sabato 12 gennaio 2013

Limonov c'est moi


Sto leggendo Limonov e penso che, pur essendo un libro di gradevole e scorrevole lettura, non sia un capolavoro. Non è una recensione questa, è un'impressione dettata dal fatto che la supervita del protagonista, pur tornandomi utile a incorniciare il ritratto di un periodo storico-politico peculiare (l'Unione Sovietica dal primo dopoguerra sino alla caduta del regime), non mi entusiasma, né sorprende. Le raffica di esperienze vissute sempre al massimo da Limonov, contrariamente a quanto credevo, più che gettare all'angolo la mia vita mediocre, me la rendono ancor più degna di essere vissuta, sia pure in condizioni da pulcino in batteria rispetto alle scorribande da lupo della steppa del poeta-politico russo.
Non sono un buon lettore, dato che molto spesso commetto l'ingenuità di gettare il mio fantasma dentro al libro – operazione illegittima, che manca di rispetto alle intenzioni dell'autore. Sarà anche per questo che ho cercato sempre di leggere autori che impedivano di accavallarmi tra le righe della storia – con Nabokov, per esempio, m'è impossibile entrare nei panni di, o di mettermi accanto a, dacché l'arte nabokoviana alza delle mura invalicabili e io resto fuori, da lettore, a vedere l'incantevole spettacolo che viene rappresentato.
Ma con Limonov, basta aprire la prima pagina, e pluf, subito tuffato, ma l'acqua è fredda, il mare mosso e ci sono tanti pescecani.  Riesco e ripenso – anche perché la narrazione lo esige – a quando avevo vent'anni e lessi, fresco di stampa, Fuga da Bisanzio, di Iosif Brodskij (sempre edito dai tipi di Adelphi), modello-rivale di un Limonov schiavo della mimesi di appropriazione.
E mi ricordo anche dove presi i saggi brodskiani: una tenda della pace, io, da volontario, ero dietro la bancarella dei libri (e dove sennò?), e c'erano i Litfiba in concerto (fase new wave, ancora famosi famosi non erano). Venne una ragazza, sembrava sola ma forse non lo era, forse il suo ragazzo era un fan del gruppo fiorentino e lei no, stava in disparte, venne a vedere i libri della bancarella e io le misi gli occhi in faccia talmente era bella la sua faccia. Gli occhi, chiaramente, non erano insistenti, deviavano e ritornavano su di lei, e quelli di lei facevano lo stesso, finché tutti e quattro decisero che era il caso di ritardare la deviazione e prestare alle labbra il sorriso che già manifestavano.
Si svolse tutto rapidamente: dato il rumore assordante del concerto, chiesi all'amico che, come me, presenziava la bancarella, di fare un attimo da solo, dovevamo uscire per parlare che non riuscivamo proprio a sentirci là dentro quel tendone, io e lei. E appena fuori, fatti pochi passi, sotto la luce debole di un porticato, aprii il libro a caso e lessi:
«Oggi compio quarantacinque anni. Mi trovo ad Atene, seduto al Lykabettos Hotel, a torso nudo, immerso in un bagno di sudore, intento a ingurgitare potenti dosi di Coca-Cola. In questa città non conosco un'anima. Quando sono uscito al tramonto per cercare un posto in cui cenare, mi sono trovato invischiato in una calca eccitata che gridava parole inintelligibili. Per quel che posso capirne, è una vigilia elettorale. Mi trascinavo a fatica su uno stradone interminabile, bloccato da persone e veicoli, con gli orecchi rintronati dai clacson senza comprendere una sillaba, e all'improvviso mi è balenato il pensiero che quella, essenzialmente, era la vita dopo la morte – che la vita era cessata ma il movimento continuava, che l'eternità è fatta di questo.

Quarantacinque anni fa mia madre mi ha dato la vita. Lei è morta due anni fa. L'anno scorso è morto mio padre. Io, il loro unico figlio, sto camminando di sera per le strade di Atene, strade che loro non hanno mai visto né vedranno mai. Il frutto del loro amore, della loro povertà, della schiavitù in cui sono vissuti e sono morti – il loro figlio cammina libero. E poiché non s'imbatte in loro in mezzo alla folla, si rende conto che è in errore, che questa non è l'eternità.»*
No, non lo lessi tutto, il brano – a metà circa accadde un bacio dolce, lievemente insaporito da una birra al doppio malto che avevamo deciso di bere entrambi. Presto lei s'accorse che stava facendo qualcosa che non era il caso, no, e poi io non avevo la macchina, né una casa a disposizione per insistere, mi tenni il bacio e Brodskij e ritornammo ridenti nel casino della tenda.
Non l'ho più rivista, né più ricordo il nome.

Questo patetico ricordo mi serve solo a rendere l'idea del perché Limonov è un libro che non mi piace, perché non mi racconta niente che io già non sappia pur non sapendolo, né tantomeno avendolo vissuto. Sono diventato presuntuoso. Ho quarantacinque anni, capitemi bene, l'età giusta per esserlo – e non esserlo, ovvero per sapere, per osare credere quali siano le cose che vadano ancora imparate e lette, cose tali che dispieghino il tempo che resta, lo stirino con il ferro a vapore della mente, per scriverci sopra, per metterci dentro tutto quanto questi organi che non hanno bevuto vodka saranno capaci di esprimere.

E ora basta. Vado a finire di leggere il libro.

*Iosif Brodskij, Fuga da Bisanzio, Adelphi, Milano 1987 (traduzione di Gilberto Forti).

11 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

bello

Luca Massaro ha detto...

grazie, cara Olympe, grazie.

Anonimo ha detto...

