mercoledì 31 agosto 2011

Fotografami questo


C'è chi le cose preferisce guardarle dal basso.

A parte.
I fotografi, quelli professionisti intendo, quelli affermati, ben pagati, ricercati, artisti in fondo del loro lavoro, a volte mi sembra scelgano soggetti adatti a prenderci per il culo. Girano intorno al corpo umano, ma non lo scavano abbastanza, non scendono nel brontolio delle pance soprattutto quando mettono in posa la gente. La fotografia è un'arte che richiede immediatezza, e il bacio va preso alla stazione, in un ospedale, in una camera da letto e non in uno scenario da merluzzi surgelati.

I pomeriggi di un rivoluzionario seduto


«Ma il petrolio artico aumenterà ancora la temperatura del pianeta, che scioglierà ancora di più i ghiacci, che metteranno a disposizione più territorio per trovare altro petrolio. Un circolo vizioso se ce n'è uno.Voi dite, ma Il Sole [24 Ore] è un giornale economico. Ecco appunto: la dimostrazione che l'economia è un mondo di favole, dove ogni azione compiuta dall'uomo sul pianeta Terra (mica Marte) ha conseguenze solo e soltanto sulla composizione del portafoglio di azioni e magari sugli accordi politici tra due stati sovrani. Immediatamente dopo essere uscito dalle profondità della Terra, il petrolio (e il carbone, e il metano, e quello che volete) diventano immediatamente beni virtuali, senza impatti sulla tundra, gli orsi, le balene, le popolazioni, l'atmosfera, il clima e il futuro. Si trasformano in azioni, in obbligazioni, in bond e quant'altro, che si infilano nel cyberspazio della NYSE e smettono di esistere sul piano della realtà
Un piccola coda a queste parole: ma perché, perché il petrolio, il metano, il carbone, che sono sotto terra, che sono della Terra, diventano cose private, cose che, come sopra dice Marco F, «smettono di esistere sul piano della realtà» per diventare i mezzi con cui i potenti della terra tengono per le palle l'umanità? Con quale diritto, cazzo, esistono i padroni di queste cose? Voi direte: ma sono loro che investono, che trivellano, che conducono, che raffinano, che distribuiscono, che ci consentono di avere l'elettricità in casa, il combustibile per riscaldarci, i carburanti per viaggiare... Sì, tutto vero, ma è anche vero che tra i pochi che gestiscono il petrolio e i molti che lo usano, esiste la dismisura: tra uno sceicco del Qatarro e un benzinaio del raccordo anulare, tra un Moratti e un pensionato che si scalda a kerosene, c'è un abisso di potere economico pari a quello che c'era tra Louis XIV e uno dei suoi sudditi. Come si può avere contezza di queste cose e non avere la voglia, la forza, la disperata "energia" di cambiarle? Perché la produzione smisurata di ricchezza tratta dalla Terra non ricade più equanimemente sulla Terra stessa, umani compresi? Perché questi pensieri non si sciolgono nella mente degli individui in maniera naturale, senza costrizioni o indottrinamenti? Ma prima ancora: se fossi un figlio di uno sceicco, un figlio di Moratti, o un figlio di puttana qualsiasi russo o ammericano, cinese o colombiano, coi soldi a vagonate e beni sparsi in ognidove, io penserei queste cose, penserei alla distribuzione, alla equanimità, alla giustizia sociale, al merito? No, sicuramente no. Mi farei grattare le palle da mane a sera da solerti servitori, comprerei squadre di calcio per avere schiavi miliardari e proseguire il rincoglionimento del volgo, e magari, successivamente, farei anche politica diretta, non sia mai che qualcuno si mettesse a legiferare contro di me...
E c'ho un'idea improvvisa che sparo così, a cazzo di cane: disertate stadi e abbonamenti tv, popolani d'Europa e America Latina, dedicatevi alla pesca, all'orto, a un blog, o ai piccoli piaceri della carne. Lasciate a piedi quegli scalzacani, fate montare in voi la rabbia, siate pronti. Lo spettacolo della rivoluzione dovrà pure andare sulla scena, un giorno. Una rivoluzione morbida, apatica, schopenhauriana. Tenere a bada la volontà e i desideri (quelli falsi - ma ci vuole un dottore che ci aiuti a distinguere). Mi fermo. Vado a cogliere una prugna, a suggerla.


Cosa succederà alla ragazza



[Image via]

Una Manovra “ragazza“ o una “ragazza” manovrata?

martedì 30 agosto 2011

Clima culturale corrosivo

 Questo clima culturale «corrode il modo di concepire la vita, la famiglia, il lavoro, il senso del dovere e di Dio stesso».
È il cardinal Bagnasco che parla, e io lo ascolto. Ho bevuto una Coca cola giusto 5 minuti fa, prima che i francesi venissero anche da noi a tassarcela. E l'ho bevuta per corrodermi lo stomaco e per svitare quel bullone là fuori, che regge la «fugace altalena di vita che passa e vita che sta, quassù non c'è scampo» (questo verso di Montale non me lo scrollo di dosso, mi insegue e mi ritorna in faccia, come un'altalena, appunto). Ma la questione qui è un'altra, ovvero il clima. Non sapevo che quello culturale fosse come le piogge acide di un tempo, quelle di quando ancora c'era il piombo nella benzina. Un clima culturale così acido che corrode persino il senso di Dio stesso.
E di chi sarebbe la colpa? Del libero arbitrio, vale a dire del fatto che Dio ci ha lasciati liberi di fare quello che ci pare? E se dall'alto dei cieli (sempre se esistesse ed abitasse lassù), invece, Lui si augurasse questa corrosione del senso, del significato, dei valori che noi uomini facciamo a gara per vedere chi ce l'ha più lunghi (i valori intendo)? 
Domanda: se anziché corrodere il clima culturale medicasse con balsami ed unguenti, e tutto intorno sembrasse avere senso, significato, e che i rapporti umani fossero tutti all'insegna della dolcezza, del sorriso, della stretta di mano calorosa, allora cosa penserebbe il cardinal Bagnasco, che tutto ciò sarebbe merito di Dio, ovvero della conciliazione dell'uomo col divino?

passava uno con la camicia nera
che da giovane avrebbe da mane a sera
mangiato preti in arrosto morto.
E invece vi rese il ben tolto -
e riaverlo è ormai una chimera.

Già, al Cardinal Bagnasco non basta la conciliazione intoccabile tra Stato Italiano e quello Pontificio. Vuole di più, ma molto, molto di più.

Il popolo, qualora lo desideri

IL MANUALE E IL COMPAGNO
TASCABILE DEL RIVOLUZIONARIO
DI
JOHN TANNER M.O.C.A.
(Membro della Oziosa Classe Abbiente)

Nessuno può contemplare l'attuale condizione delle masse popolari
senza desiderare qualcosa di simile a una rivoluzione in vista di un miglioramento.

Sir Robert Giffen Saggi sulla Finanza, vol. II, pag. 393

Avvertimento


Il rivoluzionario è colui che desidera scardinare l'ordine sociale esistente per provarne un altro.
La costituzione dell'Inghilterra è rivoluzionaria. Per un burocrate russo o anglo-indiano, una elezione generale è una rivoluzione così come lo è un referendum o un plebiscito in cui il popolo combatta anziché votare. La Rivoluzione francese rovesciò una serie di governanti e la sostituì con un'altra serie avente interessi e punti di vista diversi. Una elezione generale mette il popolo in grado di fare altrettanto in Inghilterra, qualora lo desideri, ogni sette anni. In Inghilterra, la rivoluzione è, quindi, un'istituzione nazionale, e l'inglese che la promuova non ha bisogno di giustificazione.
Chiunque è un rivoluzionario nei confronti della cosa che capisce. Per esempio, chiunque abbia padronanza di una certa professione è, nei confronti di essa, uno scettico e di conseguenza un rivoluzionario.
Qualsiasi persona veramente religiosa è eretica e quindi rivoluzionaria.
Tutti coloro che nella vita riescono a distinguersi veramente, cominciano come rivoluzionari. Le persone più in vista si fanno più rivoluzionarie a mano a mano che invecchiano, per quanto esse siano comunemente ritenute più conservatrici a causa della loro perduta fede nei convenzionali metodi di riforma.
Chiunque non abbia raggiunto l'età di trent'anni e, avendo qualche conoscenza dell'ordine sociale esistente, non sia un rivoluzionario, è un essere inferiore.

