domenica 11 gennaio 2015

#JeSuisDieu

«Ensuite, Coulibaly nous a dit qu’il allait faire sa prière. Cela a duré au moins quinze minutes, durant lesquelles on l’a perdu de vue.» Testimonianza di un ostaggio del supermercato kosher di Parigi.

«Se Dio ha il potere di aggiungere a una certa massa di materia quella certa eccellenza che ne fa un cavallo, perché non può aggiungere a questa massa un'altra eccellenza capace di farne un essere pensante?» John Locke.

Buonasera Dio.
Dio un cazzo.
Non capisco. Sei arrabbiato?
Non sono Dio, non sono Yahvé, non sono Allah: sono Aqquah. Mi avete rotto i coglioni, lasciatemi perdere, vi prego.
Ci preghi?
Potessi vi impedirei di pregarmi. Ma dato che non esisto - o se esisto sono impotente - o se esisto, e sono onnipotente, allora la mia volontà e i miei piani sono piani del cazzo - vi prego di non pregarmi, di lasciarmi andare, di perdermi nel vuoto siderale dell'universo, tanto sia che io non esista oppure che esista, io ci sono e ci sarò Dio fintanto che i vostri cervelli crederanno che sia.
Ma se tu non sei, perché ancora sei nella mente, nel cuore, nelle mani di chi in te crede?
Perché io sono come il flogisto: l'ipotesi necessaria per bruciare il vostro cervello.

sabato 10 gennaio 2015

Tout simplement, ils ont essayé de vivre

«In alcune scuole delle banlieue è stato difficile far rispettare il minuto di silenzio decretato giovedì in segno di dolore e di omaggio per gli eroi di Charlie.“Se lo sono andati a cercare”, hanno replicato molti studenti musulmani»[*] francesi ai loro professori che domandavano opinioni alla scolaresca. Ma anche molti cattolici, o ebrei, o laici (anche nostrani) o chiunque altro abbia pensato e pensi così - ecco, io non vorrei, fortemente non vorrei mai essere uno di loro, un merdasecca come loro, non so se ce la farò, per ora ho avuto la fortuna di non averlo mai pensato, ma se cambiassi sciaguratamente idea, vi prego, iscrivetemi al club delle merdesecche d'ufficio. 

Anche Ambrosoli, Dalla Chiesa, Impastato, Falcone, Borsellino (e tutti i martiri uccisi dalla mafia) se la sono andata a cercare; eziandio Savonarola, Bruno, Vanini (e altri, lista lunga) se l'andarono a cercare; altresì tutti i martiri di tutte le guerre di liberazione contro la tirannia di qualsiasi risma se la sono andata e se la vanno a cercare, la morte.

E invece no, proprio il contrario: proprio chi cerca la vita giusta e la vita bella non cerca la morte, i brutti assassini vigliacchi fanatici deficienti spietati la cercano, perché si sentono vivi soltanto nell'attimo, per loro glorioso, ma immensamente merdoso, della loro morte e della morte altrui, la morte di quelli che, secondo il loro credo, sarebbero di volta in volta, infedeli, infami, eretici, sovversivi. 
Chi difende la vita, e prende per il culo chi cerca la morte, non cerca la morte, brutte merdesecche indottrinate che pensate che Charb, Cabu, Wolinski, Tignous cercassero la morte - ma temo che se anche i vostri professori ve l'hanno spiegato, voi vi rifiutate di capire. Fine della pedagogia.

