martedì 19 aprile 2011

Voglio diventare un re

La mia difficoltà è conciliarmi. 
Il riparo del tempo è una trappola, ma non ho altro posto ove nascondere la mia irresolutezza. Così, scorro come un affluente di chissà quale fiume. Affluente di sinistra. Il disgelo del cuore avviene quando una mano mi cerca e mi accarezza. Ovunque. Di solito è una mano che scrive, oppure una voce che narra, muta, mentre leggo. La carezza della voce, già. Anche tradotta, non importa. 
«Mentre l'autobus attraversava il deserto, guardavo assonnato i brandelli di nuvole d'argento che si spostavano in cielo, e il mare grigio-verde di sterpaglia spinosa sparsa sulle ondulazioni del terreno e la polvere bianca che il vento sollevava dalle saline e, all'orizzonte, la terra e il cielo che si fondevano, mescolando e annullando i loro colori. La Patagonia comincia sul Rio Negro. A mezzogiorno l'autobus attraversò un ponte di ferro sul fiume e si fermò davanti a un bar. Una donna india scese col figlio. Con la sua roba aveva occupato due posti. Masticava aglio e portava dei tintinnanti orecchini di oro vero e un cappello bianco rigido, appuntato con spilloni alle trecce. Una smorfia di disgusto passò sul volto del figlio mentre la donna trafficava per scendere coi suoi pacchi sulla strada.»*
Io avrei voluto essere in quell'autobus, di nascosto, insieme a Bruce. Forse vi ero. Ero cioè quel figlio disgustato da una madre che puzzava d'aglio. Una madre sana, antibatterica, che contrastava ogni mio desiderio edipico.
«Mamma, tu puzzi». E allora parto, vo via. Sì, non ti preoccupare mamma, ce l'ho la camiciola. Il problema di fondo è che Berlusconi è ancora vivo. Ma soprattutto: sono vivi e vegeti (e tanti) coloro che sono pronti a rivotarlo. Mamma, no, non ce la faccio: io vo via. Prendo il bus e parto, la Patagonia è ancora senza re.

*Bruce Chatwin, In Patagonia, Adelphi, Milano 1982 (traduzione di Marina Marchesi).

lunedì 18 aprile 2011

Piscia la notizia

Questa notizia, se vera, mi sembra di una gravità inaudita.
Certo Ricci Antonio ribatterà che sono falsità, che lui non ha mai denunciato nessuno.

Mi torna in mente un post di Metilparaben, quando parlò di Blog e Pubblicità. Ne riporto un brano:
«Il metodo "pay per click" sembra essere il più diffuso, e visto che a mio parere si tratta di un sistema un tantino penalizzante per chi espone la pubblicità - un po' come se le televisioni che mandano gli spot venissero pagate soltanto per i telespettatori che si recano effettivamente nei negozi a comprare i prodotti, anziché per il valore intrinseco costituito dall'esposizione di un marchio -, ritengo che il sistema pubblicitario complessivo che ruota intorno al nostro mondo riconosca ai blogger dei compensi inferiori a quelli che meriterebbero.»
Se effettivamente il mercato pubblicitario televisivo dipendesse da quanti telespettatori comprano poi i prodotti sponsorizzati, allora occorrerebbe una massiva campagna di boicottaggio di tutti i prodotti pubblicizzati da Mediaset, in particolare quelli che sono nella fascia pubblicitaria di Striscia la Notizia.
Purtroppo, lo sappiamo, le cose non stanno in questi termini.
Il mercato pubblicitario televisivo è in mano a Berlusconi. E, nonostante la crisi del settore, a causa anche del tetto alla raccolta pubblicitaria imposto alla RAI, Mediaset ha visto un'esponenziale crescita degli introiti, soprattutto in questi anni in cui il proprietario di tale azienda è capo del governo.

Ricci Antonio da anni porta in dono al suo editore una gran messe pubblicitaria. E questo mescolando  pelo (depilato) muliebre, risate sciacquone e inchieste del cazzo che non portano a niente, che niente sanificano, o edificano, in questa Italia malata di sputtanamento, e di piatta moralità da botteghino. 
Ricci Antonio poteva anche essere un'artista e sfruttare il suo genio per qualcosa per cui valesse la pena vivere. Lui ha deciso di sopravvivere col suo contratto milionario che più che dargli indipendenza, lo rende piatto come un teleschermo a cristalli liquidi, anemico come un televisore al plasma.
Oppure, se dopo anni e anni continua a fare sempre le solite noiosissime trasmissioni, ciò vorrà dire che la sua genialità si è atrofizzata e che l'amore per l'anarchia si è trasformato in piaggeria monarchica.

Ma uno scatto di orgoglio no?

L'ingenuo



Cada aurora (nos dicen) maquina maravillas
capaces de torcer la más terca fortuna;
hay pisadas humanas que han medido la luna
y el insomnio devasta los años y las millas.