Eppure

Le rivoluzioni non hanno mai alleviato il fardello della tirannia: lo hanno soltanto passato su un'altra spalla.
John Tanner

George Bernard Shaw, Uomo e Superuomo [Man and Superman, 1905], traduzione di Paola Ojetti, Mondadori, Milano 1966.

Leggere una pagina così, centosei anni dopo che è stata scritta, che effetto fa a noi occidentali alfabetizzati, appartenenti - chi più, chi meno - alla cosiddetta classe media, ben educata, scolarizzata, inserita nella società in cui vive? Un effetto di merda. 
Volevo provarmi a evidenziare qualche passaggio, commentarlo... Dovrei evidenziare tutto, anche l'epigrafe.
C'è qualcosa, però, su cui vorrei riflettere e invitare chi passa di qui a farlo con me: quel qualora lo desideri. Proprio così: chi contempla l'attuale condizione delle masse popolari in rapporto alle élites non può non provare il brivido della Rivoluzione in vista di un miglioramento. Chi non lo fa o appartiene alle élites, o ne è complice, o è un rincoglionito.
Io non dico di prendere le armi, contro il mare di guai e, combattendo, finirli. Ma prendere in mano, come Bertran de Born, il lume della ragione, per ricordarsi al momento giusto, attraverso delle libere elezioni cosa votare o cosa non votare. Ecco, io credo che questo sia il minimo per non essere etichettati come esseri inferiori. 

Lo so, voi mi direte che, dappertutto, nel mondo occidentale, voti chi voti, destra o manca, lib o lab, gauche o droite, spd o cdu, poco cambia (vedi in Italia cosa accade con la vicenda dei finanziamenti legali alla Chiesa, come ben riassume Malvino qui). Ma ci sarà mai un modo per non farsi governare più da uno come Calderoli?

lunedì 29 agosto 2011

Il bella fica

*
La vicenda Penati, dunque, è una risorsa? 
«Il centrodestra ci tormenterà su questo tema. Noi dobbiamo mettere in discussione le regole. Dimezziamo i deputati e al Senato mandiamo i principali sindaci, i presidenti di giunte e consigli regionali, a costo zero. Le Province aboliamole tutte».
O come mai ho l'impressione che se il Renzi fosse stato ancora presidente della Provincia di Firenze avrebbe detto: «I Comuni? Aboliamoli tutti!»...?
Madonna democratica, come siamo messi male. Ma la colpa è nostra: siamo svogliati e non ce la facciamo a partecipare ai consigli comunali, alle assemblee di partito, alle conferenze, agli incontri, agli inviti. Siamo tipi solitari? No, soltanto più pudichi, meno sfacciati, meno vogliosi di vincere la battaglia sul piano dell'esserci. 

domenica 28 agosto 2011

Robespierre si taglia le unghie.

Nella sua Amaca di oggi, Michele Serra scrive sulla vicenda della maxi-evasione di cui un'azienda conciaria del vicentino sarebbe accusata.
Se il primo capoverso è condivisibile, in quanto mostra la fallacia della tesi difensiva improntata dalla suddetta azienda, il secondo capoverso mi lascia perplesso. Vediamo:
«Una comunità di ex contadini poveri e ex migranti è diventata ricca lavorando duro e tagliando i ponti con le regole dello Stato e quelle del sindacato. Come i cinesi di Prato, ma molto prima di loro. Con una coesione interna ferrea e omertosa (non si possono evadere cifre del genere senza il consenso di tutti, operai per primi.) Per evitare il solito commento “moralista”: se tutto questo fosse servito a erigere una società migliore, pazienza. Ma quante librerie, quanti cinema, quanti teatri, quanta socialità, quanta buona architettura, quanta ecologia, quanta bellezza è stata realizzata, grazie alla cospicua refurtiva? Da Arzignano, in questo senso, non arrivano buone notizie».
Sbaglio o, in questo caso, Michele Serra cade in quello che voleva evitare e cioè nel “moralismo”? Per due ragioni: primo, ritenere che una società più ricca culturalmente sia migliore di una estremamente povera di cultura è moralismo. Del buon moralismo, per carità, al quale volentieri mi associo, ma sempre di moralismo si tratta. Seconda ragione: credere che la bellezza, oggi, possa essere realizzata da un mecenatismo che si fonda sulla frode è, spiace dirlo, avere un'idea dell'arte come quella ai tempi dei Borgia. Certo, abbiamo avuto il Rinascimento, ma a prezzo di tante ruberie e malaffare, di tanto sangue e sopraffazione. Ma, soprattutto, dietro questa idea sento odore di classismo e non sia mai detto che Serra sia un classista: giammai! La questione è molto più semplice di quanto si pensi: i soldi oggi, soprattutto se sono tanti, smisurati, non creano benessere, beltà, cultura, ma solo miseria, lordura e ignoranza. Ne sono testimoni non solo gli evasori, i malviventi e tiranni decaduti o ancora in piedi. Basta pensare a qualche industriale sempre d'aria veneta, chessò, un Benetton che dai golfini è passato alle autostrade, cosa sta facendo per arricchire la sua terra, il suo territorio di arte, di cultura, di educazione? Magari mi sbaglio, ma anche se qualcosa fa, ditemi, con tutto lo sfracello di soldi che ha sul groppone, ridetemi (e con lui ci metto anche quello della Geox e quello della Diesel e aggiungetevi voi pure qualcuno), ridetemi, dicevo, quante torri, quante cattedrali, quanti centri culturali, teatri, cinema e biblioteche hanno fondato e non piscine con la piscia calda dentro di giovincelli imberbi?
Mi fermo, le mie sono solo domande di chi mette i piedi a mollo solo in un catino con dell'acqua sorgiva e un po' di bicarbonato. Ho da tagliarmi le unghie dei piedi, sapete, visto che non posso tagliare teste (quelle di cazzo, soprattutto).

A un mio amico d'oltreoceano


Corri via, via, via, scappa via...