venerdì 9 gennaio 2015

Martiri del cazzo

Stasera, dopo aver minuziosamente osservato la nuova montatura degli occhiali di Hollande ed averlo attentamente ascoltato, per non infognarmi nella sequela di notizie e aggiornamenti sulla Parigi sott'attacco degli ultimi tre giorni e, soprattutto, per fuggire i commenti degli esperti sulla questione, ho cambiato canale e mi sono imbattuto nella sfilata delle Victoria’s Secret, le figone secche secche che sfilano in mutandine e reggi calze, body o reggiseni, piume o ali di farfalle. 
Così, per riprendermi e obliterare le facce ammerda degli attentatori jihadisti e indirizzare in altri luoghi del corpo l'eccitazione montante contro lo schifo fondamentalista e terrorista, ho indugiato una decina di minuti sulla trasmissione: un toccasana, meglio di un estintore al bromuro. Saranno state le facce degli astanti ai lati della passerella, saranno state le supermodelle superfighe eccitanti come acciughe sottosale del Cantarbico (ma assolutamente più scipite), sarà stata la musica hit del momento (Arianna Glande), sarà l'età, non so, insomma fatto sta che niente, nemmeno un grammo di salivazione, un grado di sollevamento erettile, niente. E pensavo: forse i tre cittadini francesi sottomessi al credo jihadista pensavano seriamente che nel loro fottuto paradiso, ad attenderli, ci sarebbe stato questo genere di fanciulle, magari un po’ più vergini. Beh, se li avessero catturati vivi, avrei proposto alla gendarmerie un serio programma di rieducazione, tipo Arancia meccanica, costrizione delle palpebre a guardare sino allo sfinimento quello che probabilmente, sotto sotto, desideravano segretamente e che qualcuno gli ha fatto credere di poterlo avere. Da morti.

giovedì 8 gennaio 2015

Di tutte le cose è padre

«Polemos di tutte le cose è padre, di tutto poi è re; e gli uni manifesta come dèi, gli altri invece come uomini; gli uni fa esistere come schiavi, gli altri invece come liberi». [A 19]
Eraclito, Frammenti, versione di Giorgio Colli, La sapienza greca, vol. III, Adelphi, Milano 1980

P.S.
Sempre Eraclito:
«Di fronte a ogni espressione, l'uomo stolidamente inerte suole infocarsi con passione». [A 113]

Ed è solo l'inizio


Lasciando - per quanto possibile - da parte le implicazioni politiche, i vigliacchi assassini deficienti religiosi sostengono che hanno compiuto l'eccidio per vendicare Allah e Maometto, evidentemente perché hanno menti contagiate dalla credenza che Allah e Maometto esistano e si ritengano offesi dalla satira compiuta dagli autori di Charlie Hebdo. È certo che qualcuno ha iniettato nei cervelli dei terroristi, fin da quando erano infanti, tale meme, reiniettandoglielo, a forti dosi, nelle loro testedicazzo di adulti feroci (non va dimenticato, chiaramente, che «è l'essere sociale che determina la coscienza»). 

A questo punto chiedo venia ma sento di scrivere qualcosa che forse coincide con quanto pensa Salvini. Per cui siete avvisati. I suscettibili possono evitare di proseguire e farmi credito, ché mi devo riprendere: quanto accaduto mi ha fatto davvero male.
_____________
Noi “occidentali” di ogni ceto sociale - diciamo, a stronco, dal dopoguerra in poi - che siamo stati a catechismo e abbiamo ricevuto un buon numero di sacramenti, al di là del fatto che siamo rimasti fedeli o meno, che siamo divenuti atei anticlericali o meno, sappiamo benissimo che la precettistica cristiana non ha più alcuna presa sociale o “mentale” e guardiamo con un sorriso di commiserazione o di indifferenza a chi invece la segue passo passo per restare nel solco della tradizione e non commettere peccato.
Per ragioni che ora non ho voglia di indagare, per l'islam non è così: i fedeli islamici, tranne forse i capitalisti, gli sceicchi e la classe agiata, sono tutt'uno con la loro precettistica, basti pensare a quel grande incantesimo collettivo del ramadan o del pregare in una determinata direzione in quella precisa posizione che tutte le volte mi dico: ma possibile, cazzo, possibile che nessuno abbia voglia di alzarsi e andare via? 
E cosa c'entra la precettistica col terrorismo? Niente, però aiuta. Soprattutto quando una fede richiede precise prove di fedeltà per garantirsi futuri paradisi post-mortem. Una sorta di collezione a punti per il catalogo dell'al di là. È il principio fondamentale che anima le azioni dei fondamentalisti di ogni religione, in questo caso, in quasi tutti i casi oramai, della religione islamica. Secondo tale principio gli assassini religiosi uccidendo gli infedeli fanno bingo, la maniera più facile per vincere il superenalotto ultraterreno. Sto semplificando? E perché? Non è questo il pensiero semplice che anima le menti dei terroristi di stampo religioso? Ok, i terroristi sono anche quelli che hanno massacrato quasi cinquanta studenti in Messico (e mi fermo con gli esempi). Ma i terroristi narcos hanno un fine diverso, totalmente immanente, diciamo così: comprensibile. Denaro, ricchezza, potere qui e ora, fottutamente qui e ora. I terroristi islamici invece uccidono per l'al di là. Perché qualcuno gliel'ha insegnato, perché sta scritto in qualche versetto? Non so, ma immagino di sì.

