione dei prodotti materiali, sono state mosse egualmente contro la produzione e l’appropriazione intellettuale. Come per il borghese, l’abolizione della proprietà di classe è l’abolizione d’ogni proprietà, così l’abolizione della coltura intellettuale di classe è l’abolizione d’ogni coltura intellettuale.
La coltura di cui esso deplora la perdita, significa per l’immensa maggioranza la maniera di divenire macchina.
Ma cessate di criticarci, finché giudicherete l’abolizione della proprietà privata secondo le vostre nozioni borghesi di libertà, di coltura, di diritto, ecc. Le vostre idee sono esse stesse i prodotti dei rapporti della produzione e della proprietà borghese, come il vostro diritto non è che la volontà della vostra classe eretta in legge, e come questa volontà, è essa stessa creata dalle condizioni materiali della vita della classe vostra.
Il concetto interessato che vi fa vedere nei vostri rapporti di produzione e di proprietà non dei rapporti transitorii nel progresso della produzione, ma delle leggi eterne di natura e di ragione, questo concetto illusorio, voi lo divideste con tutte le classi un tempo regnanti, ed oggi scomparse. Ciò che concepite per la proprietà antica, ciò che intendete per la proprietà feudale, non comprendete per la proprietà borghese.
* Confesso che questo è l'unico punto in cui non mi trovo d'accordo con gli autori. Questo "sopprimerlo" m'inquieta - forse su tale termine si sono appoggiati i dittatori del proletariato. Credo, tuttavia, che con sopprimere qui s'intende la mentalità borghese che tende a far credere che il suo pensiero, la sua azione siano l'unico Verbo, l'unica Legge, l'unico Potere possibile.