Update
Chiedendo al mio amico americano, via mail, notizie sulla bufera, egli - in diretta da Brooklyn - mi risponde (ore 16,40 casa mia, a N.Y. 6 ore meno, quindi le 10,40):
solito catastrofismo americano, io ho dormito 12 ore senza aver sentito nemmeno soffiare il vento ed adesso c'e' il sole, s.

sabato 27 agosto 2011

Disporsi a non essere, a non volere

[*]
Il sistema dei nuovi ticket inizia ad andare a regime, ma i disagi non si fermano. Al contrario, le farmacie continuano a essere assediate da clienti che non sanno come comportarsi con le nuove regole. La possibilità di presentare l'attestato dell'indicatore Isee ha spinto centinaia di persone a rivolgersi ai Caf dei sindacati, che già schierano nuove truppe di impiegati ai call center e agli sportelli per sopperire alle ulteriori richieste che si aspettano da lunedì, quando tornerà l'orda dei villeggianti. E per dare una mano a risolvere il temuto caos, la Regione Toscana ha firmato un accordo con l'Inps. Chiunque ha già attivato la carta sanitaria elettronica, può presentare l'Isee attraverso il sito internet www. inps. it nella sezione "Servizi online"  "Al servizio del cittadino" e scegliendo poi la modalità "autenticazione con Cns" e ottenere subito l'attestato.
«Il moto dell'opinione manipolata m'ha fatto capire fino a che punto siamo stati ridotti a usare gli eventi mondiali con la stessa dissipazione puerile che esercitiamo sui “prodotti”: a consumarli. In questi giorni ho ricevuto la traduzione di un libro di cui s'è fatto un gran discorrere in America. L'autore [parrebbe MacLuhan] è  un furbo, spesso un volgare apologeta del sistema. Storpia quanto Adorno e altri avevano detto già venticinque anni fa ma la formula, quella che identifica mezzo e messaggio, è azzeccata. Mai come nella crisi di giugno ho sperimentato l'identità raggiunta di involucro e di contenuto, di significanti primi e secondi. Tutto questo vuol dire una cosa sola. Tutto questo vuol persuaderci di una cosa sola: “Non esiste nessuna prospettiva, non c'è nessuna scala di precedenze. Tu devi ora partecipare di questa passione fittizia come hai già fatto con altre passioni apparenti. Non devi avere il tempo di sostare. Devi prepararti a dimenticare tutto e presto. Devi disporti a non essere e a non volere nulla».

Franco Fortini, I cani del Sinai, Einaudi, Torino 1979

No, nonostante ripetuti esempi di rivoluzioni che accadono (non ultima la Libia), noi italiani facciamo subito la fila agli sportelli del Caaf per vedere se abbiamo l'esenzione dal ticket.
È vero, ci sono poche statue da abbattere e, di contro, molte merde da pestare. Però vuoi mettere dopo farsi il bagno nelle jacuzzi di palazzo Grazioli...

Buongiorno

Sono giorni di iscrizioni universitarie questi, mi sembra. Bene, se casomai qualcuno che, per caso, passando di qui, avesse in serbo d'iscriversi a qualche scuola superiore di giornalismo, prima di farlo, legga questo post di Malvino e se lo stampi bene in mente se ha in animo di svolgere in maniera corretta il suo (futuro?) lavoro nelle redazioni all'epoca di internet.

venerdì 26 agosto 2011

Tempi da cavallette

Vittorio Zucconi si domanda:

perché in Italia non possa spuntare un tipo come Steve Jobs, un figlio di nessuno che da un’idea, in parte sua e in parte presa da altri, e da un minuscolo capitale iniziale (il costo di un’utilitaria), possa creare un’azienda come la Apple e accalappiare l’immaginazione del mondo? Anzi, precisiamo la domanda: perché non spunti più un tipo come Jobs, visto che quale ingegno creativo abbiamo pur avuto, in un passato non remoto?

Certo, a pensare a cosa era l'Olivetti. Al mercato dei telefonini. Ma io vorrei anche ricordare qui il mondo dell'auto dei lamenti continui che padroni e dirigenti Fiat indirizzano all'Italia. 
Cos'ha prodotto di veramente innovativo la Fiat negli ultimi decenni?
A che punto è, per esempio, con le motorizzazioni “ecologiche” (elettriche e affini)?
Possibile che non sia mai stato tecnicamente possibile produrre un'auto che facesse 50 km con un litro di benzina?
Il problema è ampio, ma soprattutto: è un problema del capitale che non è più orientato verso il lavoro ma verso la finanza e la produzione di ricchezza parassitica.
Da Olympe ho trovato queste parole di Christina Romer
In tal modo si spingono individui e popoli a diffondere l’idea che la ricchezza non la si costruisce attraverso l’uso, l’applicazione e l’esercizio del lavoro, bensì attraverso l’uso furbo e abile di quotidiane transazioni finanziarie legate a oscillazioni. E’ un abbassamento anche di prospettiva intellettuale. Si spingono individui e nazioni a rinunciare alle strategie di mercato per cercare, invece, come vere e proprie cavallette i campi dove lanciarsi per capitalizzare subito finanza immediata da re-investire subito in qualche altra piazza finanziaria mondiale. Per non parlare del fatto che, quando passano le cavallette dei finanzieri neo-liberisti selvaggi, molto spesso – per non dire quasi sempre – lasciano intere nazioni a secco

Una donna italiana va all'estero

Quando ho citato qualcosa da Sette del Corriere della Sera è sempre stato per criticare un servizio, un intervista, un'inserzione pubblicitaria. Questa volta, invece, voglio elogiarlo, perché nel numero uscito ieri in edicola, a pag. 70-71, c'è una testimonianza anonima di una donna italiana (è firmato così l'articolo), sulla personale, dolorosa vicenda di abortire in Italia usando la Pillola RU-486. È un racconto di una donna di 34 anni - una giornalista del Corriere forse, chissà, visto che ha avuto il privilegio di essere stata pubblicata. In esso si racconta di come la protagonista, accortasi di essere rimasta incinta, telefoni subito alla sua ginecologa che le prospetta 3 soluzioni a seconda del periodo di gestazione: la “isterosuzione”, il raschiamento o la pillola RU-486. Ella opta per quest'ultima soluzione, ma incontra numerose impedimenti, ritardi, procedure burocratiche assurde, la necessità del ricovero... Insomma, dopo aver provato in vari ospedali, ella si accorge di un'ulteriore possibilità: in Svizzera, dove tutto è più semplice e dove «si può praticare l'Ivg anche negli studi medici di ginecologia». Così ella parte per Lugano, va in uno studio ginecologico, i dottori verificano che non ha superato le 7 settimane, le fanno firmare e compilare un sondaggio (quest'ultima pratica burocratica è riservata alle cittadine straniere) e le danno la pillola e lei torna a casa. È lunedì. Deve ritornare nello studio il venerdì. Le lascio la parola:
«Arriva il venerdì senza che il mio corpo dia il minimo segnale di quello che sta accadendo dentro. Solo dopo aver preso la seconda pillola inizio ad avere forti crampi come accade durante una mestruazione dolorosa. Ed è proprio attraverso un fenomeno del tutto simile alla mestruazione che nel giro di poche ore avviene l'“espulsione”. Avrò per una decina di giorni, al massimo un mese, delle perdite, a volte dei crampi, niente più, niente a cui una donna non sia già abituata».
Ecco, cara donna italiana: hai spiegato benissimo perché nel tuo Paese la via chimica all'aborto è così fortemente ostacolata: perché ti fa patire poco psicologicamente, perché dopo ti senti meno merda e più leggera e non grava sulla tua coscienza quella sensazione di aver commesso un omicidio. E questo non è giusto per le coscienze dei quei cittadini italiani che, contrariamente a te, confidano di più nel magistero cattolico che nella Costituzione. “Non potendo abrogare la legge, almeno continuiamo a rendere la pratica abortiva difficoltosa, sconquassante, così almeno imparano, quelle sgualdrine”. Pare di sentirli gli obiettori di coscienza e tutti coloro che ne approvano la condotta. 
Siamo un Paese a sovranità limitata, fate voi la percentuale, ma tanta parte in capitolo ha la Chiesa.
In fondo 650 euro [il costo della pratica] cosa vuoi che siano: l'iPad lo comprerai l'anno prossimo, magari più potente e allo stesso prezzo.