Il discrimine è tutto qui e quello che “spaventa” è che questo fenomeno di presa collettiva della mente accada e duri in un periodo storico in cui è largamente diffusa la conoscenza di quel che il genere umano è, della sua storia, la sua evoluzione; in un periodo in cui più o meno facilmente sono reperibili armi ed esplosivi.
______________
Per concludere, una ripresa politica:

I terroristi attaccano gli inermi, ma si guardano bene dal colpire il potere di Riyad, di Doha, di Manama, di Kuwait City, di Abu Dhabi.
- Eh, ma gli sceicchi credono al profeta.
- Ah, già.


E comunque, fossi il Papa cambierei compagnia aerea.

mercoledì 7 gennaio 2015

:'(

deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi
deficienti vigliacchi assassini religiosi

nutro una sola, flebile speranza: che almeno dodici musulmani sottomessi diventino atei, avendo in orrore ripetere, come i suddetti correligionari, la stessa preghiera dell'insussistenza omicida.


martedì 6 gennaio 2015

Dalle scemenze alle stronzate

Del nuovo libro di Houellebecq ho letto due recensioni. Una di Philippe Lançon su Libération e l'altra di Emmanuel Carrère sul Corriere della sera. Recensioni entrambe stimolanti e lusinghiere che, a mio avviso, colgono molto delle intenzioni dell'autore nel suo Soumission.
Tuttavia, una, quella tradotta sul Corsera, non è piaciuta a Christian Rocca, il quale, in un tweet, ha così sentenziato:
[*]
Una scemenza? E perché? Cosa avrà toppato mai Carrère? (Accento grave sfuggito). 
Suppongo che a Rocca non sia piaciuto questo paragrafo:


