venerdì 19 maggio 2017

Il tagliaunghie delle vanità


«La personalità dell'artista, dapprima un grido, una cadenza o uno stato d'animo, poi una narrazione fluida ed esterna, si sottilizza alla fine sino a sparire, si spersonalizza, per così dire. L'immagine estetica nella forma drammatica è la vita, purificata nell'immaginazione umana e da questa riproiettata fuori. Il mistero della creazione estetica, come quello della creazione materiale, è compiuto. L'artista, come il Dio della creazione, rimane dentro o dietro o al di là o al disopra dell'opera sua, invisibile, sottilizzato sino a sparire, indifferente, occupato a curarsi le unghie.»

James Joyce, Dedalus. Ritratto dell'artista da giovane, Adelphi, Milano ed. XII 1987, trad. di Cesare Pavese.

Trent'anni fa, al primo Salone alla prima Fiera del Libro (ancora non internazionale, ancora non al Lingotto, ma ubicata in altro centro fieristico di Torino), c'ero. Ci andai. Ci fui.
E ci stetti, tre giorni, pagando l'ingresso ogni giorno (settemila lire, forse, che non erano rimborsate facendo acquisti: per questo comprai un solo libro), per cercare inutilmente di incontrare Ceronetti (che non c'era, non essendo animale da fiera), ivi trovando e timidamente salutando Umberto Eco (avrei potuto avere l'occasione di una sua firma, ma avevo in mano Dedalus e la ragazza indigena che mi accompagnava bloccò la figuraccia perché io, stonato provinciale, avrei avuto anche l'ardire di chiedere un autografo a un autore da apporre su un libro non suo), e altri, più o meno noti e importanti.

L'impressione che ne ebbi, che tuttora ho quando entro nei grandi store librari: il libro è, tra le merci, la meno adatta per essere esposta copiosamente, come succede a ogni articolo in promozione al supermercato. Vedere colonne e altopiani dello stesso volume, best seller del momento, dà l'idea di valanga imminente dalla quale mettersi in salvo. Non dico questo per snobismo, ma perché il libro o è inattuale o non è, giacché il libro attuale è condannato nell'attimo stesso in cui è pubblicato, perché ha perso la sfida col tempo perso a scriverlo. Soprattutto: il libro è tra gli oggetti il più impromozionabile, a disdoro degli autori che lo promuovono. Chi scrive, una volta scritto, deve rimanere «dentro l'opera o dietro o al di là o al disopra dell'opera sua, invisibile, sottilizzato sino a sparire, indifferente, occupato a curarsi le unghie.»

Oggi mi sono messo lo smalto.

2 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

i più bei libri sono quelli sognati, cioè quelli introvabili, che puoi leggere quasi solo in una grande biblioteca e a volte nemmeno lì, e che il caso forse ti farà incontrare un giorno su un catalogo antiquario o in una bancarella (sempre meno). il libro che rimpiangi di più è ovviamente quello che hai prestato e che non è più ritornato a casa. perciò hai deciso, giurando al cielo, che mai più ci sarà un altro desaparecidos. eppure un giorno dovremmo lasciarli tutti ed è una delle cose che rimpiangi di più. in quali indegne mani finiranno? chi crede siano dei semplici oggetti si sbaglia. avranno ancora le cure che tu gli prestavi, sguardi amorevoli e carezze ai quali erano abituati? forse, ma non saranno più gli stessi sguardi e le stesse carezze di chi li ha accuditi e allevati.

Luca Massaro ha detto...

Grazie, carissima Madame