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domenica 20 dicembre 2020

Una bella ideologia

Per ritornare ancora su Massimo D'Alema: «perché non mettiamo due o tre princìpi insieme e costruiamo una bella ideologia?»
 
«Che cosa significa essere “persona”? Essere liberi, uguali, avere proprietà, avere capacità di decidere che cosa fare. Ma qual è la condizione strutturale perché questi individui/persone possano fare queste cose? Nel mondo della produzione e circolazione di merci la condizione strutturale è che essi abbiano dei soldi; avere un reddito è la condizione materiale della pratica della personalità. Essere libero nel mercato capitalistico vuol dire poter comprare quello che si vuole; ma se non si hanno i soldi non si può comprare un bel niente. Essere uguali vuol dire poter fare quello che fanno tutti gli altri, ma se non si hanno soldi non si può praticare questa uguaglianza, perché mancano le condizioni materiali. La carenza di lavoro e di reddito mette in crisi materialmente il concetto di persona, in quanto, se la pratica della personalità passa attraverso la disposizione di reddito, il non avere reddito crea la condizione materiale affinché non si possa essere persone. 

Nella prospettiva del singolo individuo che cosa si può fare per essere persone? Avere un reddito. Come si può avere un reddito se non esistono le condizioni di impiego? Qui inizia strutturalmente una dinamica per cui molti individui sono propensi ad avere un reddito in maniera illegale; illegale non vuol dire semplicemente lavorare in nero, ma vuol dire anche raccomandazione, avere una pensione grazie al cugino del ministro ecc. ecc.; tutte dinamiche che permettono di essere persone avendo un reddito; ma - e questo è il punto decisivo - per avere questo reddito ed essere persone si viola il concetto stesso di persona perché non si rispetta, nemmeno a livello formale, la libertà ed eguaglianza delle altre persone. Per avere un reddito e praticare la propria libertà ed eguaglianza si attuano delle pratiche che violano libertà ed eguaglianza. Ciò è necessario perché lo stesso sistema che crea l’ideologia della persona, determina condizioni materiali per cui sia strutturalmente impossibile che tutti diventino persone. Diventa dunque una pratica di massa la violazione della personalità per essere una persona. È una dinamica contraddittoria che culmina nella distruzione ideologica del concetto di persona o quanto meno della sua universalità

Roberto Fineschi, Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare.

 
 
 

sabato 19 dicembre 2020

A Sinistra c'era vita

Sinceramente, ascolto o leggo quasi sempre volentieri D'Alema: non mi sta antipatico, piuttosto il contrario, perché lo ritengo - forse a torto - una persona intelligente. 
Viceversa, la sua storia politica mi sta antipatica eccome, sebbene salutai con favore la parabola ascendente che lo portò a diventare presidente del consiglio e, poi, qualche anno dopo, anche ministro degli esteri del Prodi bis.
Venuto meno lo scandalo Berlusconi (che mi faceva da paraocchi, lo confesso) e finita l'illusione riformista e la possibilità di dare qualsiasi credito al Pd (più o meno, dal governo Monti in poi), il credito politico che avevo concesso a D'Alema si è esaurito e non c'è stato verso di concedergli un centesimo in più, anche in funzione anti-renziana (sebbene il vacuo e svilente discorso di Renzi sulla rottamazione stava per farmi riaprire il portamonete).