«Né il narratore [il protagonista del libro] né Houellebecq hanno la minima stima per l’eminenza grigia della Nrf (Nouvelle revue française), ma stimano Dominique Aury, che per amore di Paulhan ha scritto Histoire d’O . Un libro kitsch quanto si vuole, ma sublime, trascinato dall’intuizione che il sommo della felicità umana risiede nella sottomissione: al padrone nell’erotismo, a Dio nell’islam. È quello che significa, letteralmente, la parola islam: sottomissione. La si potrebbe anche tradurre, a ragione: accordo, assenso, consenso; e Houellebecq vi acconsente: diversamente dal buddismo, che considera il mondo come un tessuto di sofferenza e di illusione, o anche dal cristianesimo, che lo vede come una valle di lacrime, l’islam lo accetta tale e quale. Reputa perfetta, e dunque non perfettibile, la creazione di Dio. Siamo lontani dalla «religione più stupida» denunciata dall’autore ai tempi di Piattaforma. Al contrario, una religione più semplice, e più vera di qualsiasi altra: a condizione di prenderla in blocco, così com’è, e di non cercarvi l’unica cosa che non vi si può trovare, quella da cui precisamente essa ci emancipa: la libertà. 
A questo punto della lettura mi sono chiesto cosa pensasse davvero Houellebecq, e quello che io stesso pensavo, di tutto ciò. Comincio da me, non perché sia più semplice - in realtà non so bene cosa penso su questo argomento scivoloso -, ma perché ho comunque trascorso gli ultimi sette anni a scrivere un grosso volume ( Il regno , che uscirà in Italia a marzo per Adelphi) sugli inizi del cristianesimo, e mi ha colpito che il mondo antico, fra il I e il IV secolo, si fosse sentito gravemente minacciato da una religione orientale intollerante, fanatica, i cui valori erano interamente opposti ai suoi. Le menti migliori temevano qualcosa come una «grande sostituzione». Ebbene, questa «grande sostituzione», questa mescolanza contro natura dello spirito della ragione greco-romano e della strana superstizione giudeo-cristiana, c’è stata davvero. Ciò che ne è risultato è quella cosa non così insignificante chiamata civiltà europea. Molti intelletti, di nuovo, credono che oggi questa civiltà sia minacciata, e io ritengo tale minaccia reale, ma non è impossibile che sia anche feconda, che l’islam più o meno a lungo termine non rappresenti il disastro ma l’avvenire dell’Europa, come il giudeo-cristianesimo fu l’avvenire dell’Antichità. Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe pensare che ciò implichi un adattamento dell’islam alla libertà di pensiero europea: è qui che mi allontano da Houellebecq, che deve considerare «l’islam dei Lumi» come una contraddizione in termini, una pia fantasticheria da utile idiota o da umanista (parola che, come egli dice, gli dà «leggermente voglia di vomitare»). La grandezza dell’islam, se ho letto bene, non è di essere compatibile con la libertà ma di sbarazzarcene. E appunto, che liberazione!»


Penso che a questo punto non ci sia bisogno di spiegare il perché Rocca ha avuto a culo la recensione di Carrère. Nondimeno conviene farlo, a futura memoria. 
Per quanto sia banale ricordare che la storia non si ripete, e per quanto sia forzato il raffronto tra i primi secoli dell'Evo antico e la nostra era prossima ventura, è d'indubbia efficacia la suggestione proposta da Carrère, il quale richiama all'attenzione del pubblico come anche «il mondo antico [...] si fosse sentito gravemente minacciato da una religione orientale intollerante, fanatica, i cui valori erano interamente opposti ai suoi». Bene, Carrère confronta quella minaccia con la minaccia che l'islam muove alla civiltà europea e, facendo ciò, pur riconoscendo la realtà della minaccia, non si dichiara da essa spaventato, non prende la baionetta e si erge, balzandoso, a difensore dei valori occidentali, bensì - forte anche del lavoro di ricerca compiuto per la stesura del suo nuovo libro di prossima uscita presso Adelphi - è disposto a concedere all'islam una sorta di credito purché esso si “adatti” «alla libertà di pensiero europea». Subito dopo, Carrère precisa che la sua posizione è certamente diversa, opposta all'idea che Houellebecq ha sull'islam.
Ora, come si fa a dire sciocca e insulsa un'opinione che riconosce di essere tale e che non getta discredito sull'opinione diversa con la quale si raffronta? Ché, per caso, Carrère sostiene che Houellebecq scriva “scemenze”?

Non posso dir niente sul libro di Houellebecq perché ancora non letto, ma prevedibilmente è già stato assurto a livre de chevet di numerosi foglianti teo-neo con - e Rocca è tra questi. 
A costoro si riempie subito il retto quando qualcuno giustamente fa notare come vi siano delle incontestabili affinità tra i movimenti religiosi, soprattutto negli aspetti fondamentalisti. E, si sa, ad avere il retto pieno, è facile scrivere stronzate.