Un messaggio da Katmandu


Incerte certezze

Dall'ottimo articolo di Michele Smargiassi, inviato al Meeting di CL a Rimini, scritto per R2 di Repubblica di oggi, estraggo:
«E adesso voi relativisti come la mettete?». Incrocia le braccia, si dondola sulla sedia, stringe gli occhi e aspetta la risposta. La mettiamo cosa? «Con Fukushima. Con Oslo. Col crollo delle borse...». Un terremoto, un pazzo assassino, una crisi economica: scusa, che c'entra il relativismo? Filippo sfodera un sorriso beffardo da “qui ti volevo”, studia filosofia a Milano, ci sa fare con le parole: «Come fate a cavarvela con il vostro pensiero debole, il vostro scetticismo sistematico? Vi siete costretti a dubitare di tutto, e adesso avete paura di tutto».
Come la mettiamo, dunque, noi relativisti? È vero che abbiamo paura di tutto? E se sì, perché?
Migliaia di famigliole, di ragazzi, stanno correndo ad ascoltare un filosofo, Costantino Esposito, cantare le lodi di qualcosa che il denaro e i potenti non sanno più garantire: la Certezza. Un'ora di escursione sulle cime ostiche del pensiero («Mi capite? Mi state seguendo?») fino alla vetta: «La vera certezza è appartenere a Qualcuno». «Ho capito solo questo, ma per me è abbastanza», applaude convinta l'infermiera Ilaria di Padova.
Adesso comincio a capire perché ho o, perlomeno, dovrei avere paura: perché non appartengo a Qualcuno. È il destino dei blogger l'inappartenenza. Di questo ne sono ben consapevole. Individualismo puro, sì, ma anche coscienza piena di non essere soli. La solitudine sconfitta dalla solitudine. Non rinchiudersi nell'effetto serra delle certezze che surriscaldano il cervello, che non permettono di prendere aria  nello spazio delle idee possibili. E adesso capisco anche di cosa ho paura veramente: di aver fede, di credere indubitabilmente in qualcosa che mi rinchiuda nella prigione della certezza. Si nasce e si muore soli. La vita è un fatto personale, nessuno ci ha domandato il permesso se volevamo venire al mondo o meno. Io, che tanto ho faticato a svezzarmi - e forse ancora non ci sono nemmeno ben riuscito - figuriamoci (almeno la penso così in questa fase della vita, chiaro) se voglio identificarmi con un'appartenenza, quale che sia. Se una cosa so di me, ovvero se ho una minima certezza è quella di non averne, appunto, quella di sentire di non essere teleologicamente orientato verso un fine, se non verso la fine, come mi diceva una signora al mercato stamani sostenendo che costa caro anche morire: novemila euro per due forni, no cazzo, voglio la terra, o il fuoco e l'aria, e ché bisogna fare un mutuo per morire? Ma tassiamo fino alla morte le onoranze funebri che vanno a giro con quei mercedessoni station wagon brutti come Gheddafi e Berlusconi insieme.
Ma riprendiamo il discorso:
È la sottile rivalsa sugli “allegri nichilisti” e i loro sberleffi postmoderni, subiti per decenni. Come dire: adesso tocca a voi, i cultori del relativo, patire «la tortura invisibile dell'incertezza» stando a un titolo dell'Osservatore Romano dell'inizio di questa estate di sconquassi. «Gli uomini con una certezza incidono nella storia, l'incertezza fa soffrire», ribadisce la presidente del Meeting Emilia Guarneri con vago compiacimento. È così: a Rimini, a centinaia di migliaia, sono arrivati i pellegrini dalle certezze salde».
Proprio così, purtroppo: la storia è stata sovente incisa da uomini dalle certezze granitiche, tatuata a sangue - e molto, da far ritornare i fiumi in piena. Obietterete che non tutti gli uomini con una certezza sono degli Hitler, degli Stalin, dei Mussolini. Accolta l'obiezione. Il problema è quando si radunano popoli intorno alle certezze di qualcuno. È lì che la storia subisce il graffio, l'unghiata. E poi non è vero che l'incertezza sempre fa soffrire. No. Soffre chi vive l'incertezza in una perenne attesa di raggiungere la certezza.
È questa in fondo la forza dei nipotini del “Gius”. Loro sì che hanno la “vocazione maggioritaria” e la applicano. Amano annettersi con civetteria culturale i territori più inattesi e impervi, meglio se rimasti disabitati. Arruolano Sartre, Pasolini, Pavese, preferiscono il tormentato Dostoevskij al moralista Tolstoj. La colonna sonora del Meeting è di un cantautore cubano fotografato davanti al ritratto del Che.
Et voilà: noi incerti dubitanti, giunchi pensanti, sofferenti e gaudenti insieme, che cerchiamo l'infinito nella gioia dell'attimo e poi a culo tutto il resto; ecco cosa noi siamo - attaccati come siamo al celeberrimo osso montaliano: sappiamo solo cosa non siamo e cosa non vogliamo. Soprattutto: non vogliamo arruolare nessuno, in fondo non diamo garanzie di pubblico e successo. Siamo esseri nella fase in cui, per dare un significato alle cose preferiamo ragionarci su, anziché affidarci ad esse come fossero vere a prescindere.
«La vera certezza è appartenere a Qualcuno», sento ancora suonare questa frase. Mi tocco le palle e mi ci attacco. Ora sì che appartengo a qualcuno (“q” minuscola, s'intende). 

giovedì 25 agosto 2011

Cercasi Freemont seminuova

«La Fiat continuerà a fare auto. L'Italia ha ancora voglia di produrle?».
Non so a voi, ma a me questa frase di John Elkann non mi torna. Forse la sto isolando troppo dal contesto?
Proviamo a sostituire soggetto e complemento diretto.
«La Ferrero continuerà a fare la Nutella. L'Italia ha ancora voglia di produrla?». Oppure:
«Rovagnati continerà a fare prosciutti. L'Italia ha ancora voglia di produrli?». O ancora
«La Cirio continuerà a fare pomodori pelati. L'Italia ha ancora voglia di produrli?».
E così via. 
La cosa vi quadra? Se qualcuno davanti a voi dice una cosa simile, lo applaudite?

Proviamo ora a invertire l'ordine dei soggetti.
«L'Italia continuerà a fare auto. La Fiat ha ancora voglia di produrle?» e qui andrebbe aggiunto... «a regola d'arte», ma lasciamo correre.

Proseguiamo la lettura dell'articolo
Scelte di investimento che cadono in un momento delicato per l'auto con un mercato italiano che per Marchionne sarà il più basso dal 1996, con prospettive non buone anche per il 2012. «Non è un mercato sano – spiega – del resto se c'è incertezza sul lavoro le auto non si comprano, e anche un aumento dell'Iva non aiuterebbe». Tuttavia il manager conferma al momento tutti i target, anche grazie alle vendite della Freemont, al di sopra delle stime. 
«Anche grazie alle vendite della Freemont». Non posso certo confutare tale affermazione. Anzi, pare che i dati confermino un buon andamanento degli ordini. Posso solo riportare un'impressione. A me piacciono le auto, e se passa un nuovo modello me ne accorgo. È vero che io abito in un posto periferico, in campagna per la precisione.  Ma un poco viaggio e mi sposto (in auto) tra due città e province.
Bene, vi prego di credermi: l'unica Fiat Freemont che ho visto in giro era parcheggiata in una piazza di un paese. Ricordo che era sera, tra il lusco e il brusco, e che mi sono avvicinato per ammirarla da vicino. Aveva sulle fiancate gli adesivi di una concessionaria Fiat, segno evidente che ancora non era stata venduta.
Chissà perché, invece, quando esce un modello nuovo di una Audi o di una Renault, di una Bmw o di una Toyota, subito le vedo transitare per le strade che frequento. Ch'io abbia un problema di esterofilia visiva?



«Italy: we don't have to go»



E invece le cose sono molto più semplici da capire di quanto uno pensi.