Per venire all'oggi: sul Corriere, D'Alema ha rilasciato un'intervista ad Antonio Polito, nella quale dice - come quasi sempre gli capita - cose sensate. Purtuttavia, questa volta, certe considerazioni mi hanno dapprima disorientato e poi hanno fatto girare le palle. Vediamo perché:
Di recente ha detto che «a sinistra c’è vita». Gli chiedo dove l’abbia vista, ora che sono chiusi i bar per gli apericena. Risponde che c’è poco da scherzare, alle regionali la sinistra ha retto grazie alla tenuta del Pd, e sta affrontando bene la prova del governo in condizioni terribili. Ma il problema è: come si va avanti? Secondo D’Alema bisogna fare «un partito nuovo». Il ragionamento è questo: «Il Pd era nato con la vocazione maggioritaria; ma non solo non ha raggiunto il 50%, è anche lontano da quel 30% di italiani che si riconoscono nella sinistra. Le formazioni che se ne sono staccate, compresa quella che per ragioni morali ho contribuito a fondare, hanno anch’esse fallito il loro obiettivo politico. Serve una forza nuova, una vera e propria associazione politica. Che abbia degli iscritti, non dico i milioni di un tempo, ma cento, duecentomila persone che possano volersi iscrivere a un partito, abbiano il potere di decidere e non deleghino ai meccanismi casuali delle primarie la selezione della classe dirigente. In più dovrebbe avere una ideologia».
Una ideologia? Nel 2020? «Certo. Una visione del mondo, un insieme di valori e un’idea del futuro. La destra mondiale è rinata su basi ideologiche: la terra, i confini, la nazione, la religione, l’identità. Come può vivere la sinistra senza idee-guida? Non bastano i programmi per appassionare le persone. E senza partiti non c’è classe dirigente. In Francia la produce lo Stato; ma l’Italia, dopo la morte dei partiti, la famigerata casta, si è afflosciata come un corpo senza più ossatura. Oggi gli strati alti della società si tengono lontani dalla politica, e quelli popolari ne sono esclusi e respinti. Rischiamo di regalarne il monopolio a una classe di déraciné».
Ecco, la cosa che mi fa incazzare, molto incazzare (e forse è anche colpa di Polito che si è guardato bene dal chiedergli spiegazioni) è: come sarebbe, compagno D'Alema («e la parola compagno non so chi te l'ha data, ma in fondo ti sta bene, tanto è ormai squalificata»), tu sbandieri il bisogno di ideologia, di visione del mondo, di valori e idee del futuro e le uniche che elenchi, come esempio da dare al giornalista, sono ideologia, visione, valori e idee della destra e non dici niente, non offri neanche un accenno su quale sarebbe l'ideologia che dovrebbe avere il (l'ennesimo) nuovo partito di sinistra? Ma chi pensi di prendere per il culo?

O, forse, è stata la decenza a farti tacere? Giacché per uno che «presiede l'Advisory Board di Ernst Young, società di consulenza globale, pezzo da 90 del capitalismo anglosassone», per uno che «è anche consulente dei think thank organizzati intorno alla Silk Road Initiative del governo cinese», dire qualcosa di sinistra è diventata cosa praticamente impossibile?

O, magari, sulla rivista Italianieuropei hai lasciato che lo dicessero, nei loro articoli, la Meloni e Giorgetti?



sabato 1 marzo 2014

Addavenì Schultz

«Produzione, distribuzione, scambio, consumo formano così [secondo la dottrina degli economisti] un sillogismo in piena regola; la produzione è il generale, la distribuzione e lo scambio il particolare, il consumo l’individuale, in cui il tutto si conchiude. Ora, questa è certamente è una connessione, ma superficiale. La produzione [secondo gli economisti] è determinata da generali leggi di natura universale; la distribuzione dalla contingenza sociale, ed essa può pertanto agire in senso più o meno favorevole sulla produzione; lo scambio si situa tra entrambe come movimento formalmente sociale; e l’atto finale del consumo, che è inteso non solo come termine, ma anche come scopo finale, sta propriamente al di fuori dell’economia, fin quando non reagisce sul punto di partenza e avvia di nuovo l’intero processo.
Gli avversari degli economisti politici – siano questi avversari all’interno o al di fuori del loro campo – i quali rinfacciano agli economisti di scindere in modo barbarico ciò che è invece unito o stanno sul loro stesso terreno o stanno al di sotto di loro. Niente di più comune che il rimprovero mosso agli economisti politici di concepire la produzione troppo esclusivamente come fine a se stessa. La distribuzione avrebbe un'importanza altrettanto grande. Alla base di questo rimprovero sta proprio la concezione economica che la distribuzione è una sfera autonoma e indipendente, accanto alla produzione. Oppure [si muove la obiezione] di non concepire i momenti nella loro unità. Come se questa dissociazione non fosse passata dalla realtà nei libri, ma dai libri nella realtà, e come se qui si trattasse di una conciliazione dialettica di concetti anziché della dissoluzione di rapporti reali!»

Karl Marx, Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica, edizione Einaudi 1975

Al Congresso del Partito Socialista Europeo non si è aggirato alcuno spettro, dato che gli spettri erano tutti lì, vivi e vegeti, sul palco e tra il pubblico.
Qualcuno ha fatto anche discorsi vibranti, del tipo: «Serve un'Europa diversa».



Bravo Massimo, sì. Te lo posso dare uno scapaccione? La dialettica lo prevede.