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domenica 29 gennaio 2012

La ritirata del capitale

A Olympe, alla sua impresa pedagogica.


A Davos si riscopre il concetto di classe. Tutta colpa della divisione dei cessi. Forse che sia questa la ritirata del capitale?
Ho già detto che sto entrando, in punta dei piedi, nell'edificio teorico di Marx. Quello che comincio a leggere nelle pareti d'ingresso è che il comunismo non può e non deve essere uno stato ma un movimento che tenta di abolire la divisione dei cessi in modo strutturale non per invertire l'ordine dei fattori tra sfruttati e sfruttatori, bensì per permettere agli individui trasformare la storia particolare in storia universale.
«Nella storia fino ad oggi trascorsa è certo un fatto empirico che i singoli individui, con l'allargarsi dell'attività sul piano storico universale, sono stati sempre asserviti a un potere a loro estraneo [...], a un potere del cosiddetto spirito che è diventato sempre più smisurato e che in ultima istanza si rivela come mercato mondiale. Ma è altrettanto empiricamente dimostrato che col rovesciamento dello stato attuale della società attraverso la rivoluzione comunista [...] e l'abolizione della proprietà privata che con essa si identifica, questo potere così misterioso [...] verrà liquidato, e allora verrà attuata la liberazione di ogni singolo individuo nella stessa misura in cui la storia si trasforma in storia universale. Che la ricchezza spirituale reale dell'individuo dipenda interamente dalla ricchezza delle sue relazioni reali [...]. Soltanto attraverso quel passo i singoli individui vengono liberati dai vari limiti nazionali e locali, posti in relazione pratica con la produzione (anche spirituale) di tutto il mondo e messi in condizione di acquistare la capacità di godere di questa produzione universale di tutta la terra (creazioni degli uomini)».
Karl Marx-Friedrich Engels, La concezione materialistica della storia, 1845-46, traduzione di Fausto Codino, Editori Riuniti, Roma 1971
Premetto che a me convince molto tale piano teorico (e anche pratico) di liberazione, ma sento che esso non deve essere guidato da qualcuno (un partito, per esempio), ma vissuto singolarmente; e questo, lo so, è difficile. La coscienza individuale è quella che conta; e, altresì, quello che sta un millimetro sotto la coscienza: il desiderio. Cosa desideriamo veramente, o meglio: il prendere coscienza della necessità della rivoluzione, riuscirà a modificare i nostri stessi bisogni e desideri? Ricordiamo, infatti, che una volta soddisfatti tutti i bisogni primari, l'uomo desidera ancora. E cosa desidera se non l'essere? Voglio dire: nella nostra vita non ci può essere uno stato di quiete, di perfezione, di felicità assoluta. Siamo più o meno tutti con l'acqua alla gola, cambia solo il sapore dell'acqua, la capacità di berne quantità di amara e salata e putrida, o chiara e fresca e dolce.
E penso a Laura anch'io. Tutti abbiamo una Laura che spegne e accende le nostre lacrime e le nostra risa. A intermittenza.
Sono dentro questo palazzo e mi muovo a modo mio. «Da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni». Qualcuno sa indicarmi la porta del bagno?

domenica 2 ottobre 2011

Ombre della perfezione

Vale la pena leggere le meditazioni weiliane di Morena Martini. E parto dalla sua conclusione.

Oggi il mondo è ingiusto, lo sappiamo bene. Ovunque, non si sentono che lamentazioni. Il problema sorge quando ciò che percepisci tu come ingiusto, e poi quel che è ingiusto per me, non collimano, si sbilanciano. Tu avverti la tua indignazione nei confronti dell' ingiustizia a te cara come assoluta priorità, e così affossi la mia, di cui non t'accorgi. Potresti guardarmi morente, e non cambieresti opinione, dentro di te.
Serve l' ordine. Una perfetta scienza sociale. Come si fa. Ed ho appena scoperto che non c'è alcuna via di scampo. Bisogna amarsi. Il resto sono chiacchiere.

Sono pronto, le vorrei dire. Ma pronto a che? L'unica cosa là fuori disposta ad abbracciarci in completa gratuità sono gli alberi, forse, almeno quelli che restano, integri, e non ancora offesi. Questo imperativo sociale dell'amore implica la possibilità di guardarsi negli occhi con chiunque, per scoprire nell'altro un altro io che chiede giustizia e aiuto. Più spesso, però, negli occhi dell'altro intravediamo le nostre paure. Legittime paure di chi troppo spesso ha visto la belva umana addentare la carne dell'innocente.
Non siamo perfetti e il principio primo di ogni tranquilla vita sociale è riconoscerlo. E soprattutto, non aspirare a diventarlo. Certo, Cristo da qualche parte dice: siate perfetti - ma lui scherzava e lo sapeva bene. Duemila anni dopo lo possiamo dire con sicurezza: la perfezione è sinonimo di sterminio. “Perfetti” sono solo coloro che tali non si riconoscono e mettono sul mercato i loro difetti, le loro paure, le loro miserie e meschinità. Il primo passo verso la guarigione, è risaputo, avviene quando uno prende coscienza della propria malattia. Ostinarsi a credere nella nostra santità, ovvero a ritenere che il confine dei nostri cento anni sia l'eterno, è il più grande inganno compiuto dall'uomo sull'uomo. Bisogna insegnare a saper morire fin da piccoli, ricordarlo ogni giorno, così come ricordare che sesso e morte sono intrinsecamente legati, gioia e dolore, salute e malattia. Non voglio farla lunga sentenziando cose note, precetti di saggezza che i sapienti di ogni tempo non fanno che ripeterci. Voglio solo sùggere la vita, non suggerirla, stagione dopo stagione, mano dopo mano, abbraccio dopo abbraccio. 
La perfezione diventa solo un'ombra dietro il castagno; passa un cane e ci orina contro.

venerdì 12 agosto 2011

Un io da lavare


Authenticity is the daily practice of letting go of who we think we’re supposed to be and embracing who we are. – Brené Brown, The Gifts of Imperfection

«Autenticità è quella pratica quotidiana di lasciar andare chi pensiamo di dover essere per abbracciare chi siamo» Brené Brown*. [Spero di aver tradotto bene].

Questo bel pensiero, un po' alberonico e tamarriano, lo faccio mio per un istante, intenso, ma poi penso: anche gli stronzi, anche gli psicopatici, anche le merde a prescindere possono ripetere in cuor loro tale frase?
Per chi può valere insomma questo pensiero?
Per tutti coloro che, in fondo in fondo, gratta gratta, stanno bene con se stessi, nonostante le proprie vergogne e paure. Per chi è abbastanza soddisfatto di sé, ma non troppo. Per il buon egotista. Per colui che trova rifugio in una semplice, impagabile, stilla di tenerezza.
Avete mai provato ad abbracciarvi da soli, così per celia? A mettere le mani a palmo sulla vostra schiena, e trattenere, nella stretta delle vostre braccia, quel piccolo/grande barlume d'essere che voi rappresentate?

lunedì 20 giugno 2011

Desiderio vuol dire

Desiderio vuol dire
attesa che si inoltra
di poco - nelle spire
irrisolte di un'altra

eterna scelta: latte?
limone? Con astuzia
provvedo che la sorte
non esca dalla tazza.

Toti Scialoja, Qui la vista è sui tigli (1978-1985), in Poesie, Garzanti 2002.

Dice Morena: «La felicità altro non è che il piacere senza rimorso». È una definizione che sento penetrare il mio quieto vivere. Una ragione in più per confermarmi che non si può dire "sono felice", ma soltanto che "sono stato felice".