Vale a dire: questi due signori giù in basso, nonostante si ostinino a durare con le tisane o i sigari, quando si dimetteranno o saranno dimessi dalla storia, non lasceranno l'azienda Italia nelle stesse condizioni della Apple.



Ah, alors là ça c'est sûr!

Fasi orali

Compatrioti!
Abbiate pazienza. Sto meravigliosamente perdendo tempo a partizionare l'hard-disk per installare almeno cinque* distribuzioni Linux! Sono in una fase rincoglionimento, riabbiate pazienza. Monto, rismonto, rimonto. D'altronde, mio padre era meccanico e forse questo non è un caso. Ma non tocco nulla se non la tastiera del pc e il mouse e i cd d'installazione. Lo so, è dispersione. Lo so, potrei andare a pescare, o a Pescara a trovare gli eredi di Rapagnetta per spiegarmi se davvero e come il Vate si tolse una costola per.
Ci pensavo ieri sera, al chiar di luna. Non facendo la luna oralsex e figuriamoci se. Ma io non ho detto nulla. E allora monto, rismonto, rimonto. Quarant'anni, ma io zitto. Io penso che una nazione come l'Italia, per trovare (non dico ri-trovare e non a caso) un certo equilibrio socio-politico dovrebbe favorire una psicoanalisi di massa. Una terapia intensiva per scavare dentro se stessi, alla ricerca delle ragioni che ci rendono così poco inclini alla partecipazione e molto propensi al menefreghismo. Così a naso, e di sicuro mi sbaglio, l'Italia è uno Stato che deve ancora superare la fase orale. Figuriamoci dopo con il resto. 


  1. Linux Mint Katya Gnome Desktop
  2. OpenSUSE KDE Desktop
  3. BackTrack 5 R1
  4. CrunchBang.
  5. ancora devo scegliere tra queste.

Ho smesso di credere alla verità


Nel libro di Fortini, I cani del Sinai da cui ieri ho estratto un brano, trovo anche, come epigrafe finale, questa frase di Zelman Lewental, Sonderkommando del Crematorio II, di Auschiwitz-Birkenau, detta in data 15 agosto 1944:
Se tu non vuoi più credere alla verità, nessuno vorrà più credere a te.
Leggendola, il pensiero è corso al meditativo post di Luigi Castaldi sulla verità e, insieme, al cambio di religione operato (scherzosamente) da Giulio Mozzi.
E pensavo alla fede che molti ritengono essere una verità, anzi la verità per eccellenza. E pensavo che amare la verità, che uno crede di possedere, sia molto legato alla paura di perdere l'identità, di perdere riconoscimento. Esemplifico: se qualcuno smette di credere a X, nel quale aveva fede perché riteneva vero, intorno tutti gli amici non lo riconosceranno più, gli diranno: «Quanto sei cambiato!».
Ma è cambiato cosa? La verità o colui che non crede più in essa, perché magari ha sostituito la prima verità con una seconda e così via, fino a sperimentarle tutte?
E infine: il credere a una particolare verità è legato al caso o alla necessità?
È tardi. Vado a letto cercando di rispondere a questa domanda, illuminato e custodito dagli angeli.

mercoledì 24 agosto 2011

Nec reciso recedit


Il caso del servizio del Tg1 che vedeva imputato Minzolini di contraffazione e poi assolto subito con formula piena, non dimostra lo stesso che i servizi televisivi sono un'arma di propaganda totale, di camuffamento della realtà? Porca miseria, non è trascorso nemmeno un anno da quando Gheddafi bivaccava nel suolo italico, con amazzoni al seguito e il baciamani di colui che ancora vergognosamente ci governa. 
Gheddafi al G8 di l'Aquila del 2009 perché non me lo mettono come immagine di repertorio?

Qui tutte le foto ricordo. Andate e salvate prima che gli archivi di stato facciano modifiche migliori delle mie.

martedì 23 agosto 2011

Deus ex machina

Nell'attesa di capire cosa abbia in mente Giulio Mozzi, io provo a immaginarmi se davvero Dio si prendesse la briga di lavorare almeno un giorno a settimana, così, anche solo per risolvere i problemi del traffico. A Palermo.

Al bar Casablanca

Se Marx avrà ragione definitivamente lo sapremo quando ormai non ci sarà più niente da fare, niente da sperare e il capitalismo avrà spolpato lo spolpabile - e dietro la parola capitalismo sappiamo che esistono persone. Io non posso né criticare né promuovere la teoria marxista, dato che di Marx ho letto qualche pagina estratta dai manuali e Il Capitale è lì che mi guarda tutto polveroso. Ma ultimamente, da quanto Olympe va scrivendo e quindi divulgando, mi sembra che Marx abbia azzeccato lo sfacelo al quale il sistema capitalistico conduce la società umana. Tuttavia, è inutile sperare in una specie di rivoluzione del proletariato: lo dico a naso, forte solo del mio pessimismo naturale, e pronto a correggermi se dico una sciocchezza: Marx avrà anche visto giusto riguardo alla distruzione, ma riguardo alla costruzione - ovvero alla società comunista fin qui sperimentata in svariati Paesi del pianeta - ha visto forse peggio. Lo so, gli uomini, che vuoi fare, sono imperfetti di natura, dato che la natura stessa è imperfetta - o forse è talmente tutto così perfetto che non ce ne accorgiamo, dimenticando la lezione di Spinoza.
La finisco, ritorno a terra, in quella natìa e penso ai cazzi nostri. Berlusconi, già. Sapete perché mi è venuto in mente? Perché ho letto questo frammento di Paul Krugman che rivela, casomai ce ne fosse ancora bisogno, la più grande trappola con la quale Berlusconi ha "catturato" gli elettori.

It’s always good to remember that businessmen — even great businessmen — don’t necessarily know much about how to make the macroeconomy work. How can that be? Don’t they know all about creating jobs? No, they don’t. They know all about expanding individual businesses — often, indeed usually, at the expense of other individual businesses. That’s an important and very lucrative skill, but it has very little to with the problem of expanding a whole economy, whose main customer is … itself.*
*Propongo una traduzione basata sul traduttore di Google
«È sempre bene ricordare che gli uomini d'affari - anche grandi uomini d'affari - non necessariamente conoscono molto su come far funzionare la macroeconomia. Come può essere questo? Non sanno tutto sulla creazione di posti di lavoro? No, non lo sanno. Sanno tutto di espansione singole imprese - spesso, infatti, di solito a scapito di altre singole imprese. Questa è una dote importante e molto redditizia, ma ha ben poco a che fare con il problema di espandere un intera economia, il cui principale cliente è ... se stessa»

È l'estate dei rospi



«Mese di [agosto]* stupendo, una fortuna per chi può andare in vacanze. L'aria del mattino brucia ogni pensiero che si arrischi al di là del presente. La gente conversa nelle belle serate a proposito degli avvenimenti del Medio Oriente – con cortesi e non rovinose differenze di opinione, perché siamo tutti persone civili – ma chi può avvertire una reale differenza fra queste e le sere di [agosto] degli anni scorsi? Un modesto conflitto senza conseguenze. Certo, il Vietnam – ma da quanti anni non durano guerre lontane, altrove. Trent'anni fa, un mese di luglio, mi pare: davanti al medesimo mare, in una pensione per famiglie, il Corriere della Sera di mio padre. Qualcosa era cominciato dove tramontava il sole, in Spagna. Quand'è che hanno ammazzato quei negri in America? L'estate scorsa o quella innanzi? La memoria serve a livellare tutto. Sulle terrazze delle ville che si scaldano al sole del tramonto, mentre gli ospiti arrivano tra i vialetti, ti senti fra voci di trenta, di quarant'anni fa. Sull'asfalto delle strade il sangue fresco torna ad aggrumarsi dove già schizzò negli anni passati, gli agenti della Stradale tendono le loro misurazioni tra le briciole dei cristalli. Il contadino che ebbe portata via la gamba da un'auto estiva anni fa, seduto sulla soglia della casupola che s'è costruita col risarcimento, guarda il proprio ragazzo pedalare sbandando nel buio lungo i tornanti che le macchine attaccano. Nulla deve mutare. La radio parla dell'esodo estivo, le musichette delle sigle ballonzolano nelle osterie. È l'estate dei rospi e dei cani nei campi, dei piccoli congegni notturni degli insetti; che hanno solo questa estate da vivere e sono al lavoro dappertutto».