Delle due l'una


oppure


lunedì 5 gennaio 2015

In mini-era

La Stampa

Fa molta tenerezza vedere come si ripropongono le speranze di sempre, legate al vendere vendere vendere, ché tutta la produzione, appunto, è destinata a essere venduta, all'estero soprattutto, perché il made in Italy è merce con un valore aggiunto che merita e che quindi trova il suo naturale sbocco nei mercati internazionali, basta appunto che la valuta, che determina il valore della merce, sia svalutata rispetto alle altre valute con le quali la merce sarà acquistata - e il gioco è fatto.

E poi aspettare che i dieci miliardi arrivino copiosi a rifondere il capitale investito (capitale costante + capitale variabile) dalle aziende e, insieme, ad arricchire il proprietario dei mezzi di produzione e, infine, a elargire alle casse dello Stato il dovuto in termini di tasse.

È questa la crescita, bruttezza: il PIL aumenta e lo Stato italiano avrà così più risorse da donare alle varie voci della spesa pubblica, senza contravvenire ai famosi parametri di matrix.

Questo discorso, seppur con diverse modalità di vendita, vale per tutti gli stati e per tutte le aziende presenti nel suolo di quegli stati. Tutti hanno un solo scopo: vendere. Per ogni cosa venduta, va da sé, vi è (vi dev'essere) un acquirente. La famosa compravendita
Poniamo che nel mondo si stabilisca un ciclo virtuoso in cui, là dove c'è una merce messa sul mercato per essere venduta, vi è, altresì, allo stesso tempo, un acquirente pronto a comprarla; ovvero, là dove c'è una vendita a un certo prezzo, che rispecchia il reale valore della merce, vi è parimenti un compratore che paga il corrispettivo richiesto. Se questo si verificasse, necessariamente si avrebbe un equilibrio in cui, di fatto, le crisi economiche non avrebbero più luogo d'essere. 

Economisti borghesi di tutto il mondo: credete che questo sia possibile? Credete che il movente del capitalismo globalizzato sia l'effettivo raggiungimento dell'equilibrio delle forze in campo, in cui tutti guadagnano e tutti sono contenti e soddisfatti, a cominciare dagli azionisti? In altri termini: qual è lo scopo ultimo del sistema economico che domina in ognidove sulla Terra? Continuare a farla girare, con l'asse inclinato?

domenica 4 gennaio 2015

Il sussurro di Dio

«Non basta alla sposa di aver introdotto nella stanza della mente il proprio diletto, se non lo introduce nella sua parte più intima, dove ne goda in maniera più familiare e intima, e sia sola con lui, e allontanati tutti i pensieri gli sia vicino, ne conosca i secreti, impari le cause occulte, e Dio stesso le cose non visibili e oscure della sua sapienza le manifesti. Allora brama conoscere la parola nascosta, cioè l'interna e occulta aspirazione, che è chiamata parola nascosta perché a pochi è concessa, o perché silenziosamente è avvertita dal cuore. E durante la notte è dato ascoltare questa parola, quando il sonno si impadronisce degli uomini, cioè quando, repressi i desideri carnali, si possiede la quiete della mente.
Dunque nel silenzio della notte, quando secretamente Dio è con l'animo nel suo intimo, quando ogni cosa è pacata e quieta, quando la pace interna non è turbata dai vizi, da ogni timore, da ogni ricordo molesto, tacciono anche i sensi esteriori, è assopita anche la memoria delle cose mondane. Dunque quando si sia fatta una sì grande quiete, o ogni cosa tace, allora si potrà udire la voce di Dio, la quale non tanto parla, ma sussurra, cioè manifesta in maniera silenziosa e nascosta qualche cosa alla mente umana.»