En el azul acechan públicas pesadillas
que entenebran el día. No hay en el orbe una
cosa que no sea otra, o contraria, o ninguna.
A mí sólo me inquietan las sorpresas sencillas.

Me asombra que una llave pueda abrir una puerta,
me asombra que mi mano sea una cosa cierta,
me asombra que del griego la eleática saeta

instantánea no alcance la inalcanzable meta,
me asombra que la espada cruel pueda ser hermosa,
y que la rosa tenga el olor de la rosa.
   Ogni aurora (ci dicono) congegna meraviglie
   capaci di piegare la sorte più ostinata;
   ci sono impronte d'uomo sul suolo della luna
   e l'insonnia devasta i secoli e le miglia.

   Nell'azzurro si celano incubi condivisi
   che anneriscono il giorno. Al mondo non esiste
   cosa che non sia altra, o contraria, o nessuna.
   Io mi stupisco solo delle sorprese semplici.

   Mi inquieta che una chiave possa aprire una porta,
   che la mia mano sia qualcosa di reale,
   mi inquieta che del greco l'eleatica saetta

   fulminea non raggiunga la meta irraggiungibile,
   che la spada crudele possa anche essere bella,
   che la rosa abbia un profumo di rosa.

Jorge Luis Borges, La moneta di ferro, Adelphi, Milano 2008 (traduzione di Tommaso Scarano)

Guardami dentro gli occhi

A volte, per vedere la Terra dallo spazio, non occorrono astronavi.
Nina Pavlynyuk photographed by Teresa Yeh in « Lost in Elysium »

In caso di fermo di nuove minorenni nipoti di capi di stato




VIA LE PR
DALLE
QUESTURE



Mangiare ragioni

Io mi sforzo sempre di leggere il prof. Panebianco. E mi sforzo anche di dargli ragione. Ma non ci riesco quasi mai, non tanto perché non comprenda le ragioni degli altri
Anzi: è perché le comprendo che le rifiuto, che le combatto, che cerco di dimostrarne la fallacia. 
Le ragioni degli altri poi, in questo preciso momento storico, sono difficili da riconoscere perché sono espresse con parole che hanno un valore semantico diverso da quello unanimemente riconosciuto.
Un fatto che lo prova è che le ragioni degli altri - lo dicono gli stessi altri - quando vengono dette, uno dopo le capisce sempre in modo che è sbagliato. «È perché non contestualizzate il discorso». 
Io, infatti, per accogliere e riconoscere tutte le cazzate che dice Berlusconi, devo contestualizzarne il discorso; e magari poi, l'indomani, sentirmi dire che non ha propriamente detto quella cosa, che io ho sicuramente capito male. Poi la ridice, la cazzata, e io il giorno dopo mi sentirò dire ancora una volta che ho capito male.
Ora, siccome uno alla fine si stufa di sentire contestualizzazioni e smentite, e altresì di sentirsi dire che ha capito male, allora uno fa finta di nulla, lascia correre, aspetta che ricadano le foglie, perché vedere questa primavera esplodere mentre questo governo invece no, mi fa venire una gran rabbia e una gran fame. 
È da poco passata mezzanotte, mi faccio un tramezzino, mi è giusto avanzato un po' di pane bianco.

domenica 17 aprile 2011

I bloggers come ultimi cittadini liberi


Ma non ho cannoni nel cortile. Solo fiori di ciliegio.

Miei versi, siate fiumi



Mes poèmes, soyez des fleuves!
Allez en vous élargissant!
Désaltérez dans les épreuves
Les coeurs saignants, les âmes veuves,
Celui qui monte ou qui descend.

Que l'aigle plonge, loin des fanges,
Son bec de lumière en vos eaux!                        
Et dans vos murmures étranges
Mêlez l'hymne de tous les anges
Aux chansons de tous les oiseaux!
Miei versi, siate fiumi in piena:
inondate di me la terra, la scena;
lasciate che il mio pensiero-limo
disseti il cuore e l'animo
di chi sale o di chi invece scende.

Che anche l'aquila tuffi
il becco suo luminoso nei vostri ciuffi
di acqua pura. E nel vostro sillabico
mormorio miscelate l'inno angelico
al canto degli stormi nel sole che splende.


Victor Hugo, traduzione di Lucas Ughi  (non Luca Sughi, Luc Shugo, Ludo Lughi, ecc.)

Poesia tratta da Liratouva, Le blog de Mango

Ass Party

A Federica, così impara a entrare alle inaugurazioni di negozi fashion


The Cure from shootmefashion.net on Vimeo.