Franco Fortini, I cani del Sinai, Einaudi, Torino 1979

*Fortini scrive luglio e io mi sono permesso di. 
Foto presa da Big Picture

lunedì 22 agosto 2011

La sovranità appartiene al Parlamento

Al netto dei morti e delle macerie sparse, dei bombardamenti e delle grida a Dio che è grande, non sarebbe opportuna una presa di Roma da parte dei ribelli che, scaricando nell'aere colpi di mitraglia a bordo dei loro pick-up giapponesi, costringessero Berlusconi, faccia alla catastrofe, a rifugiarsi in uno dei suoi bunker già pronti all'uopo? Pii desideri, noi siamo democratici. E poi Roma, in questi giorni è molto più calda, più immota e indifferente di Tripoli. Non c'è sete di vendetta, ecco tutto. Siamo stati molto più complici del popolo libico, noi italiani, nei confronti del regime. E i pochi che avrebbero legittimità a parlare e a presiedere un governo di salute nazionale, sono gente disarmata, disillusa, di nessuna ambizione. Tutto continua come sempre in un Paese che, se non starà attento, vedrà presto scritto sulla Costituzione che «la sovranità appartiene al Parlamento» e non al popolo, «che la esercita senza limiti e senza leggi secondo i termini del Capo»*.

*Ricordate, vero?

Lo Stato perfetto


Le campane che squillano e i cannoni
si confondono insieme i loro suoni.
Ringraziamo il Signore a terra chini
come buoni cristiani ed assassini.

Noi abbiamo obbedito ai suoi comandi.
Eseguito i delitti più nefandi.
Egli ci ha dato il fuoco e la mitraglia.
Dio è un fascista e il popolo è plebaglia.

Bertolt Brecht, L'Abicì della guerra, Einaudi, Torino 1975 (ed. orig. Frankfurt a.M. 1955, traduzione di Renato Solmi e del CCM di Torino)

Si prega di cliccare sul'immagine come si celebravano volentieri le messe "fasciste" alla fine della guerra di Spagna.

In attesa dei nuovi palinsesti

Ancora poche settimane e la televisione italiana ritroverà il palinsesto che la mette al centro della discussione politica e sociale del Paese. Poche settimane restano, dunque, a un manipolo di valorosi ingegneri informatici animati da spirito rivoluzionario, affinché percorrano la nostra penisola di pena dalle Alpi sino a Lampedusa, per installare negli apparecchi televisivi delle famiglie italiane questo geniale marchingegno frutto della più sofisticata ricerca contro il rimbecillimento televisivo.
Altro che scendere in piazza a protestare contro la manovra finanziaria, o ad ascoltare una trasmissione di Santoro! Bussare alla porta gentilmente, dire: «Scusi, signora: a lei chi sta sul cazzo? Può scegliere sino a quattro o cinque nomi. Come dice? Le stanno sul cazzo tutti? Aspetti, che aggiorniamo il software».


Altri meeting

Solo per dire che, sì, m'iscriverei subito anch'io alla mozione Napolitano... se solo il Presidente avesse fatto questo discorso altrove, sotto altre tende, davanti ad un uditorio più casuale, meno iscritto alle certezze della fede.

domenica 21 agosto 2011

Lavorare per conto della morte


«Fratelli, cosa fate?» «Un carro armato».
«E poi, con quelle lamine là dietro?»
«Un proiettile nuovo e brevettato.
Buca l'acciaio come fosse vetro».

Ahimè, la nostra società è impazzita!
La catastrofe bussa alle sue porte.
Lavorare per conto della morte
è il solo modo per restare in vita.

Bertolt Brecht, L'Abicì della guerra, Einaudi, Torino 1975 (ed. orig. Frankfurt a.M. 1955, traduzione di Renato Solmi e del CCM di Torino)

N.B. Cliccate sull'immagine per vedere meglio.

Guerre liberali

Stamani, in macelleria, mentre aspettavo il mio turno per comprare un po' di macinato per il ragù della domenica, mi sono messo a leggere l'editoriale del prof. Ernesto Galli Della Loggia, sul Corriere della Sera.
E fin dal primo periodo mi è sembrato che tale editoriale andava letto ad alta voce, in falsetto mussoliniano, oppure cercando d'imitare l'impareggiabile tono oratorio del Nerone petroliniano.

Ci ho provato, e devo dire che ha funzionato a meraviglia. Se avessi meno pudore potrei registrarmi e farvi sentire il risultato. Ma dato che non è cosa difficile, invito anche voi a tale esperimento.
Provate con questi passaggi
nessuno dei propri governanti tiene sotto controllo un bel nulla. [...]
Proprio nel momento peggiore della sua storia postbellica l'Occidente [...] scopre di essere nelle mani di leader privi di temperamento, di coraggio e soprattutto di visione.[...]
L'esercizio del potere si spoglia di qualunque necessità di conoscere, di capire, di progettare, e soprattutto di scegliere e di decidere.[...]
La «democrazia della spesa» [...] è un meccanismo che, oltre a svilire progressivamente la sostanza e l'immagine della politica, contribuisce a selezionare le classi politiche al contrario, non premiando mai i migliori [...]
Ad aggravare gli effetti di questa personalizzazione mediatica dei capi si aggiunge paradossalmente, quasi a fare da contrappeso apparente, la progressiva spersonalizzazione, invece, delle loro decisioni: specie di quelle davvero cruciali. Cioè la virtuale deresponsabilizzazione degli stessi capi. Dal momento, infatti, che i problemi hanno sempre di più un carattere mondiale o a dir poco regionale, che la globalizzazione impone le sue regole irrevocabili, l'ambito nazionale diventa secondario.[...]
Quelle che davvero contano in modo vincolante sono sempre di più le decisioni prese da qualche vertice o da qualche istituzione internazionale, più o meno lontani e indifferenti rispetto all'arena politica domestica. Decisioni che così finiscono per essere figlie di nessuno e un comodo alibi per tutti. Come possono formarsi in questo modo vere élites politiche? Veri, autorevoli, capi politici? 
E adesso viene il bello. A sostegno di quest'ultima tesi, infatti, il prof. Galli Della Loggia porta l'esempio dei governanti italiani "costretti" a essere intruppati in operazioni belliche dalla guerra d'Jugoslavia a quella, attuale, di Libia per non dispiacere le cosiddette istituzioni internazionali.
Ma il tema della guerra richiama a Galli Della Loggia un “pensiero stupendo”, questo:
Già, la guerra; e dunque la politica estera di cui la guerra un tempo rappresentava l'apice. Non è politicamente corretto ciò che sto per dire, lo so. Ma certo è difficile pensare che la virtuale scomparsa dall'esperienza europea di questi due ambiti decisivi di ciò che fino a qualche decennio fa è stata la politica - i due ambiti cruciali in cui fino a ieri i capi politici potevano essere chiamati a dare prova di sé, ad essere preparati a dare prova di sé - non abbia avuto la sua parte nel rendere sempre più scadente la qualità delle classi politiche del Vecchio continente. È solo un caso, mi chiedo, se i tre principali leader di paesi democratici nell'Europa della post-ricostruzione - De Gaulle, la signora Thatcher e Helmut Kohl - abbiano legato tutti e tre il proprio nome a grandi decisioni di politica estera e/o di tipo bellico (l'Algeria e l'armamento atomico, la guerra delle Falkland, l'unificazione tedesca)? Forse no, direi, non è proprio un caso.
Ah, ecco finalmente rivelato l'arcano! Ecco giustificato il tono da Palazzo Venezia dell'eminente professore! Ecco, in una parola, cosa servirebbe all'Italia, all'Europa, al mondo per far ritornare in auge una leadership forte, autorevole, capace di guidare le moltitudini: la guerra, appunto.