Riccardo di San Vittore, Explicatio in Cantica Canticorum, cap. VII, tratta da Grande Antologia fiolosofica, “I mistici medievali” vol. IV

Stasera mi sento impadronito dal sonno. Barcollo davanti al computero e penso che è possibile Dio si manifesti soltanto dopo che si è fatta «una sì grande quiete» e «ogni cosa tace». Parimenti, penso che se Dio fa udire la sua voce non parlando, ma sussurrando, è possibile che non si capisca un cazzo. Da questo malentendu sorge il misticismo, perché è impossibile risultare chiari parlando con qualcosa in bocca. Glielo dicevo sempre alla mia prima fidanzata - e lei a me: si parla dopo. Durante si sta zitti e ci si impegna a godere, nella nostra parte più intima e familiare, il proprio diletto. Lei fu d'accordo fino a certo punto. Poi volle parlare parlare parlare - e il diletto finì.

Ai donatori di sangue

- Come va il lavoro?
- Andava bene, finché c'era.
- Mi spiace. Da quanto tempo è che...
- Oramai quasi due anni, manca poco alla fine della cassa integrazione.
- Oh, cazzo. E poi? Prospettive?
- Nessuna, o meglio una: con i pochi risparmi che ho, penso di rilevare un'attività commerciale sperando di mantenermi fino alla pensione. Non mi manca tantissimo, ho trentacinque anni di contributi, ma con questo cazzo di riforma Fornero...
- Eh, sì, purtroppo è così. È un casino per tutti.
- No, non per tutti.
- È vero: per i capitalisti, i redditieri, e tutto il resto della cosiddetta classe dirigente non è così.
- Non solo per loro: per esempio, porca puttana, io vorrei sapere quante ore di cassa integrazione hanno fatto i dipendenti pubblici.
- Mah, non so, credo nessuna.
- Ecco, appunto. Io vorrei sapere perché, nonostante la crisi e il progressivo diminuire delle risorse, i lavoratori pubblici non rischiano cassa integrazione e, a seguire, il licenziamento.
- Perché... perché... non so dirti il perché. Perché lo Stato e gli altri organi pubblici non sono aziende private e offrono maggiori tutele ai loro dipendenti.
- Ma perché, porcadellamadonna, hanno maggiori tutele degli altri? Che principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini è questo?
- Non so risponderti: è così. Bada che la questione non è togliere diritti a chi li ha, ma piuttosto estenderli a chi non li ha.
- D'accordo: ma in questo periodo di “vacche magre”, mi spieghi perché e per come lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e tutto il resto della banda del settore pubblico, si comportano ancora come ci fossero a disposizione “vitelli d'oro”?
- Non so dirti, mi sembra che un po' di tagli alla spesa pubblica siano stati fatti.
- Ma che cazzo dici? Prendi il nostro Comune, per esempio. Seimila abitanti, con oltre quaranta dipendenti comunali è, di fatto, l'azienda del territorio con più dipendenti. Ma a che cazzo servono ancora questi dipendenti? Non si occupano della spazzatura (è delegata a società intercomunale). Non si occupano dell'acquedotto. Ci sono due impiegate all'anagrafe: che cazzo fanno tutto il giorno all'anagrafe due persone in un comune così piccolo? Servono realmente 36x2 ore di anagrafe settimanali in un comune così piccolo? E che dire dei quattro geometri dell'ufficio tecnico in un periodo in cui, a parte qualche ristrutturazione, nessuno costruisce più? E i due giardinieri? Servono realmente due giardinieri e quanto costano? Scommetto che con meno della metà se affidi a un privato la cura del verde del comune ottiene lo stesso risultato (forse anche migliore). E del becchino che è stato assunto con un concorso da becchini e che adesso non vuole più fare il becchino e quando muore qualcuno o qualcuno è in fin di vita prende i giorni di malattia? 
- Non so che dirti, hai ragione, non è colpa mia.
- E di tutti i baby pensionati che conosci, che dici?
- Non dico niente, forse che lo avresti fatto anche tu, lo farei anch'io...
- Forse, certo, lo avremmo fatto, lo faremmo. Ma perché loro che l'hanno potuto fare non devono mai temere alcunché, mentre io, porcadellamadonna un'altra volta, a quasi sessent'anni e con più di trentacinqu'anni di lavoro sul groppone tocca rimettermi in gioco, lavorando dodici ore al giorno per almeno sei giorni a settimana? Perché?
- Non lo so perché. In Italia funziona così.
- Ma almeno funzionasse la macchina pubblica, porcoddio.
- Non t'incazzare, ti prego.
- E invece niente, se hai bisogno e vai nei loro uffici ti guardano dall'alto in basso e ti fanno pesare tutto, i permessi, i documenti, le tasse, le rotture di coglioni.
- Lo so, ma non devi fare un caso personale. Pensa al generale.
- Penso al generale una sega, penso semmai anche a tutti quei papponi dell'esercito che non fanno un cazzo anche loro da mattina a sera.
- Vedi, in Italia soprattutto, le cose sono arrivate a un punto tale che non è possibile cambiarne una se non le cambi tutte. Ma per cambiarle tutte bisogna, forse, che tutti stiano male come te, sentano l'ingiustizia nel profondo come te, ma che non la canalizzino nel particolare, capito?, bensì nel generale. Non è l'impiegata comunale della tua stessa età, entrata in servizio perché aveva la tessera di partito, che non ha mai perso uno stipendio o un giorno di ferie e che adesso prende più di duemila euro al mese, il soggetto da prendere di mira. Tu pensi veramente che se in Italia la spesa pubblica e il pubblico impiego fossero simili a quelli della Danimarca tutti i problemi sarebbero risolti?
- No, però sarebbe più facile così sentirsi fratelli a parità di condizioni.
- Ma la parità di condizioni non sarà mai concessa da chi comanda perché il potere, come sai, si basa sul divide et impera.
- Eppure, è più forte di me, mi fa più incazzare vedere questa disparità tra miserabili, che l'abisso che mi separa dai padroni, tipo Marchionne. Perché in fondo quella gente là non la vedo, non so quello che realmente fanno, cosa combinano, come vivono, capisci? Io vedo quel tizio che non ha mai fatto un cazzo tutta la vita e con meno di vent'anni di lavoro si gode da più di vent'anni la pensione. Capisci questo o no? 
- Sì, ma che vuoi fare? Il serial killer dei baby pensionati o degli addetti al catasto?
- Allora non mi resta che bestemmiare.
- Amen.