Quando mi Lodo, m'imbrodo

A Berlusconi girano le palle pagare settecentocinqua milioni di euro per risarcire De Benedetti per avergli sottratto la Mondadori corrompendo, tramite il suo avvocato Previti, il giudice Metta (vedi la storia del Lodo). Tutto questo è comprensibile, ma in fondo cosa vuoi che siano questi soldi rispetto al fatto di aver il controllo assoluto del più grande gruppo editoriale europeo? 
E quando dice
"Ho evitato che la tessera numero 1 del Pd, Carlo De Benedetti, si impadronisse della Mondadori".
oltre a ricordargli il modo truffaldino col quale ne è diventato padrone, bisognerebbe rammentare al nostro logorroico, paranoico, presidente del consiglio (già tessera n. 1816 della Loggia P2) che, all'epoca, il Pd non esisteva ancora; e che De Benedetti, nel 1990, non è era certo un comunista.

sabato 16 aprile 2011

La meccanica dei bloggers


Mio padre faceva il meccanico. Riparava le auto. Era dipendente e non aveva un'autofficina tutta sua, e forse anche per questo non ambiva che mio fratello e io facessimo, a nostra volta, i meccanici. Così non ci ha trasmesso l'amore per il suo mestiere. Anche perché poi noi figli non siamo mai stati molto portati per la meccanica. Soprattutto io, che so a malapena montare le catene da neve o controllare l'olio motore (a proposito, bisogna che guardi il livello). E pensare che ho anche il diploma professionale di congegnatore meccanico. Mi sono diplomato sul tornio, sulla rettifica, sul ferro battuto con scarsissimi risultati (fui persino rimandato ad aggiustaggio! Ovvero il lavoro su pezzi di acciaio da limare in modo da ottenere un piano quasi perfetto. Ero pessimo con il labor limæ. Non conoscevo ancora Orazio). Ma di questo – magari se ci sarà l'occasione – parlerò meglio un altro giorno.

Ma perché ho ricordato il mestiere di mio padre? Perché certe volte vorrei tanto esserlo anch'io un meccanico. Ma non per riparare, quanto per far inceppare il motore di una macchina famosa, molto in voga¹ negli ultimi periodi della cronaca politica e sociale italiana. La macchina del fango.

Leonardo spiega, con un post perfetto, le ragioni per cui l'articolo di Marco Pasqua (in un giorno di quaresima) costituisce un mirabile esempio di come funziona l'oliatissimo meccanismo del discredito gratuito, dell'additamento a pubblico ludibrio di qualcuno che esprime le proprie opinioni, giuste o sbagliate che siano, senza commettere alcun reato.

Ecco, se io fossi un meccanico, addetto al funzionamento della macchina dell'informazione, porterei il motore in officina per un tagliando approfondito riparando, ove possibile, o sostituendo (extrema ratio) le parti soggette a usura. In altri termini, io non sostengo che Marco Pasqua vada licenziato (anche se resterebbe poco senza lavoro: Il Giornale, Libero o il TG Com lo accoglierebbero a braccia aperte): soltanto, fossi il direttore responsabile, costringerei l'autore ad una rettifica a caratteri cubitali, in cui dovrebbe ammettere di avere sbagliato e in cui dovrebbe chiedere scusa a colei che ha “infangato”. Solo se si rifiutasse di farlo, provvederei a licenziarlo.

Premetto: io mi fido di quanto dicono Leonardo e, di passata, anche Cloro al Clero. Non ho certo letto tutti i post di costei e, in linea di massima, non sono tanto d'accordo col suo antisionismo. Ma mi sembra che la sua risposta, nel merito all'accusa ricevuta, sia sufficiente a coprire di ridicolo Marco Pasqua.

Ma perché Marco Pasqua ha scritto un articolo del genere? Forse perché ha l'obbligo contrattuale di proporre un articolo al giornale ogni tot giorni; egli non sapeva cosa scrivere, e – come ha scritto bene Leonardo – ha scritto fandonie. Ma poffarbacco! Pasqua è pagato per i suoi articoli e ha il dovere di informarsi e di essere il più completo ed esaustivo possibile. Non è mica un editorialista di fondo, non è mica un elzevirista, non è mica un blogger! Loro sì che si possono permettere il lusso, a volte, di essere approssimativi. I giornalisti devono essere precisi e riportare, per quanto possibile, notizie che hanno riscontro con la realtà.