Temo però che i megafoni del potere convinceranno pochi cervelli della necessità della stessa. Certo, gli eserciti sono pronti, come sempre. Le armi ci sono, belle perfomanti, e l'industria bellica, in fondo, garantirebbe un buon indotto. La crescita economica riceverebbe il migliore stimolo per vincere la sua cronica stitichezza. Ma manca la cosa indispensabile per far sì che la guerra trovi il suo giusto sfogo: il nemico perfetto. Al momento tutto è calmo sui fronti occidentali e orientali. Ecco perché qualcuno comincia a guardare in alto e a sperare che ci attacchino gli ET. (Sì, ma almeno Krugman scherza, Galli Della Loggia mica tanto).

sabato 20 agosto 2011

Il montar della protesta


Non pare vero, ma sta montando la protesta intorno allo scandalo permanente dei finanziamenti dello Stato Italiano allo Stato Pontificio. La gente, si sa, mormora, e Dio ultimamente dà poche risposte: il mondo, infatti, da queste parti occidentali, pensa poco al Signore se non nei momenti topici di nascita, morte, sacramenti vari e feste comandate. Il resto è vita - e bestemmie parecchie per arrivare a fine mese. Le preghiere hanno poca presa per pagare le rate degli iPad, o le vacanze a Formentera. Ok, qualche crocerossina, anche numerose, fanno la carità ed elargiscono pasti caldi a migliaia di affamati. Ma la classe media si è rotta i coglioni del principio di sussidarietà, che insomma dietro un pezzo di pane ci debba essere per forza un padre pinco e la madonna addolorata delle rose. La povertà, insomma - pensa l'uomo medio (o almeno vorrei pensasse così) - è il combustibile perfetto per tenere accesa la fiamma della fede. E la Chiesa Cattolica si pasce di poveri per mostrare che a qualcosa di concreto serve. Ma anche se fosse dimostrato che tutto quanto essa riceve fosse ai poveri dedicato, e quando dico tutto intendo tutto, non potrebbe lo Stato dirsi ma non posso fare un appalto a regola di legge tra varie agenzie che svolgano il lavoro di sussidarietà? Vince la Chiesa? Benissimo, a volte càpita persino che per fare un'autostrada vincano l'appalto aziende in odor di mafia. Sto vaneggiando? Mica tanto. Guardate questo elenco e pensate che è tutto a norma di legge. E come Berlusconi ha governato tutti questi anni per piegare la legge ai suoi interessi, dico, possibile che non ci siano politici che osino piegare la legge all'interesse dello Stato Italiano contro quello Vaticano?

Comme disent les indiens

Ieri, passando dai Jardin des Tuileries, ho incontrato Nelson e gli ho chiesto se, dopo tanto navigare, non avesse avuto bisogno di un po' di riposo da terra ferma, da distese di alberi, palazzi, cani che sorseggiano acqua d'Evian.

- No, non ho questo bisogno. Preferisco la lontananza. E ti dirò: più che le navi, vorrei ci fossero astronavi adatte a chi sa navigare solo col pensiero. Questo mondo è troppo pieno di umani che non sanno di esserlo, o che pensano che esserlo sia sufficiente per potere tutto. Tu non puoi niente, soprattutto se il cervello è occupato a sopravvivere con un sovraccarico di facezie. Usa i sensi, tutti. Annusati, senti se il sudore è acido o sa di buono, come il mirto o la lavanda. E libera le ascelle verso il cielo. Descrivi il tuo non fare, confondilo col disfacimento che accade a causa di. Ma soprattutto: respira profondamente due o tre volte al giorno per ricordarti che sei aria.

Grazie. Sono giorni che dormo male per il caldo e altre noie. Incontrati stamani a colazione è stato bello, caro Nelson. Ho bisogno che qualcuno viva bene per me cose che non posso, dato che io ho il volere basso, come la pressione.

Foto di Nelson Faria

Retroproiezioni


«[...] quando un maschio e una femmina si accoppiano non sempre il risultato è un bambino: anche quando avviene la fecondazione, il risultato è assai spesso un aborto spontaneo. Dire, quindi, “quel bambino” è una retroproiezione. Tutto questo, ovviamente, se parliamo del maschio e della femmina della specie umana, sennò, “quando un maschio e una femmina si accoppiano”, il risultato può essere anche un bacarozzo.
Altrettanto rozzo e superficiale, dunque, è affermare che “l’insorgere della persona è il frutto di una copula”: tra copula e persona ci sono di mezzo molti passaggi, né sufficienti, né necessari. Qualunque definizione si possa dare di“persona”, infatti, non si dà nel frutto di una copula che generi un essere inadeguato ad assumerla, come è nel caso di un feto anencefalo o di una mola vescicolare, che pure hanno una identità nuova e distintada qualunque altra. In realtà (questa sì vera realtà, di là da interpretazioni retroproiettive), si ha persona solo se (e quando) il prodotto della fecondazione arriva a raggiungere un grado di sviluppo tale da renderla possibile. Prima di tale grado non si ha bambino, se non nelle aspettative, ma un feto. E fuori da tali aspettative un feto è un feto, non è ancora persona. Potrebbe non diventarlo mai. Può dispiacere, ma è così [...]». Luigi Castaldi.

«Nouriel Roubini: Le aziende non stanno facendo nulla, non sono di aiuto, sono nervose per l’accresciuto rischio. Dichiarano che stanno tagliando la capacità in eccesso poiché non c’è abbastanza domanda, ma questo porta ad uno stallo. Se non si impiega personale, non ci sarà abbastanza reddito, né fiducia da parte dei consumatori, e quindi non abbastanza domanda. Negli ultimi due/tre anni c’è stato un peggioramento a causa del massiccio trasferimento di reddito dal lavoro alla rendita, dai salari al profitto; il differenziale di reddito è cresciuto. La propensione alla spesa delle famiglie è maggiore di quella delle aziende, poiché le aziende hanno maggiore propensione al risparmio delle famiglie, pertanto la re-distribuzione del reddito e della ricchezza rende il problema della scarsa domanda ancora peggiore. Karl Marx aveva ragione. Ad un certo punto, il capitalismo può auto-distruggersi. Non si può continuare a trasferire reddito dal lavoro al capitale senza causare eccesso di capacità produttiva e calo della domanda aggregata. Questo è ciò che è accaduto. Pensavamo che i mercati funzionassero. No, non stanno funzionando. Il singolo può essere razionale. L’azienda, per sopravvivere e crescere può abbattere sempre più il costo del lavoro, ma i costi del lavoro sono il reddito e quindi il consumo di qualcun altro. È un processo auto-distruttivo» [via Vulvia]

Voi direte: cosa c'entra la questione dell'aborto con il processo auto-distruttivo del capitalismo?
Non lo so, so solo che stamani mi sono alzato è ho trovato due preziose spiegazioni, ovvero due risposte che "fotografano" aspetti del reale affatto diversi. E io voglio conservare queste risposte per riproiettarmele nella mente alla bisogna.

giovedì 18 agosto 2011

Salmo irresponsoriale

E se davvero i ladri in questione se la facessero addosso, se fossero cioè colpiti da una diarrea tremenda che li costringesse alla confessione, al pentimento e, quindi, alla restituzione del maltolto? Ci pensate che bella notizia sarebbe! Finalmente Iddio ci ascolta! Subito i frati di San Salvatore al Monte di Firenze sarebbero presi d'assalto da fedeli pronti a domandar loro se potessero, nuovamente, chiedere al Signore un simile miracolo... 
Dio della Merda aiutaci a immerdare i nostri nemici” intonerà il salmista e qualcuno là fuori comincerà a preoccuparsi seriamente, vero Berlusconi?