sabato 3 gennaio 2015

Dare la paghetta

Un direttore di giornale che, alcuni anni fa, per passare il tempo, si organizzò un attentato fai-da-te, giusto per darsi un tono da martire della libertà di stampa, ieri ha scritto:
«prendendo per buono il calcolo fatto dal Movimento Cinque Stelle su quanto sono costati agli italiani 70 anni di carriera politica di Napolitano (16 milioni, cifra che fa conquistare all’uomo del Colle il primo posto fra gli esponenti della Casta: nessun altro infatti può vantare un curriculum parlamentare lungo mezzo secolo), ci permettiamo di ricordare che la “paghetta” del capo dello Stato è poca cosa se confrontata con il resto. Provate a calcolare ad esempio quanti punti di Pil è costata la stangata di Monti di cui Napolitano è stato il diretto ispiratore? »
Un paio di rilievi. 
Uno, per un direttore di giornale, prendere per buono il calcolo fatto da altri, in questo caso dal M5S, senza verificare a sua volta, o per il tramite dei propri collaboratori, se il dato è attendibile, è già indice di capziosità e negligenza. Inoltre, il conteggio effettuato dal M5S ha legittimità e valore di critica solo se è giustamente esteso a tutti i politici, giacché tutte le carriere politiche hanno un costo per gli “italiani” anche se durano lo spazio di un biennio ad occupare, per esempio, un posto da consigliere alla Regione Lombardia, a prescindere dalle risultanze dell'incarico elettivo.
Due, «la stangata di Monti di cui Napolitano è stato il diretto ispiratore» è stata deliberata nel Parlamento della Repubblica italiana da una maggioranza composita, di cui faceva parte anche il partito di cui era, ed è, presidente un simpatico pregiudicato al quale Belpietro ben si guarda dal fare i conti in tasca, presumo perché, se glieli facesse, temo dovrebbe cercare altrove la sua “paghetta”.

venerdì 2 gennaio 2015

I libri più attesi

via

Sia detto con rammarico: non capisco perché manchi il libro di Bruno Vespa.