Intendiamo: non è che i bloggers si situino fuori della realtà. Ci mancherebbe. Ma non sono giornalisti. I blogger, qualsiasi mestiere facciano, nel loro blog sono prima di tutto bloggers. Anche i giornalisti che tengono un blog, quando ci scrivono, diventano blogger. Ognuno nel proprio blog in un certo senso si spoglia e indossa una nuova veste di pensiero. Certo, ci trasciniamo dentro il nostro mestiere, il nostro essere, il nostro portato sociale e culturale. Ma nel blog escono parole, immagini, note che costituiscono, anzi: costruiscono un nostro sé particolare che là fuori nel mondo, forse, non avrebbe voce. Meglio: non avrebbe essere perché, forse, non sarebbe riconosciuto. 
«Chi apre un blog molto spesso sta cercando proprio una valvola di sfogo, un posto confortevole dove gestire le proprie opinioni, lontano dalla classe e dal mestiere quotidiano: che non è quello di catechizzare classi di discepoli adoranti.» (Leonardo).
Valvole di sfogo. Anche qui: se il blogger, invece che insegnante, fosse un meccanico, si intenderebbe molto di più di valvole. Le famose sedici valvole.
Ma, scherzi a parte, il punto è che noi bloggers (scusatemi se parlo al plurale: chi non si sente compreso in questo noi protesti pure) siamo tali perché nel nostro mestiere, nel nostro fare quotidiano (intellettuale o meccanico che sia) non abbiamo molto spazio per esprimere le nostre opinioni. Opinioni che dobbiamo esprimere perché, se restano chiuse dentro la gabbia del nostro pensiero, ci provocano ruggini, risentimenti, acidità: in breve, senza dire la nostra patiamo il mondo. E noi vogliamo compatirlo, toccarlo, viverlo, non restare solo in superficie, vogliamo connetterci, arrampicarci sulla scala della nostra finitudine.

¹Purtroppo non si tratta di un modello Fiat.

L'hai voluta tu, brutto rintronato

Sapete perché il presidente del consiglio ha una paura fottuta dei professori? Perché hanno (quasi) sempre a che fare con delle minorenni, e senza nemmeno pagarle per salvarle dalla prostituzione.

Mio padre faceva il meccanico


Salmo 8


Al maestro dei cantori
su Aria del Torchio
salmo
di David

Quanta potenza il tuo Nome
Nell'universo emana
O Dio nostro signore!

Da tuo celeste Splendore
È nutrita la bocca
Dei lattanti del cielo

A loro la forza accresci
L'Avversario l'Usurpatore
Fai deperire

Vedo i tuoi cieli
Atto delle tue dita
Luna e pianeti da te formati

E l'uomo che cos'è?
Ne hai tu memoria?
Quali notizie hai
Dei figli d'uomo tu?

Eppure poco gli manca
A essere divini
Perché c'è la tua Gloria
Il tuo Lume a fasciarli

Lui fai signore del tuo Creato
Tutto ai suoi piedi deponi

Ogni specie di armenti e gli animali
Silvestri gli assoggetti
Il cielo coi suoi uccelli e coi suoi pesci il mare
Il guizzare e il vogare sulle rotte marine

Quanta potenza il tuo Nome
Nell'universo emana
O Dio nostro signore!


«Che cos'è un uomo? L'interrogativo del salmo 8 si può immobilizzarlo lì, senza completarlo, lasciando che l'infinito lo dilati fin dove potrà arrivare: mah- 'enòsh?
Con 'enòsh s'intende qualcosa di essenziale: è l'essere umano come tale, la specie uomo nel suo deserto, nella desertità; aggiungi l'interrogante mah (che cosa?) e hai l'assoluto della solitudine. Pascal lo ha bene presentito, che al Quid est homo della Vulgata ha attaccato la stretta dell'infinito: Qu'est-ce qu'un homme dans l'infini?»*

Un essere finito. Uno sfinito. Sfinimento assoluto. Eppure poco manca(va) a essere divini. 
E se lo diventassimo divini? Per fare che? Per fare come il Dio assente, il Dio che non ferma più la mano, che non chiama più a raccolta i suoi angeli per impedire di mettere lo scotch sulla bocca, o per bloccare chi mette sacchi di plastica in testa? Eppure qualcosa lo dobbiamo fare. Restare umani? Troppo poco, visti i risultati. Certo si progredisce, sia pure obtorto collo per certuni. 
- Credi che la scienza, la tecnica potranno darci una speranza di paradiso? 
- Non ho la tendenza, troppo ottimistica, a deificare prodotti umani, anche i più eccellenti. Confido più in una particella invisibile che, a volte, illumina il cuore. Sono un romantico in fondo, ma non offro soluzioni, indicazioni da seguire, utopie da raccontare. Spero solo avvenga in tutti (me per primo), la consapevolezza che la vita che abbiamo, con tutti i suoi limiti, è l'unico infinito che ci tocca. Nessuno tocchi l'infinito degli altri.
Buonanotte.

*Il Libro dei Salmi, versione e note di Guido Ceronetti, Adelphi, Milano 1985

venerdì 15 aprile 2011

Non è un paese per patriarchi

Michelangelo Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1594-1596, Galleria degli Uffizi, Firenze

Lucas Cranach, Il sacrificio di Abramo, 1530, Staatgalerie, Bamberg,
Troppo volte nella storia Dio non ha fatto in tempo a fermare la mano.