°°°
grande, Lucas
grande …

Claudio

°°°

silvia ha detto...

Nabokov l'ho letto solo quest'anno -cioè, l'anno passato- e mi è piaciuto molto ...
però non ho capito cosa vuoi dire quando parli di scegliere autori che non ti permettano di entrare nella storia.

Luca Massaro ha detto...

@ Claudio
Grazie.

Luca Massaro ha detto...

@ Silvia
Intendo autori che, tra le righe, impediscano al lettore quel processo di identificazione con l'eroe. Carrère, per quanto bravo, forse data anche la caratura del protagonista, non prende tali precauzioni - o se le prende (anche quando critica certi pensieri e azioni di Limonov) lo fa in modo molto limitato, ovvero non mette mai una volta in ridicolo il suo protagonista (così come fa Flaubert con la sua Bovary) - e sì che Limonov ne avrebbe avuto bisogno.

Anonimo ha detto...

Imprescindibile la lettura di LIBRO DELL'ACQUA da EDUARD LIMONOV :
Un Capolavoro! Un personaggio geniale, un d'annunzio post ideologico ed esplosivo come il suo pseudonimo. Questo libro narra episodi e situazioni incredibili con uno stile straordinario. Un Grande Uomo un grande scrittore, appare evidente l'impietoso confronto con i nostri autori da aperitivo e da vernissage. Da leggere e rileggere, ogni giorno

Basiliscas ha detto...

Intervista di Carrer a Limonov, per il suo libro.
Limonov chiede a Carrer perché vuole scrivere un libro su di lui:
Carrer:«perché lei ha avuto una vita così appassionante,romanesca,pericolosa,una vita in cui ha preso il rischio di calarsi nella storia»
Limonov,senza guardarlo,con una smorfia secca,taglia corto :"una vita di merda".

Luca Massaro ha detto...

grazie del contributo, Basiliscas...
;-)
Comunque, nel proseguio di lettura, ho verificato che Carrère smentisce le mie critiche e anticipa le conclusioni (delusioni) che mi ero permesso di notare.
Gran libro, quindi.

Anonimo ha detto...

Cher Lucas, pardon d'écrire en français ( posso leggere italiano ma non scrivere bene )
Le livre de Carrère est un chef d'oeuvre littéraire, mais il y beaucoup d'erreurs et de mauvaises analyses politiques :
( pour faire simple ) Limonov et le PNB ne sont pas fascistes,au contraire, ils sont considérés comme d'extréme-gauche en Russie. Cette "erreur" a été noté par tous les critiques et les bloggers en Russie, quand le livre a été traduit.
D'autre part Carrère sous-estime Limonov en tant qu'écrivain et homme politique :
de trés nombreux écrivains russes , même opposés idéologiquement à Limonov, disent qu'il est l'un des plus grand écrivain vivant, du niveau du Nobel de littérature.
Et pour comprendre l'influence qu'à eu Limonov et le Parti National Bolchevique dans les années 90 et 2.000, voici un texte du grand poéte russe Kirill Medvedev ( de son livre "It's no good" - traduction anglaise 2012 )

The author of the most brilliant individual project of the past few decades is, of course, Eduard Limonov. Hence, during the nineties and until recently, it was practically impossible to find a vantage point from which a critique of Limonov would sound persuasive. To moralize about his excessive “frankness” meant exposing oneself as a hypocrite. To accuse him of “fascism” usually meant succumbing to faux “demo-schizoid” sentiments. Those who tried to write about him in a facetious or directly negative vein (e.g., Lev Danilkin in Afisha magazine, or the writer Alexander Kabakov) made flagrant fools of themselves because they instantly wound up in the system of coordinates set by Limonov himself. In this system, the critic automatically came out looking—on the strength of his record as a writer, politician, and man—like Limonov’s inferior. This has to do, of course, with the universal persuasiveness and effectiveness of Limonov’s style and lyrical hero, and the fact that Limonov himself is a glossy mags journalist and critic and ideologue and whatever else you like. But it also has to do with the fact that any criticism automatically provokes (even when Limonov himself does not make this explicit, although sometimes he does) a “tough guy” reaction from the position of experience: live the life I have (visit as many cities and countries, write as many books, romance as many women, form a charismatic independent political party like I did) and then you can criticize me. All his heroes, even people more famous than he himself (for example, Salvador Dali), end up looking like fairly miserable secondary characters on the pages of the brilliant novel of his life. That is, by using the genuinely unique “experience” transmitted through his books, by first combining literature with biography (life-construction), and then both of these with politics, Limonov really has removed the possibility of comprehensively criticizing his life and work for a long time to come.

There is, however, the sense that after a fifteen-year reign the age of Limonov’s cultural hegemony (in which there were definitely progressive elements along with the National Bolshevism and red-brown ideologemes) is coming to an end. Nowadays, his political career (irrespective of whether it lasts much longer) plays a directly negative role, forcibly locking the entire politics of resistance and leftist politics along with it into the tropes of Limonov’s life project—the cult of personal charisma, the strategy of the media scandal, etc. That is why leftist groups now have such a hard time opposing the purely spectacular tactics of the National Bolshevik Party, which is underwritten by the Limonov project. With his cocktail of Nietzscheanism, nationalism, and “leftism,” shaken and stirred with a good measure of autobiographical authenticity, Limonov has been able to attract a number of protest-minded Russian young people to his battle flag.

Luca Massaro ha detto...

Merci beaucoup, cher Anonyme, de votre avis et aussi du texte de Kirill Medvedev. Vous me donnez envie de lire Limonov bien plus que le même Carrère :-)
cordialement