§§§
Personalmente, i libri che più attendo per il 2015 sono i libri pubblicati negli anni precedenti, libri che devo ancora leggere e, insieme, altri che già ho letto e che sono lì in attesa di essere riletti. Cioè a dire, come sin qui è accaduto, più che dalle novità, sarò attratto dai libri inattuali. Per esempio, ho appena finito di leggere Italiani voltagabbana, il solo modo che avevo, durante le vacanze, di estraniarmi dalla realtà, secondo solo a una giornata dentro una fumeria d'oppio.

Italia indipendente

Stamani stavo per far accadere qualcosa di cui mi sarei a lungo pentito. Stavo per comprare qualcosa d'imperdonabile.
Premessa: un mesetto fa sono stato dall'oculista per una visita di controllo. Ne sono uscito contento perché, tutto sommato, la leggera miopia è allo stesso livello di quella diagnosticatami una trentina di anni fa. Di nuovo, mi è stato rilevato un lieve astigmatismo, dato che con gli attuali occhiali non riesco focalizzare bene le cose vicine, e per leggere devo toglierli. Quindi, l'oculista mi ha suggerito di cambiare le lenti.
Così stamani sono stato da un ottico, il quale, verificato anche coi suoi macchinari l'effettiva gradazione delle lenti che dovrò utilizzare, mi ha successivamente mostrato svariati tipi di montature. Una di queste, non troppo impegnativa, mi aveva convinto;

e stavo quasi per dare l'ok, quando, a un certo punto, - non so davvero chi altri ringraziare se non l'istinto -, mentre mi rimiravo di tre quarti e di profilo agli specchi, ho visto, per un attimo, che avevo una faccia da ebete rincoglionito e, di scatto, ho detto all'oculista: 
«No, nonostante siano comodi e, tutto sommato, bellini, non so come dire, indossandoli ho avuto l'impressione di sentirmi un po’ scemo, come se portassi gli occhiali che porta Lapo Elkann».
E l'oculista: «Beh, in effetti sono i suoi occhiali».
E io: «Come sono i suoi occhiali?»
E l'oculista: «Sì, sono un modello del marchio Italia Independent, una S.p.A che produce occhiali fondata e presieduta, appunto, da Lapo Elkann».
E io: «Ah, ecco. Adesso tutto si spiega. Per favore, sia gentile, mi faccia vedere altri modelli. Anche se non sono made in Italy, va bene lo stesso».

Infatti, per sicurezza, ho scelto una marca straniera, mi sembra americana ma non ricordo il nome, roba meno trendy, meglio, beninteso facendomi assicurare che neanche Marchionne c'entrasse nulla.

Annottamento:
L'amica Balqis mi ha fatto pensare che, dato il loro potenziale autoerotico, forse era meglio se li compravo gli occhiali del Lapo, 

giovedì 1 gennaio 2015

Big Ideas



Don't get any big ideas
They're not gonna happen
You paint yourself white
And fill up with noise
There'll be something missing
And now that you found it
It's gone
Now that you feel it
You don't
You've gone off the rails

She stands stark naked
And she beckons you to bed
Don't go, you'll only want
To come back again

So don't get any big ideas
They're not gonna happen
You'll go to Hell
For what your
Dirty mind is thinking

And now that you found it
It's gone
Now that you feel it
You don't
It's gone forever



«Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana.» Karl Marx, Per la critica dell'economia politica, 1859