Come un sorcio

...............................
- condannata l'intera città e le
fiamme a torri.

come un sorcio, come una
rossa babbuccia, come
una stella un geranio, una
lingua di gatto, oppure -

il pensiero, il pensiero
che è foglia, ciottolo, un vecchio
uscito da un racconto di

Puskin
.

Ah
crollo di travi
marce
.
vecchia brocca in
cocci

la notte fatta giorno dalle fiamme, le fiamme...

William Carlos Williams, Like a mouse
versione di Cristina Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991.

Scambio vocalico

- Pronto?
- Sì, buonasera, chiamo dalla Svizzera. Da Lugano. Siamo un'azienda farmaceutica e stiamo facendo un'indagine sulle caratteristiche della pelle della popolazione. Vorrei parlare con la signora, che è in casa.
- Dalla Svizzera? Da Lugano? Alle 18,30 di un pomeriggio d'agosto?
-Sì, da Lugano, e vorrei parlare con la signora, che è in casa.
- Ma chi vi ha dato il nominativo? E perché dalla Svizzera chiamate? E per un'indagine poi? Cos'è, il franco vi ha dato alla testa?
- Vogliamo parlare con la signora, che è in casa, per proporle in esclusiva i nostri prodotti all'avanguardia per la cura e la bellezza della pelle.
- Signorina, la sua voce ticinese mi è simpatica, vedo di chiamarle la signora, che dovrebbe essere in casa, se non è uscita.
- Noi cerchiamo la signora, che è in casa, perché siamo un'azienda farmaceutica...

- Caraaaaaaaa, sei in casa?
...
- Signorina, la signora non è in casa. Se vuole, posso partecipare io alla sua indagine.
- Io volevo parlare con la signora, che è in casa. Ma visto che lei è così gentile, le faccio la prima domanda: tra le tante creme specifiche per la pelle (crema per il viso, per le mani, per i piedi, per le gambe, crema solare...), lei quale usa di più?
- La saluto signorina. Stia attenta alle vocali. Ricordi Achille, figlio di Apollo.

Post di servizio

Allora, nel post precedente pubblicato a mezzanotte passata di oggi, ho dato alla tonnellata del miriagrammo che è un po' come dare a Ferrara del Giannino. Il gentile ed illustre Popinga mi segnala privatamente la cosa via mail (e lo ringrazio), ma la mail che lui ha inviato stamani l'ho letta solo un paio d'ore fa.
Subito vorrei correggermi, ma non riesco a caricare il post, ovvero non accedo dentro la tipica finestrina su cui Blogger consente di comporre i propri post. E nemmeno riesco a scriverne uno nuovo come questo. 
Eppure, dal reader, vedo che alcuni "colleghi", che scrivono sulla stessa mia piattaforma, riescono a postare tranquillamente.
Ora, si dà il caso che usi Chrome o Chromium come browser. Ma, accanto a esso, ogni tanto, uso anche Firefox. Così, per scrupolo, apro il browser di Mozilla, provo a entrare e... accedo, scrivo, e segnalo 'sto intoppo ai tecnici della casa madre Google. 
Per caso, la Motorola vi ha già confuso le idee?

Equivalenze


Questo è un kg di farina. Mille pacchi di questi fanno una tonnellata (o Miriagrammo Megagrammo*) di farina.
A La Spezia hanno sequestrato una tonnellata di cocaina che, più o meno, dovrebbe avere lo stesso peso specifico della farina.
Ora, la farina tipo quella sopra esposta costa sulle 0,40 € al Kg, quindi 0,40 x 1000 = 400 € a tonnellata.
La cocaina, invece, costa sulle 100 $ al grammo, quindi 100 x 1000 = 100.000 $ al Kg, ovvero 100.000.000 $ alla tonnellata.
La Guardia di Finanza ha quindi sequestrato della merce avente un valore sul commercio illegale notevole.
Io non dico nulla, offro solo delle idee.
Chi consuma la coca?
Probabilmente chi ha un buon reddito, magari non dichiarato. Con mille euro al mese col cazzo che sniffi cocaina insomma, mi sembra pacifico.
È evidente che si dà un sequestro ogni centinaia di arrivi.
Ora, non sarebbe economicamente vantaggioso per lo Stato entrare nel mercato della cocaina?
O liberalizzandone il commercio (ma so che è questa è un'ipotesi da accantonare); o entrando esso stesso nel mercato illegale, vendendo cioè la coca sequestrata tramite dei pusher addestrati dalla nostra intelligence, sì da finanziare almeno tutto quel sottobosco o sottobanco di spese a "nero" a cui lo Stato stesso deve far fronte in certe situazioni "critiche" (tipo questa, già segnalata da Fabristol).


Update
Ringrazio un caro amico blogger che con delicatezza mi ha fatto notare la svista. E che svista!

mercoledì 17 agosto 2011

Liscio come l'olio

Chi pensa che i lubrificanti siano solo quelli che si usano per il motore delle auto è invitato a partecipare a questo sondaggio davvero anonimo.

My luxury bound

Gentili Larry Page e Sergey Brin, 
a parte la cazzata di aver comprato Motorola* di cui io in fondo ho poco da dire visto che gli smartphone ancora non li uso (e nemmeno i tablet), voglio dirvi che io, nella guerra tra i colossi dell'informatica (voi di Google, Apple e Microsoft) faccio il tifo per voi, per varie ragioni che sarebbe tedioso dire qui.
Certo, voglio molto più bene a quelli di Linux, ma anche voi sinora siete stati abbastanza gratuiti da offrire libertà di pensiero e movimento dello stesso mediante gli strumenti di cui siete inventori e tenutari.
E oggi, devo confessarlo, quando ho visto questo annuncio mi sono un po' emozionato: lo so, non siete voi di Google in persona ad inviarmelo, è evidente: è il sistema che, si vede in automatico, rivela un insolito flusso di lettori da queste parti dove si cerca di fare un po' di letteratura con la miseria della mia (!) bravura; un flusso sufficiente a farvi credere che io possa essere un buon mediatore per veicolare dei vostri "consigli per gli acquisti".
Sia chiaro: io, a priori, non sono contrario alla pubblicità. Anzi, a certe condizioni, potrei anche accettare la vostra proposta. Ve le dico, così se per caso ci state, mi telefonate e si fa l'affare: cento euro a botta, cioè 100€ a pubblicità al giorno, IVA compresa. In fondo per voi sono una bazzecola, dato che avete scucito 12,5 miliardi di dollari per acquistare i diritti di proprietà intellettuale della Motorola.
Allora ok, aspetto di firmare il contratto. Come dite? Ah, sì... lo pago da solo poi il contributo di solidarietà.

*Letta su FriendFeed:  
Larry Page: — I need a new phone, can someone buy me Motorola? 
Employee: — Done. 
Larry Page: — Great, which model? 
Employee: — Model..?